Leggetelo “Regarding Ex” o “X Ray” ma la sostanza non cambia: il nuovo progetto di Elena Tonra è un tentativo di scavare dentro se stessa, di sviscerare i fantasmi di un amore finito e ritrovare quindi la propria serenità. Ha detto che beveva molto, nei giorni della crisi, che si era lasciata andare, che guardarsi allo specchio la faceva sentire male. Ci sono tutte queste cose, nei testi dell’album. Che sono una sorta di obnubilato flusso di coscienza, un rimuginare sui dettagli, con un’ossessiva rassegnazione, un rievocare ciò che fu senza la possibilità di poterlo cambiare, quella disperazione che la rende a tratti simile alla protagonista di “Non lasciarmi” di Kazuo Ishiguro, probabilmente una delle storie più laceranti scritte negli ultimi vent’anni.
Qui non si ha a che fare con il senso di un’esistenza intera ma solo di una fase di essa; eppure, c’è come un senso di maledizione che aleggia sulle cose, sui luoghi, uno sguardo spesso poco focalizzato, la parola “Alone” che è una delle più utilizzate e che lascia decisamente pochi dubbi.
In realtà poi si capisce che le cose stanno un po’ diversamente e che, come spesso accade (e come dovrebbe accadere, aggiungo io), la scrittura funge da mediatrice tra l’esperienza e la narrazione che si fa di essa. Elena ha iniziato a scrivere quando ha capito che la sua relazione era ormai irrimediabilmente sfasciata ma poi, man mano che procedeva, l’intero processo ha avuto un ruolo terapeutico tanto che, oggi che il frutto delle sue fatiche è finalmente disponibile, può affermare con candore di essersi lasciata alle spalle lo stato d’animo che le ha provocate e di essere pronta a cantarle dal vivo con serenità.
Ci sarà un tour, quindi. Questo non significa comunque la fine dei Daughter, ci ha tenuto a precisarlo: semplicemente, le nuove canzoni che sono uscite erano troppo personali, troppo intime per essere suonate anche dal resto della band. È stata una decisione quasi improvvisa, quella di fare un disco: si è chiusa in studio col produttore Fabian Prynn, già collaboratore di lunga data della 4AD, da sempre la label del terzetto britannico, che ha pubblicato anche questo EX:RE.
Pubblicazione avvenuta quasi in sordina, senza troppa enfasi di annunci e anticipazioni, prima in digitale e poi, solo tra qualche mese in formato fisico, secondo una modalità già seguita da alcuni (tra i nomi grossi, lo fece James Blake nel 2016).
Siamo quindi stati folgorati dal video di “Romance”, il singolo apripista, fumosa rappresentazione di una Dance Hall crepuscolare, la protagonista ripresa costantemente di schiena, la cupa malinconia del brano a smorzare di netto l’esuberanza festosa che la natura del luogo renderebbe lecito attendersi. Musicalmente, una lunga pulsazione notturna, minimale, un beat ripetuto costantemente a far da base ad una linea melodica che è un lungo fluire, prima di sfociare nel ritornello, l’ammissione senza veli che “Romance is dead and done” e che nella sua rassegnazione è una delle cose più belle mai scritte dalla Tonra.
La componente elettronica decisamente più marcata che in passato e l’assenza del proverbiale lavoro chitarristico di Igor Haefeli aveva fatto pensare ad un lavoro dove Elena avrebbe esplorato soluzioni nuove, lontane da quelle della sua band madre.
In parte è così ma meno di quello che ci saremmo aspettati: già il terzetto d’apertura “Where the Times Were”, “Crushing” e “New York” mostrano una chiara dipendenza dal songwriting dei Daughter. Certo, il lavoro di chitarra è molto meno marcato e decisamente meno importante nell’economia generale, quasi tutti i pezzi sono costruiti attorno al basso, ci sono degli splendidi inserti di violoncello ad opera di Joseph Stephenson ed in generale le atmosfere sono più cupe. Al di là di questo, è sempre lei, la Elena Tonra che abbiamo apprezzato in due dischi meravigliosi come “If You Leave” e “Not to Disappear”, semmai in una versione più Wave e meno Folk.
Non è un difetto, attenzione. A conti fatti, “Romance” ci aveva un po’ illuso ma il resto del disco, se si eccettua la splendida “5AM” leggermente inferiore, si muove pur sempre su livelli altissimi.
Colpisce l’impronta scarna dei pezzi, che partono spesso leggeri e quasi vuoti, per poi riempirsi a poco a poco e accelerare di ritmo con un efficace lavoro percussivo.
Funziona molto meglio quando la scrittura si fa scura e quasi funerea (vedi la durissima invettiva di “Liar” o “The Dazzler”, con una chitarra distorta in sottofondo e degli accordi di piano che la tagliano a metà) ma in generale siamo di fronte ad una grande prova, anche dal punto di vista vocale.
Un disco che arriva troppo tardi per essere inserito tra le cose migliori di questo 2018, soprattutto perché è concepito per essere assimilato lentamente, senza un’ansia affrettata di giudizio. Era anche il disco che ci voleva, probabilmente: l’impressione è che la colonna sonora di “Before the Storm” abbia chiuso per i Daughter una fase e li abbia lasciati ancora incerti sulla direzione da seguire. Meglio prendere tempo ed attendere gli sviluppi futuri. Intanto, di roba bella per ingannare l’attesa ne abbiamo.