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REVIEWSLE RECENSIONI
07/07/2017
Mastodon
Emperor Of Sand
Emperor Of Sand è un disco perfettamente centrato, composto di brani strutturati, riccamente arrangiati, suonati magnificamente e pregni di crepuscolari suggestioni

I Mastodon arrivano al quindicesimo anno di carriera (l’esordio, Remission, uscì nel 2002) con una discografia costellata di grandi dischi, almeno fino al 2009, ma una parabola creativa, oggi, leggermente in flessione. Due, soprattutto, sono gli album da citare, e cioè Leviathan del 2004 e Blood Mountain del 2006, che seppur nel loro diverso approccio stilistico (il primo più ancorato allo sludge e al post-core, il secondo più decisamente virato verso il prog-metal) restano i vertici della loro produzione e due dei dischi metal più interessanti del nuovo millennio. Il lavoro successivo a questi, Crack The Skye (2009), sviluppava la tendenza progressive del suo predecessore con maturità ed equilibrio, alternando dirompenti sfuriate elettriche a momenti decisamente più rasserenati, nei quali, a tendere bene l’orecchio, si percepivano echi pinkfloydiani e ragionamenti quasi frippiani. Il tentativo (riuscito), insomma, di sublimare una volontà musicale che difficilmente poteva essere racchiusa entro lo steccato di definizioni aprioristiche. Poi, qualcosa si è rotto ed è arrivato un disco come The Hunter (2011), solido e ben suonato, ma certamente sbiadito sotto il profilo della creatività. Una sorta di stallo in cui la band di Atlanta rifletteva sulla propria identità, sulla strada da intraprendere, su un passato metal core sempre più distante e pronto a essere sostituito da qualcosa di più digeribile, in cui l’aspetto melodico fosse, cioè, predominante. Il seguente Once More ‘Round The Sun (2014) non faceva che confermare il nuovo corso intrapreso dai Mastodon che, pur mantenendo un buon livello compositivo, avevano chiaramente imboccato i binari della normalizzazione: la frenetica voluttà di sperimentazione appariva sbiadita e quella brutalità con cui colpivano violentemente al basso ventre emergeva sporadicamente come gloriosa eco di un passato lontano. Questo nuovo full lenght, invece, sembra restituirci una band di nuovo in spolvero e capace di un livello di ispirazione finalmente ai livelli delle sue migliori prove. Non è un caso che Brann Dailor e compagni abbiano richiamato dietro la consolle proprio Brendan O’Brien, che era stato l’artefice del fortunato Crack The Skye.  Basta anche un solo ascolto, infatti, per capire che Emperor Of Sand è una sorta di seguito, di parte seconda, dell’illustre predecessore. A prescindere dalle grandi doti tecniche del gruppo, che non sono mai state messe in discussione, il nuovo album sembra sviluppare con rinnovata sapienza quell’ibrido fantasioso tra suoni estremi e ricercatezze prog, grazie a canzoni che tolgono il fiato per brutalità di esecuzione ma che sanno nel contempo aprirsi a convincenti soluzioni melodiche e complesse derive strumentali. Emperor Of Sand nasce come un concept album che racconta il peregrinare di un uomo condannato a morte attraverso lande desertiche. Il deserto e la sabbia, dunque, come elementi naturali usati in guisa di metafora del tempo che scorre inesorabile a ribadire la finitezza dell’uomo. Un argomento “alto” che nasce da alcune esperienze negative capitate ad amici e parenti dei componenti della band, a cui è stato diagnosticato un brutto male. Lo dice, senza troppi giri di parole, Brann Dailor: “Emperor Of Sand è come un triste mietitore. La sabbia rappresenta il tempo. Se tu o una persona che conosci ha mai ricevuto una diagnosi di malattia terminale, il primo pensiero va al tempo”. Un argomento difficile e irto di insidie, dunque, che necessitava una scaletta all’altezza della fama della band originaria di Atlanta. Missione compiuta egregiamente, visto che Emperor Of Sand è un disco perfettamente centrato, composto di brani strutturati, riccamente arrangiati, suonati magnificamente (la performance di Dailor dietro le pelli è, come di consueto, da urlo) e pregni di crepuscolari suggestioni. Un ritorno in gran spolvero.