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REVIEWSLE RECENSIONI
09/05/2019
Artisti Vari
Faber Nostrum
Devo dire che un po’ godo. Sin da quando il progetto di questo tributo a Fabrizio de André è divenuta cosa ufficiale, ho provato un certo piacere ad immaginarmi i commenti e le facce di tutti quei soloni puristi, autoproclamatisi unici custodi del verbo e dell’eredità del cantautore genovese.

Che sono poi gli stessi, più o meno, che si scagliano regolarmente contro l’imbruttimento della musica italiana, ostaggio di cantanti da strapazzo quali Calcutta o Gazzelle o peggio, di rifiuti umani che fanno un genere incomprensibile chiamato Trap che però, se la ascolti bene, ti accorgi che non è musica ma solo suoni fatti col computer e la voce corretta all’autotune. Eh ma vuoi mettere ai nostri tempi? La musica di oggi fa tutta schifo e se De André fosse ancora vivo a questi qui sputerebbe addosso senza pensarci un secondo…

Ora, al di là del fatto che ho sempre trovato il buon Faber uno degli artisti più assurdamente sopravvalutati della nostra storia musicale (mi piace, lo apprezzo, ho tutti i dischi a casa, ecc. ma di farne il genio assoluto, cantore dell’umano, Omero dei nostri tempi e cose così, non ne ho nessuna di intenzione. Bravo artista, tra i migliori della sua generazione, penso possa bastare), non sono neppure così sicuro che avrebbe avuto da ridire su questi nuovi artisti. Anzi, mi spingo a dire che secondo me a De André, Calcutta sarebbe piaciuto molto; probabilmente anche Young Signorino e Achille Lauro.

Indipendentemente da questo (perché tanto non lo sapremo mai) mi pare ormai evidente che le nuove leve non siano poi così ignoranti sui capisaldi della nostra tradizione. Dai Coma_Cose che citano (anche musicalmente) Battisti, a Giorgio Poi che dal vivo coverizza Ruggeri, fino ad arrivare allo strambo progetto The André, che ha avuto un successo di gran lunga superiore alla sua reale portata. E non dimentichiamoci di Tommaso Paradiso e dei suoi Thegiornalisti, che non hanno mai rinunciato alla forte impronta “dalliana” del loro sound, neppure oggi che sono divenuti la nemesi di ogni purista che si rispetti.

Per cui non stupiamoci se adesso esce un tributo a De André dove sono proprio questi ragazzini bollati come anti-musica a cimentarsi con i brani del Maestro.

E allora, mentre un bel po’ di gente sarà senza dubbio intenta a strapparsi le vesti, io mi ascolto questo “Faber Nostrum” e mi diverto anche parecchio.

I dischi di cover, occorre dirlo, sono molto difficili da valutare. Si tende infatti sempre a paragonare le nuove versioni con gli originali e normalmente il giudizio finale tiene conto solamente di quello. In questo caso ho cercato di non farlo: De André è un modello troppo codificato, troppo conosciuto e troppo “alto” per poter anche solo tentare un confronto.

Anche perché in questo caso vale il contrario: gli episodi più convincenti sono quelli dove l’interprete è riuscito a mettere la propria personalità a servizio del brano, non certo quelli dove la traccia originale è stata seguita in modo pedissequo. E pazienza se gli esperti se la prenderanno: per quanto mi riguarda, il vincitore assoluto è Willie Peyote, che de “Il bombarolo” riscrive pure il testo, aggiornandolo all’attuale situazione socioeconomica e suonandola in maniera tale da trasformarla in tutto e per tutto in un pezzo del suo repertorio.

Più o meno per lo stesso motivo, convince in pieno l’accoppiata Cimini/Lo Stato Sociale, che interpretano “Canzone per l’estate” aggiungendoci un tappeto minimale di elettronica, e con un Lodo Guenzi mai così a suo agio dietro il microfono. E che dire dei Pinguini Tattici Nucleari, che fanno loro “Fiume Sand Creek” in una maniera davvero entusiasmante, soprattutto per chi, come il sottoscritto, non li ha mai considerati?

Bella anche “Il suonatore Jones” dei Canova, gruppo che non ho mai sopportato ma che qui sa rendere al meglio la malinconia agrodolce del pezzo, trasformandola in una ballata che, almeno a livello di mood, potrebbero avere scritto loro.

Persino il famigerato Gazzelle realizza una bella prova, interpretando “Sally” alla sua maniera ma riuscendo a convincere in pieno, aiutato senza dubbio dalla bellezza della canzone.

Poca roba invece gli Ex Otago, penalizzati forse dall’avere scelto un brano come “Amore che vieni, amore che vai”, a cui non riescono ad offrire una nuova chiave di lettura, rifacendola in modo piatto e prevedibile I Ministri fastidiosi sono e fastidiosi rimangono, con la loro “Inverno” che proprio non riesce ad andarmi giù, mentre Fadi esagera troppo con una “Rimini”, decisamente troppo sguaiata. Il problema de La Municipal, invece, è che “La canzone di Marinella” era meglio lasciarla fuori: troppo conosciuta, troppo abusata perché si potesse dare fiducia all’ennesima versione.

Meno interessanti dal punto di vista della chiave interpretativa ma ineccepibili per quanto riguarda resa e l’intensità sono le prove di Motta e Colapesce: “Verranno a chiederti del nostro amore” è di una bellezza rara, tesa e drammatica come l’originale, cantata in maniera strepitosa, a spazzar via tutte le critiche che l’ex Criminal Jokers ha ricevuto nel corso degli anni. “Canzone dell’amore perduto”, invece, era uscita lo scorso anno e la conoscevamo già bene: non raggiunge le vette di quella che Battiato realizzò ormai una ventina di anni fa ma è impossibile dire che sia brutta. Semplicemente, da uno della caratura di Colapesce mi sarei aspettato di più.

Molto scolastici anche gli Zen Circus di “Hotel Supramonte”, così come la “Smisurata preghiera” di Vasco Brondi (qui alla prima uscita utilizzando il suo nome di battesimo), un compito ben svolto e nulla più.

In definitiva, dentro “Faber Nostrum” c’è di tutto: alcune cose piaceranno di più, altre molto meno, altre faranno legittimamente schifo. Per un motivo solo è giusto rallegrarsi: che un album del genere, a prescindere dal modo in cui poi verrà accolto, dimostra senza ombra di dubbio che un artista come Fabrizio De André appartiene a tutti, non solo ad una certa categoria anagrafica. E che tutti, soprattutto, hanno il sacrosanto diritto di utilizzarlo, di raccontare che lo amano, che gli ha insegnato qualcosa. Altrimenti dovremo lasciarlo solo ai progetti di suo figlio (bravissimo, per carità, non ce l’ho certo con lui) e alle fiction della Rai. E a quel punto tanto varrebbe rinchiuderci tutti in un museo.


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