Elijah Fox è un giovane pianista, cantante e produttore musicale cresciuto nel North Carolina, ha iniziato a suonare il pianoforte all’età di undici anni, sotto la guida del pianista jazz Yusuf Salim e successivamente ha studiato pianoforte presso l’Oberlin Conservatory of Music. La sua composizione per pianoforte “East Village” è stata campionata da Drake e 21 Savage nella canzone “Major Distribution”, che ha raggiunto il numero 3 nella classifica Billboard 2022. Elijah Fox è titolare di tre album, di cui gli ultimi due City in the Sky e Wyoming eseguiti per piano solo.
Il musicista era già venuto a Milano lo scorso anno per la rassegna Piano City dove aveva suonato sia dei brani nuovi sia dei brani del tutto improvvistai; come dichiarato in un'intervista, infatti, Elijah ama improvvisare dei pezzi basandosi sul sentimento che lo anima al momento, sulla base del luogo in cui suona e, non ultimo, sulle richieste formulate dal pubblico. Anche nel concerto presentato in Palestra Visconti, almeno in due occasioni l’artista ha chiesto al pubblico, prima dell’esecuzione del brano, di indicargli una nota e una tonalità (in maggiore o in minore) da cui partire per eseguire l’improvvisazione.
Prima di illustrarvi la scaletta del concerto ritengo tuttavia non inutile spendere due parole sulla cosiddetta arte dell'improvvisazione. Il termine improvvisazione viene immediatamente correlato nella mente dei più alla musica jazz, ma, così ragionando, si viene a obliterare una grande parte della storia della musica anche occidentale.
Improvvisare è stato certamente un modo primigenio per fare musica; fino a quando non esisteva una scrittura musicale, il brano tradizionale veniva tramandato oralmente e quindi lasciava spazio al singolo interprete per una sua rilettura creativa. Anche nel campo musicale, dunque, l'introduzione della scrittura ha determinato una dicotomia tra il comporre e l'eseguire, dicotomia che nel tempo si è svolta in gran parte a favore del momento della scrittura musicale rispetto a quello della sua interpretazione dal vivo. Anche uno tra i più grandi compositori di sempre, ovverosia Johann Sebastian Bach, in vita era forse più noto per le sue capacità di improvvisazione rispetto alla tardiva e successiva scoperta delle sue meravigliose partiture musicali.
Quanto sopra descritto è avvenuto soprattutto nelle accademie musicali del continente europeo; in altre culture, si pensi ad esempio a quella indiana o a quella africana, il momento improvvisativo ha continuato a mantenere una sua autonomia e rilevanza.
Il concetto di improvvisazione mantiene a tutt'oggi un'ambivalenza originaria non solo nel campo della musica, tant'è vero che il termine improvvisare da un lato può far intendere la maestria di un soggetto nel gestire una determinata situazione, dall'altro può essere inteso in senso negativo come sinonimo di inadeguatezza, nel senso che non è possibile "improvvisarsi esperto" in qualcosa se non dopo aver sviluppato un percorso formativo adeguato.
Conseguentemente, quando ascoltiamo un buon performer improvvisare riusciamo a comprendere se costui o costei risulta essersi formato musicalmente, cosicché ciò che compone e interpreta, nello stesso momento risulta essere il portato della sua intera storia musicale e dei suoi percorsi artistici e non un semplice cliché ripetuto o un fatuo virtuosismo fine a sé stesso.
L'improvvisazione sviluppa difatti in ogni caso e ogni volta, come afferma J. Syron nella sua Enciclopedia della musica, un'estetica dell'imprevisto, e non possiamo non riconoscere che in un'epoca come la nostra, ossessionata dalle agende lavorative e non, l'imprevisto genera sempre una percezione di rischio. Forse per gustare senza preconcetti di sorta un concerto di improvvisazione (anche, forse, della vita di tutti i giorni) dovremmo dare credito al grande poeta Eugenio Montale che nella sua poesia “Prima del viaggio” afferma che un imprevisto è la sola speranza.
Per ritornare più propriamente alle cronache musicali, la tematica dell'improvvisazione, nell'ottica più ampia della cosiddetta aleatorietà della musica, ebbe un forte sviluppo sul finire degli anni '50, nell'ambito della musica colta, quando John Cage venne in Europa per partecipare ai corsi estivi della Scuola di Darmstadt.
Il dibattito che si creò tra i fautori del cosiddetto serialismo integrale e sul concetto di "alea compositiva" portò il compositore Franco Evangelisti a costituire il Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza (che ebbe tra i suoi componenti anche Ennio Morricone) il cui concetto di fondo era che l'esecutore dovesse anche essere compositore; ovvero essere in grado di creare sul momento un flusso sonoro che tenesse conto dell'interazione con gli altri componenti e, necessariamente, anche del luogo dove la musica veniva eseguita e del pubblico che vi assisteva.
Dopo questo lunghissimo, ma ritengo doveroso, excursus, per ritornare al concerto di Elijah Fox devo riconoscere che la descrizione del suo stile musicale come fusione di elementi di jazz, impressionismo e soul psichedelico, calza perfettamente al concerto a cui abbiamo assistito.
Dopo un primo brano improvvisato della durata di circa 20 minuti, il musicista ha proposto la rivisitazione di uno standard jazz ultraclassico qual è "Tenderly", pubblicato per la prima volta nel 1946 e oggetto di cover da parte di grandissimi interpreti, da Louis Armstrong a Chet Baker, da George Benson a Eric Dolphy e non solo, per poi eseguire un'improvvisazione su una nota in minore come suggerito dal pubblico.
Il set è proseguito con “Central Park West” tratto dal suo album City in the Sky e successivamente di nuovo è stata avanzata al pubblico la domanda su quale nota iniziare l’improvvisazione successiva. A fronte della richiesta di iniziare in E (ovvero il nostro MI) Elijah ha chiesto di indicargli anche la tonalità e all’affermazione in maggiore ha risposto “It’s sound Good!”.
L’ultimo brano della scaletta, purtroppo dalla durata di poco meno di un’oretta, è stato dedicato al nonno, al quale, alla pari della nonna (musicista anche lei) il pianista risultava molto legato e sulla cui base di una raccolta di fotografie scattate dal medesimo ha registrato l’ultimo album Wyoming.
Consiglio a tutti di ascoltare i due album sopra citati, City in the Sky e Wyoming, potrete trovarci l’amore professato da Elijah Fox per la scuola impressionista francese, mixata con elementi di natura jazzistica e anche un certo aroma di psichedelia, forse dovuta all’utilizzo dal vivo di riverberi e altri effetti “elettronici” utilizzati soprattutto durante l’esecuzione del primo pezzo.
In conclusione posso affermare di aver partecipato ad un bel concerto, il cui incedere sonoro ha permesso ai presenti di ascoltare e nel frattempo abbandonarsi a un proprio flusso personale di ricordi e immaginazioni, perché, come affermava Miles Davis, l'improvvisazione permette andare al di là di ciò che si sa.