Intimo, denso e profondo. Questo è il nuovo disco dei Ministri, che più che un album è quasi un lavoro di maieutica: verso se stessi, verso il momento storico che sta vivendo una generazione e, inevitabilmente, verso l’ascoltatore. Può infatti essere quasi definito un susseguirsi di sollecitazioni che tirano fuori un acquerello della condizione dell’anima di chi decide di imbarcarsi in questo ascolto.
I Ministri sono sempre rimasti in equilibrio tra l’impegno sociale e l’espressione cupa e poetica dei moti emotivi che il vivere in un certo tipo di società rivela. Ma se con Tempi Bui (2009) i Ministri avevano pennellato una condizione che spesso sfociava quasi nel politico, o per lo meno in una comunicazione netta e rabbiosa della propria posizione su determinate situazioni (si ricordi “Diritto al tetto” o “Vicenza (la voglio anche io una base a)”), con Fidatevi il focus è più intimo. Il rimando allo specifico album di Tempi Bui non vuole essere casuale (o non ricordare ottimi album come Per un passato migliore o Fuori), ma solo accennare al fatto che se quello può dirsi la sintesi dell’espressione della società di allora, Fidatevi diventa la sintesi della condizione della società di adesso.
Fatte salve alcune canzoni (o parti di esse) dove i ritmi sono decisamente più tirati, i toni sembrano in generale più soft, ma solo all’apparenza: spalleggiati da una produzione fedele alle atmosfere del trio, da ottimi arrangiamenti e dalla sempre eccellente interpretazione di Davide Autelitano, ogni capitolo scava più a fondo nella ricerca della cornice musicale che meglio renda senso e giustizia ai testi, che emergono una volta di più come i veri protagonisti del disco.
Le parole sono sempre state importanti per i Ministri (testimoni le canzoni, le interviste e il bellissimo blog, per cui l’onore va alla penna di Federico Dragogna), ma stavolta si è andati oltre. L’intero impianto comunicativo del nuovo lavoro è stato coerente con il messaggio del disco, i suoi contenuti e la sua promessa: fidarsi.
Per raccontare una condizione sociale (forse anche molto generazionale) immersa in un precario equilibrio tra solitudine e vetrine sociali, disagio e apparenze, legami deboli ed emotivamente forti, incertezze e sicurezze, ansie e aspettative, i Ministri hanno scelto di urlare di meno per urlare più forte. Hanno regalato una parte di loro, diversa a seconda del grado con cui una persona desidera essere parte di questo viaggio. Agli ascoltatori distratti i singoli, agli occasionali il disco, ai più curiosi il corredato di interviste, ai fan delle lettere: ovvero quell’attenzione e quel rapporto, privilegiato e profondo, che spesso manca, non solo con gli artisti, ma soprattutto con le persone che spesso popolano le nostre vite.
Dai dischi dei Ministri emerge sempre una sana dose di cupezza, e questo ultimo lavoro nel crepuscolare ci nuota benissimo, ma tra una bracciata e l’altra tra gli squali della copertina, emerge una luce. Quell’approccio analogico, quella scelta di puntare all’essenza, alla semplicità, e al combattere quell’elenco di disagi entrando per davvero “Tra le vite degli altri”, per riconoscersi e ritrovarsi, magari in una stessa barca, a cavalcare onde e cavalloni.
Dire di più del disco non è che non si può, semplicemente non sarebbe giusto. Potrà piacere o meno, rispondere o meno delle aspettative, portare a reazioni differenti, venire ascoltato di continuo o una volta sola, ma è sostanzialmente un’esperienza da fare da con se stessi. Magari al buio, in un momento di calma, e vedere cosa succede, se succede. Fidatevi.