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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
23/04/2018
Khanate
Encounters at the end of the world...
Il silenzio di Dio regna su queste tracce; l'aria immobile è rotta da urla straziate o da bisbigli; distorsioni inumane accompagnano questi salmi rivolti al Nulla...
di Vlad Tepes

Ascendenti e discendenti dei Khanate (Alan Dubin, voce; Stephen O'Malley, chitarra; James Plotkin, basso; Tim Wyskida, batteria): Æthenor, Sunn O))), Jodis, Gnaw, Burning Witch, Lotus Eaters, OLD, Manbyrd, Blind Idiot God. Basterebbe questa sequela di nomi per capire che il Regno del Gran Khan è il punto d'arrivo e di diffusione di musica di livello ragguardevole, comunque la si voglia appellare, doom, metal, drone, più o meno post.

La grandezza dei Khanate, però, alberga altrove. Essi situano la propria musica alle Colonne d'Ercole dell'esperienza umana. Centinaia di artisti prima di loro hanno esplorato le più recondite regioni dell'animo e del pensiero, ma hanno vanificato, proprio in quanto artisti, queste ricognizione con il calore della creazione ovvero di ciò che, in altri tempi, ancora veniva chiamato poesia o entusiasmo o afflato romantico.

Gnaw Their Tongues e Throbbing Gristle hanno reso plastico o presagito l'inferno dell'uomo postmoderno, anemico ed anaffettivo; se gli dei hanno abbandonato l'umanità e le loro tavole della legge giacciono sconsacrate a terra, quale senso attribuire all'esistenza? Se l'uomo è un morto-in-vita, schiacciato dal latente nichilismo e dalla perdita di riferimenti morali; se la morte è priva di senso poiché priva di prospettiva ultraterrena, allora l'Inferno è sulla Terra e siamo già dannati. Questa la conclusione ineccepibile del nichilismo montante. Bagliori di questa conoscenza insostenibile: H.P. Lovecraft, Charles Baudelaire, Edgar Allan Poe, Franz Kafka, Friedrich Nietzsche, Alfred Kubin, Giacomo Leopardi, il Wakefield di Hawthorne, il Bartleby di Melville, Guy de Maupassant, gl'incubi borghesi di Simenon ... Solo baluginii di verità, lame di luce, poiché una rivelazione piena ed accecante condurrebbe alla pazzia o al silenzio; e alla musica dei Khanate.

Il silenzio di Dio regna su queste tracce; l'aria immobile è rotta da urla straziate o da bisbigli; distorsioni inumane accompagnano questi salmi rivolti al Nulla; le percussioni occasionali e i rimbombi del basso officiano una liturgia disperata che non ha più scopo. I suoni nascono e muoiono nelle tenebre più assolute; la vita è un eterno presente da cui è stata risucchiata la speranza; i sopravvissuti vagano ciechi in un labirinto senza luce dilaniandosi a vicenda.

Il Cristo si torce per l'ultima volta sul proprio strumento di morte e grida, come Dubin, l'ultimo grido senza più risposta: "Eloì eloì lemà sabactàni!".