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REVIEWSLE RECENSIONI
23/03/2023
Rareş
Femmina
Un disco che funziona perché esce dagli schemi per l’approccio di fondo e la filosofia compositiva che lo sottende. Una musica, quella di Rares, che con questo "Femmina" è stata in grado di esprimersi al massimo delle potenzialità, certificando un talento che prima di oggi poteva essere solamente intuito.

Quando due anni fa ho avuto l’occasione di intervistarlo, Rares mi aveva rivelato che, contrariamente a quello che si sarebbe potuto pensare ascoltando le sue canzoni, tutto questo interesse per il Soul, che fosse classico o “Neo” in tutte le sue declinazioni, non ce l’aveva mai avuto. Se gli accostamenti ad artisti come Venerus o Frah Quintale erano stati tirati in ballo più volte dagli addetti ai lavori già all’indomani dell’esordio Curriculum Vitae, essi non erano stati in alcun modo voluti: semplicemente, la voglia di suonare la propria musica e di esprimersi liberamente l’hanno portato spontaneamente da quelle parti.

Ascoltando Femmina, che arriva a due anni di distanza dall’EP Folk_2021, si capisce molto meglio che cosa avesse voluto dire e non è così impossibile credere che questo sia il disco che davvero aveva voglia di fare, probabilmente sin dall’inizio della sua carriera.

 

I collaboratori sono sempre gli stessi, vale a dire Redmattre e Marco Giudici, e in un certo senso lo è anche il materiale proposto, visto che alcune cose risalgono addirittura al 2018 e in generale si tratta di canzoni che hanno avuto bisogno di due anni di gestazione e trattamenti.

Punti di riferimento ce ne sono pochi: se i singoli come “Peggiore mossa” e “Ahinoi”, nonostante la preponderanza del vestito elettronico, lasciavano comunque intravedere una continuità col passato, già l’ascolto della title track riusciva nell’intento di confondere le idee, operazione completata nel momento in cui abbiamo avuto l’intero disco tra le mani.

 

Femmina appare incentrato su un discorso di improvvisazione e libero fluire: la normale forma canzone viene scomposta e frammentata, contaminata da numerosi strati di elettronica e riassemblata in maniera apparentemente caotica, secondo criteri a prima vista incomprensibili. C’è un utilizzo di diversi linguaggi dello spettro Urban, dall’Hip Hop alla Trap, passando per le più varie sfumature dell’elettronica, le strutture sono irregolari, le voci spesso filtrate da effetti e autotune, c’è una generale accumulazione di elementi sonori, il clima è quello di una sperimentazione fine a se stessa, in una sorta di “sregolamento di tutti i sensi” di rimbaudiana memoria applicato alla musica.

“Femmina”, che apre il disco dopo la folle intro da un minuto denominata “ruvida”, è un tripudio di suoni e melodie, tra campionamenti di fiati e musiche da marcetta, il tutto finalizzato ad un brano che nonostante l’eclettismo di fondo risulta tra i più immediati. È anche la porta per uno sperimentalismo linguistico che è un’altra importante caratteristica del disco: al di là delle sporadiche incursioni nell’inglese e nel rumeno, sua lingua madre, i testi si fanno notare per l’inafferrabilità dell’io narrante, che si dissolve in una molteplicità di voci indefinite, l’utilizzo frequente della prospettiva femminile per raccontare le sensazioni (molto più corporee che emotive), la presenza di immagini sessuali esplicite e a tratti al limite della scurrilità (“Tramacci” soprattutto).

 

Non lo si direbbe mai, ma l’insieme suona omogeneo, merito probabilmente di una scrittura sempre ispirata: non si avvertono quindi particolari stacchi tra i momenti per così dire più tradizionali (“You Be My”, col suo refrain irresistibile, “Peggiore mossa” o anche la conclusiva “Vasca”, che nonostante il lavoro di Synth ad opera di Andrea Turone ha comunque conservato molto dello spirito delle origini, dopotutto è uno dei brani più vecchi) e quelli dove la sperimentazione si fa eccessiva, da “Como tu y yo” a “JK”, per certi versi vicine a certe cose di Thasup, fino ad un trittico come “Iubi Kiss me Iubi”, “Se piangi tu” e “Tramacci”, dove l’elettronica opera a favore della totale decostruzione delle strutture.

 

Un disco che funziona perché esce dagli schemi: non tanto per le sonorità, perché in fin dei conti si tratta di roba che conosciamo bene, quanto per l’approccio di fondo e la filosofia compositiva che lo sottende. Liberarsi di schemi e condizionamenti ha reso la musica di Rares in grado di esprimersi al massimo delle potenzialità, certificando un talento che prima di oggi poteva essere solamente intuito.

Rimane la domanda di come se la caverà a riprodurre dal vivo questo materiale ma non dovremo aspettare molto per scoprirlo.