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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
08/03/2018
Earth
Earth 2: Special Low Frequency Version
Queste plaghe sterminate e desolatissime sono composizioni d’una liturgia postmoderna, litanie ad un dio inesistente capaci, tuttavia, in virtù della reiterazione ossessiva, di aprire nuovi stati di coscienza.
di Vlad Tepes

Fondati da Dylan Carlson a Olympia (Washington State), gli Earth rappresentano, forse, l'ultimo grado di trasmutazione dell'hard rock.

I loro ascendenti più o meno prossimi sono Black Sabbath, Sleep e Melvins[1], ma gli inni pachidermici di questi vengono dilavati della loro parte di empatia melodica e privati dei testi sino a svilire, di conseguenza, il ruolo della voce attrice e dei relativi ricaschi spettacolari antibrechtiani (gigionerie, atteggiamenti da guitar hero, riferimenti letterari e sociali, riecheggiamenti di altre tradizioni musicali). Sul campo gli Earth lasciano nude concrezioni sonore in cui i componenti basici appartenenti a quel genere definito vengono isolati e riprodotti catatonicamente sino alla dimenticanza della loro funzione originaria.

Il risultato è una sorta di electric-doom per chitarra che conduce la forma classica dell’hard sino allo sperimentalismo minimale. Queste plaghe sterminate e desolatissime sono composizioni d’una liturgia postmoderna, litanie ad un dio inesistente capaci, tuttavia, in virtù della reiterazione ossessiva, di aprire nuovi stati di coscienza. L’EP Extra-capsular Extraction annovera già “Ouroboros Is Broken” (18'20'') quale brano-manifesto, ma sono le tre composizioni di Earth 2 (rispettivamente 15'36, 26'04'' e 30'01'') a consacrare la pratica rituale di Carlson in cui, come detto, gli elementi rock classici, isolati e amplificati sino allo sfiancamento, perdono il loro senso pristino sino a caricarsi di valenze aliene e cupissime; i lunghi bordoni elettrici, il ritmo rallentato e titanico, i riff che girano come criceti nella ruota, sono parte di una tecnica sciamanica, già propria di un certo minimalismo, atta ad indurre nell’ascoltatore l’abbandono dell’abitudinarietà e predisporlo a nuove associazioni mentali, a nuove metafore dell’esistenza. “Like Gold And Faceted”, peraltro, sembra rinunciare anche a tale ultimo finalismo: ambisce all'entropia totale, alla propria perdizione, al rumore di fondo eterno.

Eccentrici, difficilmente fruibili; abitano presso le colonne d'Ercole di cui loro stessi sono artefici.

 

[1] Il bassista Joe Preston passerà proprio ai Melvins.