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REVIEWSLE RECENSIONI
26/06/2018
Soulwax
Essential
Tornano i Soulwax e il loro raffinato gusto per l'elettronica in un'ora di musica o, meglio, dodici esercizi di stile perfettamente riusciti, costruiti intorno al tema dell'essenzialità.

Signora, in cambio di due ore di musica altrui già mixata le regalo un’ora di composizioni originali. Che fa? Accetta? Se lo chiedessero a me, e se la proposta venisse dai Soulwax, non ci penserei due volte. Pensate che stile, questi belgi: Pete Tong li invita (per la seconda volta, cosa rara) a smanettare in trasmissione per uno dei suoi “Essential Mix” sulla BBC e loro, anziché presentarsi con la solita valigetta di dischi o con una playlist qualunque trita e ritrita da 120 minuti di canzoni in voga, si chiudono in studio per due settimane e sfornano un’ora di elettronica da ballo tutta costruita intorno alla parola “Essential”.

E se l’essenziale è invisibile agli occhi, come recita quella sopravvalutata citazione da quel pallosissimo libro da cui è tratta e di cui sono pieni i social dei nostri amici, lasciamo almeno che si palesi concretamente alle nostre orecchie con i suoi riconoscibilissimi parametri. Cassa in quattro, sequencer, synth in loop, strutture ricorsive e ossessive, bpm rigorosamente compresi tra 115 e 125, voci accessorie tanto quanto i rumori improvvisi e poco più.

“Essential”, nuovo lavoro del duo più famoso del Belgio, fratelli Dardenne a parte, è tutto questo. Una copertina anonima e una lista di titoli anonimi per un piccolo gioiello di musica elettronica. E non fidatevi se qualcuno dice o scrive che, in realtà, non si capisce dove inizia un brano e dove finisce quello dopo. I detrattori vi provocheranno proprio chiedendo qual è il fattore che differenzia un pezzo dall’altro.

Ecco così un set di risposte pronte, a vostro uso e consumo. Intanto il numero incrementale scritto in lettere nel titolo dopo, appunto, la parola “Essential”. Poi, ciascuna di queste dodici tracce ha la sua peculiarità. Una sola, non di più. Ma c’è. La chimica del suono che si separa dal rumore (uno). La sequenza che si modula (due). Il gioco delle parti (tre). Il funky che spezza la linearità (quattro). Finalmente le voci (cinque). Bassa fedeltà senza perdere in tiro (sei). C’è un po’ di Detroit qui (sette). Giochiamo alle percussioni (otto). Si possono fare anche canzoni solo di ritmo (nove). Ma quando ci mettiamo i synth guarda cosa siamo capaci di fare (dieci). C’eravamo dimenticati del vocoder (undici). Vi lasciamo qui ma ricordatevi dell’essenzialità (dodici).

Chiediamoci, piuttosto, quanto continueranno a stupirci i fratelli (anche se di questi tempi di miseria intellettuale è preferibile il termine “congiunti”) Dewaele. Usciti dal bozzolo dell’alternative grunge degli esordi oggi possiamo ancora contemplarli mentre si librano in volo sotto forma di quella splendida farfalla post-house in cui si sono trasformati e che già con “From Deewee” ci aveva lasciato increduli, a dimostrazione che è possibile tornare sulle scene dopo dieci anni e spaccare tutto con la stessa verve di un tempo, anche se con strumentazione completamente diversa. Come si dice spesso a proposito dei Soulwax, se i dj sono tutti come loro, non ce ne sono mai troppi.