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REVIEWSLE RECENSIONI
01/06/2021
Caparezza
Exuvia
Complesso, elegante, ironico, sensibile e mai banale. Exuvia è il nuovo capolavoro di Caparezza: prendetevi un’oretta e la voglia di ascoltare tante parole scelte con cura e soluzioni sonore che sapranno sorprendervi, ma anche farvi ballare. Siate profondi, siate curiosi, e regalatevi questo viaggio.

Se scrivere di Caparezza è già di per sé un compito non semplice, scrivere di Exuvia, l’ultimo lavoro dell’artista di Molfetta, è un onore e un onere. La complessità e l’eleganza intrisa nei testi e nella scelta dei tappeti sonori, di cui il Capa è maestro, è questa volta moltiplicata da una struttura articolata e mai banale, cesellata in ogni pausa ad effetto tra una parola e l’altra, in ogni collaborazione, in ogni scelta musicale inconsueta e in ogni non detto, che traspira vivido dietro a quelle che sono dichiarazioni intime solo (giustamente) in parte.

La proposta musicale e testuale di Caparezza non è mai stata scontata o banale. Sin dai primi album la parola è stata centrale, proponendo delle liriche ironiche, argute, intelligenti, irridenti ma sempre eleganti, legate all’attualità o ai temi più insoliti e curiosi, ma sempre testimoniando la grande intelligenza e sensibilità di quello che chiamare rapper risulterebbe quasi un insulto, non perché la parola lo sia, ma perché Caparezza è un po’ una categoria d’arte a sé stante, nella forma e nei contenuti.

Con ogni suo album troviamo dei testi di un livello sempre molto alto, nell’uso dei vocaboli, dei giochi di parole e dei riferimenti culturali, che usano un fraseggio e un incedere tipico dell’hip hop e li uniscono ad un sound che prende a piene mani dalla disco, dall’elettronica, dal pop, dal rock, dal metal, dal punk, dalla classica fino alle ritmiche più inusitate, a seconda delle canzoni o dei dischi. Il tutto suonato rigorosamente con strumenti e band analogici, per quanto con l’aiuto di sintetizzatori o di effetti, e proposto al pubblico in maniera originale ma fruibile anche all’ascoltatore più occasionale, o quasi. Alcune canzoni sono a tutti gli effetti dei singoli perfettamente godibili anche alla radio, mentre altre (fortunatamente) non ne hanno affatto le caratteristiche o l’ambizione.

Inoltre, per amare e per seguire Caparezza, non serve avere l’abito giusto o l’età giusta (qualsiasi esse siano): puoi essere un ragazzino, un giovane, un adulto o un anziano, un operaio, un nerd, un impiegato, un letterato o qualunque altro strambo mix tu sia: dentro i concerti e dischi di Caparezza puoi trovare posto e sentirti a tuo agio. Sei stufo delle soluzioni, delle parole e delle persone banali? Sei una persona sensibile e attenta ai dettagli, ma ti piace anche ballare e cantare? Sei un animo curioso? Sei da solo, tra amici o con la famiglia? Sei il benvenuto.

Ogni album di Caparezza (eccetto forse ?!, 2000) è sostanzialmente strutturato attorno ad un tema centrale, più o meno pronunciato: Verità Supposte (2003) ragiona sulle false verità che la società ci propina, denunciando con irridente ironia tutta la pletora di pregiudizi e false convinzioni a cui le persone sono spesso soggette; Habemus Capa (2006) è “il disco postumo di un artista in vita”, che parte dalla sua morte fino alla sua risurrezione; Le Dimensioni del mio Caos (2008) è un “fonoromanzo” che coglie l’occasione di descrivere tutti gli assurdi problemi del nostro paese raccontando la storia di Ilaria, una ragazza del 1968 che a causa di un varco temporale si ritrova nell’Italia di oggi e ne viene irrimediabilmente condizionata; Il Sogno Eretico (2011) gioca sul binomio tra chi lotta per le proprie idee a costo di essere definito eretico e chi vive nell’assoluta mancanza di senso critico e nella totale indifferenza; Museica (2014) è ispirato al mondo dell’arte ed è una sorta di visita al personale museo del Capa ed è molto probabilmente il suo capolavoro.

Con Prisoner 709 (2017) il tema è l’ingabbiamento all’interno della propria prigione mentale e il rischio di perdere la propria identità, ma le cose cambiano: i toni si fanno molto più cupi e meno ironici e affrontano la crisi interiore maturata dall’artista nel corso degli ultimi anni, anche e non solo a fronte della comparsa dell’acufene.

Cosa arrivare allora a scrivere e comporre dopo? Come escogitare la propria fuga da se stessi? Chiunque abbia attraversato un profondo dilemma interiore sa come non siano processi di facile risoluzione e che il rapporto con se stessi potrebbe mutare radicalmente, tornare come prima o restare sempre alla rincorsa di un equilibrio. In più, nel frattempo, come artisti e come persone si cambia e ci si evolve, e più si è noti al grande pubblico più ogni azione implica la presenza di persone che ti chiedono conto delle scelte fatte.

Con intelligenza ed eleganza, però, Caparezza ha come sempre compiuto la mossa più saggia: prendersi tempo, iniziare a maturare un percorso, mapparne un pezzo e inciderlo su disco, ma soprattutto, nel farlo, fregarsene nella maniera più assoluta del concetto di orecchiabile, facile o vendibile. La sua arte, la sua carriera, la sua vita e il suo percorso riguardano solo lui, se poi in questo viaggio messo in forma di musica qualcuno vuole continuare a seguirlo, bene, altrimenti è stato un piacere e arrivederci.

Exuvia è ostico? Lo è forse ad un primo ascolto, come sempre succede davanti a qualcosa di non scontato e che non ci si aspetta, ma una volta entrati nell’album non si può che ritrovare un bellissimo disco di Caparezza, che non si riesce a smettere di ascoltare. Dell’ipotetica trilogia di cui si è parlato nell’intervista a Rolling Stone (iniziata con la prigionia dell’album precedente e di cui questo è il secondo capitolo: la fuga e il processo di rinascita), forse questo non sarà il disco della libertà e della rinascita completa (prevista per un terzo futuro capitolo), forse il rito di passaggio non è concluso e il simulacro della propria forma precedente è ancora steso a terra, ma in realtà ci si ritrova davanti a tantissime piccole e grandi caratteristiche tipiche del Caparezza di sempre, e in senso buono: l’evoluzione e la maturazione c’è e si sente, su tutti i fronti, ma l’identità è lì intatta, tanto che non si può che essere orgogliosi di ascoltare un animo pronto ad uscire dalle proprie traversie più fiero, pienamente padrone di se stesso e delle proprie scelte.

Exuvia è complesso, sensibile, profondo, ancora un po’ cupo nei toni, ma anche di nuovo ironico in diversi punti e in molte scelte di stile, con un beat che sa essere super disco, super heavy ma anche incredibilmente dolce e lieve. Anche se nessuno probabilmente può definire meglio il mood dell’album che Caparezza stesso, il quale sulle sue pagine social, in cui approfitta di spiegare in prima persona ciò che c’è dietro al lavoro compiuto, ha sintetizzato perfettamente il disco in una parola: felliniano. Dal un lato Caparezza si immedesima in Mastorna, «il protagonista di un film che Fellini non ha mai realizzato. Un musicista che vaga in un limbo caotico, incapace di decifrare la realtà circostante in quanto deforme, innaturale, paradossale. Un’anima in pensa, nel senso che è effettivamente defunto ma non capisce (o non accetta) la sua condizione». Dall’altro si identifica in Guido Anselmi, il protagonista di 8 e ½: «un regista in crisi che gira spaesato in un centro termale, mentre tenta di elaborare il suo nuovo, atteso lungometraggio, tormentato da dubbi e incertezze e continuamente braccato da maestranze e produttori in attesa di un cenno risolutore. Durante le riprese del film, pare che Fellini, forse per scongiurare una deriva malinconica, abbia attaccato sulla macchina da presa un foglio con su scritto “Ricordati che è un film comico”».

Ed Exuvia è esattamente così: danzereccio, raffinato, ma ancora inequivocabilmente cupo e malinconico, scritto nel segno del “Ricordati che è un album divertente”, anche se le ombre si allungano più di quanto non si desideri o non si fosse preventivato. È poi un album con delle belle chitarre e un bel basso, delle sapienti scelte di effetti e sintetizzatori, con influenze musicali e citazioni di ogni genere, delle collaborazioni raffinate e non scontate, ma soprattutto con tanto contenuto e tanta sostanza. Il lavoro di cesellatura tecnica, sonora e di produzione è impressionante, la struttura stessa dell’album è ragionata e organizzata con sapienza e non lascia nulla al caso, ma soprattutto, come sempre, i testi sono ricchi, densi e scritti magnificamente, come nella migliore tradizione caparezziana.

Per citarne solo uno, a titolo di esempio, di lavoro sui testi e sull’arrangiamento, possiamo prendere “La Scelta”, anticipato dallo skit “Marco e Ludo”, che fa presagire come quelli che incontreremo poc’anzi sono due personaggi reali e al tempo stesso impersonificazioni di due scelte di vita. Da un lato Marco è Mark Hollis, leader dei Talk Talk, «un personaggio schivo, introverso, che all’apice del successo ha deciso di abbandonare i riflettori per dedicarsi alla famiglia». Dall’altro Ludo è Ludwig van Beethoven «un musicista che ha composto fino alla morte nonostante sia stato continuamente bersaglio delle avversità, nonostante il destino gli abbia impedito di godere del proprio talento, rendendolo sordo a 30 anni». Sulla traccia de “La Scelta” è così possibile suonare “Per Elisa” di Beethoven sulle strofe e “Such a Shame” dei Talk Talk sui ritornelli, mentre il bridge della seconda strofa, dedicata a Mark Hollis, è ritmicamente ispirato all’inizio di “I Believe in You” dei Talk Talk. Le tracce sono 14, gli skit 5. Fate un po' un conto voi di quante chicche sono in un’ora di musica e parole.

Di album come Exuvia, come potete quindi immaginare, si potrebbe parlare per ore, soffermandosi sui più diversi particolari, oppure non dire nulla e lasciare tutto in mano a chi avrà la curiosità di ascoltare. Qui abbiamo cercato di riassumervi alcuni spunti, nel caso ve li siate persi (e non riuscendo ad essere nemmeno troppo sintetici), ma il consiglio rimane solo questo: siate curiosi, siate profondi e immergetevi nel viaggio, che Caparezza è uno dei migliori artisti che abbiamo in Italia, merita davvero tutto il tempo che gli dedicherete.


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