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REVIEWSLE RECENSIONI
07/12/2023
Explosions In The Sky
End
Il nuovo album degli Explosion in the Sky, "End", sette anni dopo il precedente, è l’occasione di fare il punto sul post-rock a trent’anni dalla prima definizione dello stesso.

A sette anni di distanza dal precedente album The wilderness, tornano gli Explosions in the Sky con End, il cui titolo, alimentato anche da un sapiente battage promozionale, ha fatto credere a molti dei loro fan che potesse essere considerata l’epitaffio musicale della band di Austin.

Ebbene, come da loro stessi smentito, non è così e non possiamo che rallegrarci di questo, perché la band, seppur nell’alveo di alcuni oramai consolidati stilemi di una parte del post rock, ha pubblicato un album meritevole.

 

Per quanto riguarda l’aspetto musicale vero e proprio vi rimando all’eccellente live report realizzato nel 2020 da Luca Franceschini (qui). Partendo proprio dalla sapiente analisi di Luca, si può dire che in questo album la band, pur rimanendo ancorata al classico (piano-piano, forte-forte, piano-piano) abbia (volutamente) ridotto la propria “esplosività”, eliminando, con un termine preso a prestito dalla musica classica, i “fortissimo”, tipici delle precedenti opere.

Ecco come allora gli accordi di piano di “Loved Ones” intervallati da alcuni crescendo chitarristici, definiscono lo stile del disco, stile che si ripresenta nel successivo brano “Peace or quiet”, dove un climax creato da accordi di chitarra, incontra la proposizione di vibranti riff chitarristici.

Il momento migliore dell’album risulta essere la parte finale dello stesso, dove il cliché sonoro sopra richiamato si sviluppa con maestria in “The Fight” viene ripreso dal brano conclusivo “It’s never Going to stop” con la classica alternanza tra un iniziale intro oscuro ed il susseguente sviluppo chitarristico.

 

Se dovessi sintetizzare in un unico aggettivo questo disco utilizzerei il termine “cinematografico” difatti, non è un caso che alcune delle band che propongono questo tipo di post-rock (penso anche agli scozzesi Mogwai) si siano cimentate nella realizzazione di colonne sonore per film o serie tv (cosa peraltro fatta anche proprio dagli EITS in passato e, come da loro stessi anticipato, in futuro).

Allora ora mi chiederete il perché abbia continuato ad evidenziare come gli EITS, i Mogwai, ma anche, per fare altri nomi molto affermati, i God is an Astronaut o i Godspeed, che nell’immaginario collettivo sono gli alfieri più conosciuti del post-rock, possano essere considerati solo una parte dello stesso e non l’intero.

Qui occorre prendere le mosse dalla definizione di Post-Rock presentata trenta anni orsono da Simon Reynolds (lo so, chi ha letto qualcosa del sottoscritto, mi dirà che sono fissato con questo autore ma, che dirvi, secondo me è il critico musicale più importante negli ultimi 40 anni e, inoltre, mica è colpa mia se la definizione di post-rock l’abbia fatta lui sulle pagine di The Wire nel 1994…).

Simon Reynolds nel presentare una serie di band britanniche (ripeto solo britanniche) veniva a coglierne una peculiare attitudine, ovvero quella di abbandonare la grammatica rock classica (forma canzone, riff, strofa-ritornello-strofa) per accedere ad un sound maggiormente libero dalla forma, così recuperando il lato più sperimentale degli anni ’60 e fine ’70, altresì commistionando il loro sound con textures ambientali e strizzando l’occhio anche alla musica minimalista.

Quindi Reynolds non aveva di certo in mente, all’epoca, gruppi come quelli citati, oppure altri alfieri del post-rock che di lì in poi si sarebbero succeduti e che, evidentemente, sonoricamente risultano essere molto distanti, penso ad esempio ai Rachel’s, i Dirty Three, o ai Labradford, o a molti altri (ad esempio, gli Stereolab, perché no?).

 

Per tale motivo il post-rock penso debba essere considerato, non come uno stile definito, ma come un'attitudine (come ai tempi si parlava dell’attitudine punk) che, oltre alle influenze sopra citate, ha individuato nella tecnologia sviluppatesi dagli anni ’80 in poi (in sintesi nell’elettronica) uno strumento adiuvatore nella sperimentazione di un nuovo modo di fare musica.

Ma in questo mare magnum come orientarsi? Sinceramente il sottoscritto è un pochino stufo di oramai complicatissime definizioni tassonomiche in uso nella critica musicale; quindi, vi propongo il mio criterio di scelta: al di là delle definizioni più o meno dettagliate, ascoltate ciò che più vi piace, perché, come insegnavano i latini de gustibus non est disputandum.