Il cammino artistico dei Dark Tranquillity è facilmente riassumibile come segue: c’è stata la fase dei capolavori iniziali, quel trittico pazzesco con Skydancer, The Gallery e The Mind’s I, con i quali hanno contribuito a plasmare la definizione del cosiddetto “Gothenburg Sound”; poi, tra la fine degli anni Novanta e l’inizio dei Duemila, è arrivato un periodo di sperimentazione, prima con le sonorità più oscure e melodiche di Projector, poi con le contaminazioni Industrial ed elettroniche di Haven. Due lavori che hanno diviso i fan e che sono stati criticati da più parti, ma che in realtà non sono poi così lontani dall’identità originaria del gruppo (a me personalmente, quando uscirono piacquero subito moltissimo).
Sia quel che sia, la band è tornata rapidamente sui propri passi, e da lì in avanti non si è mai più discostata da quel Death Metal intriso di melodie chitarristiche portato avanti anche dai connazionali At The Gates ed In Flames (questi ultimi si erano però da tempo trasformati in un qualcosa di completamente diverso). Sono gli anni della continuità stilistica (qualcuno potrebbe, malignamente, parlare di immobilismo), che hanno prodotto album lontani dalla grandeur degli esordi ma comunque di ottimo livello (la tripletta Damage Done, Character, Fiction è ancora oggi molto celebrata dai fan).
Negli ultimi anni, complice forse anche i cambi di formazione fin troppo numerosi, la qualità si era un po’ abbassata e le soluzioni erano divenute a tratti ripetitive. Detto questo, sotto la sufficienza i Dark Tranquillity non sono mai scesi, a conferma di un talento e di una personalità che, dopo trent’anni di carriera, davvero in pochi possono vantare.
Endtime Signals è il tredicesimo capitolo della loro produzione e risente molto degli anni della pandemia e delle incertezze nella situazione internazionale: il titolo, a dispetto delle illazioni, va inteso proprio in questo senso, come un essere arrivati sull’orlo di una possibile fine del mondo, e non come un messaggio nascosto riguardo ad un possibile scioglimento del gruppo.
Va detto anche che recentemente è scomparso l’ex chitarrista Fredrik Johansson, con loro dal 1994 al 1999, omaggiato con la toccante “One of Us is Gone”, che con le sue atmosfere plumbee contribuisce non poco a dettare il mood particolare del disco.
C’è stato, tanto per cambiare, l’ennesimo cambio di formazione, con l’entrata in pianta stabile di Christian Jansson (basso) e Joakim Strandberg Nilsson (batteria) che avevano comunque già suonato dal vivo nel precedente tour. Anders Jivarp, membro fondatore, attivo anche nel processo di songwriting, ha lasciato tre anni fa, subito dopo Moment, ma bisogna dire che il nuovo arrivato lo ha sostituito più che egregiamente, dato che le parti di batteria su questo disco sono veramente belle e fantasiose.
E qui arriviamo a noi: Endtime Signals rappresenta un grosso miglioramento nella scrittura del gruppo, risultando senza ombra di dubbio (almeno per chi scrive) il lavoro più ispirato dai tempi di Fiction. Nessun cambiamento di rotta, ovviamente, ma una pervasiva oscurità di fondo, che caratterizza tutti i brani e contribuisce a dotare il disco di una tensione e di un’urgenza che non si sentivano da un po’.
Michael Stanne, ormai sempre più leader, visto che è il membro più anziano, dopo il chitarrista Niklas Sundin (che anche questa volta si è occupato del bellissimo artwork) è autore di una prova vocale maiuscola, forse meno incisiva sullo scream rispetto agli anni d’oro, ma assolutamente impeccabile nel pulito, che è tornato ad utilizzare in modo massiccio per la prima volta dai tempi di Projector (lì era stato costretto, visto che aveva avuto problemi alle corde vocali).
La conseguenza sono episodi come “False Reflection”, “Drowned Out Voices” o “Wayward Eyes”, dove le sfuriate Death lasciano spesso il posto a momenti di più sofferto intimismo. C’è un utilizzo maggiore anche dei Synth e dell’elettronica, che vestono elegantemente le canzoni senza tuttavia snaturarne il sound; ma anche laddove gli svedesi decidono di premere sull’acceleratore e far ricordare perché sono tuttora tra gli alfieri della “scuola di Göteborg”, ci riescono alla grande: “Shivers and Voids”, “Unforgivable”, “Neuronal Fire” (con delle aperture melodiche sul ritornello degne dei primi dischi), “Enforced Perspective” sono senza dubbio tra le cose più belle da loro composte negli ultimi anni.
Niente di nuovo, ovviamente, ma che una band attiva da così tanto tempo sia ancora così padrona dei propri mezzi, ed entusiasta al punto da offrirci un disco così, non è assolutamente banale. Godiamoceli finché si può perché il tempo passerà anche per loro.