I Damned sono sempre stati un coagulo di contraddizioni ammonticchiatesi via via lungo una carriera piuttosto turbolenta e contorta: dagli esordi punk al goth, dal pop psichedelico al sixties garage, da digressioni disco a passeggere infatuazioni steampunk e sci-fi. Attraversando torte in faccia, sputi, scazzottate, insulti, scioglimenti e reunion, sono in qualche modo sbucati nel ventunesimo secolo con alle spalle un catalogo di tutto rispetto che contempla almeno due capolavori, Damned Damned Damned (1977), ovvero il ?iva della Trimurti punk assieme a Never Mind The Bollocks, Here’s The Sex Pistols (Brahma) e all’esordio dei Clash (Visnu)[1], e il di due anni successivo, con formazione rinnovata, Machine Gun Etiquette, ancora fieramente punk ma già innegabilmente “altro”; di livello appena inferiore, ma degno di menzione, The Black Album, pubblicato nell’ottobre del 1980.
Assaporato il vero successo mainstream una decade dopo l’esordio con la cover di “Eloise” (1986), i Damned scoppiano[2] definitivamente e, ad esclusione dello sciagurato Not Of This Earth del 1995, non si hanno più loro notizie fino al 2001, anno dell’improvviso grande ritorno con l’ottimo Grave Disorder e il rientro nei ranghi di Captain Sensible, il quale aveva abbandonato la truppa un annetto dopo la pubblicazione di Strawberries (1982) per proseguire una carriera solista che grazie a “Wot” (sempre del 1982) era iniziata col botto.
A dieci anni da So, Who’s Paranoid?, prova più che dignitosa e a tratti brillante, Evil Spirits (undicesimo di studio) nulla toglie e nulla aggiunge ai Damned post ’77, o meglio ai Damned degli anni ’80, meglio ancora ai Damned dei ’60, o dei ’50, o… Vabbè, c’è di tutto in questo disco, così come c’era di tutto nei precedenti; il che non è necessariamente un male, specialmente quando a dirigere questo tutto c’è un tizio che si chiama Anthony Edward Visconti[3], deus ex machina del pop-rock retrofuturista.
La gamma delle influenze è vastissima ma visto che non siamo qui a pettinare bambole si potrebbe classificare Evil Spirits sotto l’etichetta “pop-noir cinematografico” (un’occhiata alla copertina e sapete già cosa aspettarvi) e se l’etichetta non vi piace[4], pazienza, appioppategli voi quella che più vi aggrada, l’importante è che troviate il tempo per ascoltarlo, perché un disco così incredibilmente divertente, così incredibilmente fresco e così incredibilmente[5] ben suonato di questi tempi non lo troverete facilmente. Oh, sia chiaro, nulla per cui strapparsi i capelli o cose simili, però è confortante sapere che in giro ci sono ancora band over sessanta che fanno mangiare la polvere agli anemici segaioli indie e post-rock e post-sa-il-cazzo.
Dal classic-Damned di “Standing On The Edge Of Tomorrow”, primo estratto uscito già a gennaio, al pop-goth-psichedelico della conclusiva “I Don’t Care”, la voce baritonale di Dave Vanian e i power chords di Captain Sensible - affiancati dal redivivo bassista Paul Gray (che aveva già fatto parte del combo nel biennio ‘80-‘82), dalle brillanti tastiere di Monty Oxy Moron e dall’energico drumming di Pinch - conducono l’ascoltatore lungo strade che se da un lato sono già state ampiamente battute, dall’altro non mancano di entusiasmo e di qualche elemento di novità (non svenite, ma si respirano a tratti atmosfere non lontane della Motown…): “Look Left”, ad esempio, quanto di più simile a una ballata i Damned possano concepire, è Elton John in pieno trip barocco, “Daily Liar” strizza le palle ai Fab Four e li fa suonare come gli Who, “Devil In Disguise” punkeggia ch’è una bellezza e la title-track lascia attoniti per la perizia tecnica e l’eleganza dell’arrangiamento. La maggior parte di queste canzoni, ne sono convinto, renderanno al massimo nella dimensione live, e non sfigureranno accanto ai grandi classici del gruppo.
E poi, come soleva spesso dire un caro amico negli anni Ottanta, un giorno qualcuno dovrà spiegarmi perché, quando si nominano i Damned, la gente non si segna allo stesso modo di quando sente il nome di Sex Pistols e Clash. Davvero, io non l’ho mai capito. O forse sì e la risposta che mi sono dato è questa: Sex Pistols e Clash sono ormai ascrivibili ai canoni del classic rock. I Damned, per fortuna, no[6].
[1] L’analogia è forse un po’ azzardata ma se vi prendete la briga di indagare la natura di queste tre divinità indiane, potreste scoprire che non lo è poi così tanto. Forse.
[2] Nel senso che saltano in aria.
[3] Come “Chi è?”?!?
[4] Non piace nemmeno a me, se è per questo; d’altro canto non mi piacciono le etichette in generale.
[5] Qui l’avverbio ha un doppio senso…
[6] Continuo a farmi dei nemici.