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REVIEWSLE RECENSIONI
09/01/2023
Iggy Pop
Every Loser
Sembrava che Iggy Pop avesse smesso definitivamente i panni del rocker in favore di una carriera da crooner jazz e invece, a 75 anni suonati, per “Every Loser” si fa affiancare dal produttore Andrew Watt e torna al punk rock senza compromessi degli Stooges di “Raw Power”.

Dopo aver rivitalizzato – con risultati egregi, va detto –  la carriera di Ozzy Osbourne (operazione che gli è valsa nel 2021 il Grammy come produttore dell’anno), Andrew Watt, dopo essere stato a lungo uno dei nomi di punta del pop (tra i suoi clienti Justin Bieber, Miley Cyrus e 5 Seconds of Summer), è diventato uno dei produttori rock più richiesti sulla piazza. Tanto che nell’ultimo biennio si sono affidati a lui diversi artisti rock navigati, alla ricerca – come il buon Ozzy – se non di un rilancio quanto meno di nuovi stimoli per spezzare una stanca routine artistica.

Il buon esito dei recenti lavori di due vecchie glorie degli anni Novanta come Eddie Vedder (Earthling) e Liam Gallagher (C’mon You Know) – in attesa di Bonfire of Teenagers di Morrissey (al momento rimandato a data da destinarsi) e del nuovo dei Pearl Jam – ha ufficialmente innalzato Andrew Watt a ruolo di novello Rick Rubin, dato che Watt sta utilizzando diversi dei trucchi produttivi che hanno fatto grande Rubin a cavallo del Nuovo millennio: focus sul songwriting, semplicità degli arrangiamenti, richiamo agli album più iconici dell’artista, utilizzo di un ricorrente cast di musicisti.

Every Loser, diciannovesimo album in studio di Iggy Pop, ha al suo interno ognuno di questi ingredienti, a partire dai musicisti coinvolti, dal momento che anche qui, come nei dischi di Ozzy Osbourne ed Eddie Vedder prodotti da Watt, ritroviamo Chad Smith, Duff McKagan (che aveva lavorato con Iggy già in Brick by Brick) e Josh Klinghoffer, ai quali si aggiungono in selezionati momenti Travis Barker, Eric Avery, Dave Navarro, Chris Chaney, Stone Gossard e il compianto Taylor Hawkins.

Questo deciso ritorno al rock da parte di Iggy Pop, in un certo senso, è abbastanza sorprendente. Perché se è vero che dal vivo Iggy è il Godfather of Punk di sempre, con una predilezione più che ovvia per il repertorio degli Stooges e quello solista dei dischi realizzati con David Bowie, in studio sembrava stesse intraprendendo la strada dello chansonnier e del crooner jazz, dato che dischi come Préliminaires, Après e Free avevano imboccato quel sentiero. A onor del vero, va detto che l’Iguana da più di vent’anni – diciamo da Avenue B – ha alternato sguaiati dischi rock (Beat Em Up, Skull Ring) ad altri orientati alla canzone d’autore, ma vista l’età (per James Newell Osterberg Jr. saranno 76 anni ad aprile) ci eravamo immaginati che avesse definitivamente intrapreso quest’ultima strada, abbandonando definitivamente l’altra.

Ed invece, imprevedibile come sempre, Iggy Pop ci consegna Every Loser, un disco vibrante e vitale, dove può esibire in scioltezza tutto il suo armamentario di spacconerie da frontman a torso nudo (l’incipit di “Frenzy, «I’ve got a dick and two balls, that’s more than you all», dice già tutto) su una base strumentale moderna, che aggiorna e tira a lucido per le orecchie della Generazione Z il sound hard di Raw Power degli Stooges di James Williamson (piuttosto che quelli proto-punk dei fratelli Ronn e Scott Asheton). Il disco si inserisce quindi felicemente sulla scia del riuscito Ready to Die, canto del cigno della band del Michigan, e riesce dove vent’anni fa Skull Ring (in cui Iggy collaborava con Green Day, Sum 41 e Peaches) aveva fallito: creare un ponte tra le diverse generazioni.

In Every Loser, Watt, con la scaltrezza del bravo produttore pop, costruisce il disco attorno ai punti di forza dell’Iggy attuale e fa di tutto per farli brillare. Sfrutta la sua voce profonda e una tendenza al crooning e gli cuce addosso degli arrangiamenti precisi al millimetro, dove alle chitarre impavide di “Frenzy” si alternano i synth à la New Order di “Strung Out Johnny”. Allo stesso tempo, asseconda una certa tendenza poetica houellebecqiana e confeziona due interludi di spoken word (“The News for Andy” e  “My Animus”) che sembrano presi di peso da Transformer di Lou Reed (il modello della prima è chiaramente “New York Telephone Conversation”).

Forse Every Loser non è un album rivelatore come lo è stato Post Pop Depression qualche anno fa. In quel caso, Joshua Homme aveva ricreato sapientemente il sound di dischi iconici come The Idiot e Lust for Life, rendendoci cosci del fatto che l’Iggy rocker avesse ancora qualcosa da dire e che potesse dirlo ancora benissimo. Watt, invece, si limita a darci un disco di ottime canzoni (come se fosse una cosa da poco), dove il rock à la Stooges (“New Atlantic”, “All the Way Down”) si alterna a ballate à la David Bowie (“Morning Show”), pezzi punk (“Neo Punk”) e new wave (“Comments”), prima del finale apocalittico affidato a “The Regency”.

Conscio che cavalcare le mode è ormai inutile e alla lunga dannoso, Every Loser ci consegna un Iggy Pop fiero e indomito, ma allo stesso tempo fragile e vulnerabile. Probabilmente è proprio nel sapiente dosaggio di questi quattro ingredienti che si cela il segreto dell’eterna giovinezza dell’Iguana.