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REVIEWSLE RECENSIONI
15/11/2023
Jorja Smith
Falling or flying
Dopo un’attesa che si protrae dal 2018 (se non contiamo l’EP del 2021), Jorja Smith torna finalmente a presentare al pubblico un LP, “Falling or flying”, un percorso di 16 brani e 45 minuti che parte dal pop “da club” per arrivare ad un pop-r&b molto introspettivo.

Con Lost & Found, primo LP pubblicato per FAMM, Jorja Smith ha avuto un successo quasi immediato, e con le collaborazioni successive ha confermato il suo talento e il modo assolutamente affascinante in cui canta la neo soul, un genere relativamente nuovo per il 2018, che riusciva a prendere l’eredità dei grandi del soul per rimodellarla con le nuove influenze elettroniche e hip hop.

Nel 2021 Jorja pubblica Be Right Back, un EP di otto brani (qui recensito dal sottoscritto) che incomincia a presentare influenze diverse dal genere di partenza della cantante: un maggiore utilizzo dell’elettronica e un impiego diverso del groove. Un cambiamento che si fa ancora più forte in questa nuova pubblicazione, che crea uno stacco ancora più forte dal primo album. Se dopo cinque anni di attesa i fan si aspettavano infatti di ritrovarla nelle terre della neo soul pura e che l’EP fosse stato solo una parentesi sperimentale, con Falling or flying la mutazione invece continua e l’ascoltatore viene portato verso lidi musicali ancora diversi.

Nel quinquennio tra i due album, infatti, Jorja Smith ha avuto modo di sviluppare diverse collaborazioni con vari producer di musica elettronica (vedi i due EP di remix pubblicati nel 2021 dal titolo All of me Remixes Vol 1 e All of me Remixes Vol 2) e in Falling or flying Jorja sembra riunire tutte le sue nuove anime per mescolarle (o almeno provandoci) in un percorso molto introspettivo, centrato, a livello di lyrics, sul bisogno di tornare a casa e sull’entusiasmo di riscoprire sé stessi.

 

Soffermandosi sull’aspetto musicale, il percorso del disco risulta particolare perché, sebbene si capisca fin da subito che si tratta di un album centrato sulla voce (e su questo non ci si aspettava nulla di diverso), si sente un mix molto particolare tra un pop e soul, a volte arricchito di varie influenze da club, a volte quasi totalmente acustico, con vari elementi ad arricchire gli arrangiamenti, che però risultano sempre destrutturati e mai completamente invasivi.

Queste due anime del disco sembrano contendersi la predominanza, anche se già dal primo ascolto è chiaro che ad avere la meglio è la parte più intima e decostruita. Sembra infatti che la parte pop soul più elettronica faccia solo da introduzione alla seconda parte del disco, che costituisce la vera protagonista; fatto di per sé abbastanza straniante, se non altro perché i singoli pubblicati prima dell’uscita album puntavano tutti su questa influenza “da club”, per cui la sorpresa di trovarsi davanti ad un disco molto intimo è stata tanta, forse troppa.

 

Falling or flying inizia con un brano dalle percussioni tribali, “Try me”, che insieme al basso e ai synth creano un’atmosfera elettro-soul che si evolve in tutti i brani successivi: passa per la splendida ballad “She feels”, in grado di mescolare il pop con l’rnb in maniera esemplare; cambia in “Little Things”, brano che cita ritmiche jungle rese famose in Inghilterra da Goldie e i Massive Attack, e cresce in “Feelings”, brano che vede il featuring di J Hus. L’apice della prima parte, però, è raggiunto sicuramente dalla coppia “Falling or flying” e “GO GO GO”: il primo forse uno dei brani più belli del disco, che presenta più elementi rnb e spicca per il crescendo lunghissimo che parte da inizio strofa per atterrare in un ritornello molto garbato, ma con un’armonizzazione di voci davvero emozionante; il secondo che invece è energia pura, creata da un mix perfetto di chitarra  batteria e voce, quasi la mosca bianca dell’album, visto che un groove come questo non lo rincontreremo più.

 

Se “GO GO GO” è l’apice energico del disco, da questo punto in poi (è il settimo brano in scaletta) si scende sempre più in un mondo molto più cupo, oscuro e intimo, quasi come quando si esce dal club e ci si immerge nell’oscurità della strada per dirigersi verso casa.

Questa seconda parte, che conta più della metà dei 16 brani di cui è composto l’album, non è però sempre efficace quanto la prima e conta diversi brani che si dimenticano nel flusso di ascolto, quasi come se mancassero di personalità, rimanendo troppo statici. Gli unici brani che più spiccano in questa seconda sezione sono quelli in cui si sente Jorja osare di più: “Make sense”, che sebbene rimanga entro un’atmosfera intima riesce a tirare fuori un groove davvero trainante, e le due tracce in coda, “Backwards” e “What if my heart beats faster?”, nei quali si sente un’evoluzione davvero notevole tra l’inizio e la fine dei brani.

 

Dovendo tirare le fila, il nuovo disco di Jorja  Smith è un bel lavoro e si fa ascoltare bene, anche se la differenza di stile tra la prima parte e la seconda risulta troppo straniante anche dopo diversi ascolti. Le perle non mancano e la prova vocale di Jorja è assolutamente impeccabile (del resto non ci si aspettava nulla di meno), ma rimane un po’ di amaro in bocca per un passo in più che sarebbe stato bello sentire.