Cerca

Banner 1
logo
Banner 2
REVIEWSLE RECENSIONI
Fission
Dead Poet Society
2024  (Spinefarm)
IL DISCO DELLA SETTIMANA ALTERNATIVE ROCK
8,5/10
all REVIEWS
12/02/2024
Dead Poet Society
Fission
Un processo di fissione esistenziale, quello raccontato dai Dead Poet Society, che con il loro secondo album, “Fission”, dimostrano tutto il loro valore, regalando groove trascinanti e progressioni non scontate pur nell’alveo di soluzioni sonore accessibili a chiunque ma al tempo stesso accattivanti, capaci di far trovare piccoli e affascinanti particolari ad ogni riascolto.

La fissione è una reazione che potrebbe essere semplicisticamente definita una “divisione o scissione in due o più parti”. In biologia, la fissione cellulare è una modalità di riproduzione asessuata, ovvero un processo per cui un organismo è capace di dividersi ottenendo così due nuovi individui assolutamente identici al primo. In genetica, la fissione gemellare è una delle due tecniche di clonazione, dove le cellule dell'embrione, prese in uno stadio iniziale, vengono divise così da ottenere due o più embrioni identici. Se si parla di fissione nucleare invece, come quella utilizzata nei reattori nucleari e per le armi atomiche, si intende una divisione che nello specifico è un “decadimento”, ovvero un processo attraverso cui alcuni nuclei instabili trasmutano in un certo lasso di tempo in nuclei di energia inferiore, spesso a seguito di un urto.

Un processo di disgregazione del sè quindi, talvolta iniziato a seguito di un evento traumatico o di un’ambiente sfavorevole, che porta ad uno stadio nuovo, non necessariamente peggiore, ma di certo diverso.

In questo senso, Fission, il nuovo album dei Dead Poet Society, è il titolo perfetto, poiché le 13 tracce di cui è composto raccontano i processi di cambiamento personale e cosa significhi crescere, anche, soprattutto, nonostante e in seguito alle turbolenze della vita, talvolta costituite da eventi dolorosi, violenti o emotivamente scioccanti. Un processo di crescita ed evoluzione non sempre voluto ma inevitabile, da cui se ne può uscire diversi, talvolta uguali ma “non proprio gli stessi” (come nei due casi biologici sopra citati) altre volte a pezzi, instabili e provati, come se qualcosa nel processo si fosse perso e ciò che rimane dovesse trovare una nuova forma, una nuova stabilità e nuove energie con cui proseguire il suo percorso di vita.

 

Fission, così come i quattro ragazzi originari di Boston, Massachusetts, l’hanno immaginato, è “uno sguardo microscopico e ampio agli eventi che hanno cambiato chi siamo”, un punto d’arrivo scritto per esigenza, a tre anni dall’esordio con -!- (2021), che nelle parole del frontman Jack Underkofler vuole “lasciare ai fan e agli ascoltatori la verità”, di modo che chiunque lo ascolti possa in qualche modo sentire “che qualsiasi cosa stiano vivendo è valida, indipendentemente dal luogo e dal momento in cui si trovano nella loro vita”. Un processo di vicinanza, empatia e condivisione fatto di riflessioni, rabbia, melodie, riff, groove e quant’altro, nella lotta costante al “non rimpiangere ciò che si era, perché le cose che si affrontano ti definiscono come persona e ti trasformano nella persona che vale la pena di essere”.

Una scomposizione del significato dell’essere adulti oggi, a fronte di un’analisi riflessiva ed emotiva di quelli che sono gli eventi che a loro modo cambiano la vita, così come possono fare solo le rotture, le dipendenze, le perdite e la costante ricerca di uno scopo e di un’identità, anche e soprattutto nel vorticoso e richiedente mondo attuale.

 

Non a caso i Dead Poet Society iniziano il racconto del loro processo di fissione con "5:29:45", a metà tra un primo brano e un’introduzione inattesa, che prende il titolo dall’ora esatta del Trinity Test, la prima detonazione di un'arma nucleare della storia, svoltasi nell’ambito del Progetto Manhattan. La metaforica ed estrema sintesi dell’evento che ti cambia la vita per sempre, l’inizio di tutti i processi di disgregazione successivi.

Con “Running In Circles”, primo (ottimo) singolo del disco, testi come «Mi sento come se non fossi mai abbastanza. Dico: "Non me ne frega un cazzo", così cerco di tenere sotto controllo la situazione. Mi sto lentamente disfacendo, sì. Corro in cerchio. Torno indietro, torno indietro, vado via. Guardatemi mentre mi impegno comunque. È tutto falso, l'odio per me stesso mi sta uccidendo. So di non essere così, e sono stanco di fingere, sono stufo di fingere. Ho bisogno di scappare [perché] Presto sarò proprio come gli altri, nascondendo il mio volto, senza che nessuno sappia cosa si sta trascinando sotto di me. Mi sento come se stessi correndo, oh, mi sento come se stessi correndo in cerchio» iniziano a identificare il tipo di onestà e di tumulto di cui i Dead Poet Society vogliono parlare, invitando chi ascolta a non sentirsi esclusi o sbagliati per questo, perché esiste chi si sente come loro, chi lotta, cade e batte la testa contro il muro per lo stesso tipo di serpeggianti sentimenti.

Che poi, in fondo, è una delle cose che chi ascolta musica di un certo tipo vuole: qualcuno che urli, parli o rifletta al posto proprio, dicendo e provando cose che magari non sempre si sa come esprimere, ma che canalizzate nella forma di una canzone, hanno un posto, una forma e una legittimità che altrimenti non sempre potrebbero avere.

 

Certo, non di soli testi, intenzioni e significati è fatto un disco, ma anche in questo i Dead Poet Society non deludono, anzi. Se già il precedente -!- era un ottimo esordio, fatto di alternative rock, chitarre fuzzy, indie rock nelle sue forme più heavy e quello che Jack Underkofler stesso aveva definito come “djent pop”, con Fission i quattro musicisti salgono decisamente di livello, presentando la stessa miscela di rock alternative, un po' garage un po' indie, pieno di groove decisamente prominenti e soluzioni djent, ma con un approccio spavaldo e raffinato al tempo stesso, diretto ma pieno di soluzioni eleganti e variegate, molto meno ripetitivo negli stilemi e più sperimentale nel tipo di atmosfere offerte.

Un suono che in diversi punti richiama moltissimo i Royal Blood e i Nothing But Thieves (con la conseguenza che chi ama questi gruppi potrà quasi automaticamente trovare pane per i suoi denti o un nuovo amore), ma a suo modo più sofisticato in diversi dei passaggi adottati, che riescono a creare un viaggio sonoro che unisce i singoli che potrebbero essere perfetti per le radio o le playlist a brani non scontati, che si fanno apprezzare con il tempo e denotano un utilizzo non banale della strumentazione, dall’uso delle bacchette della batteria, ai trascinanti groove espressi con vigore dalle chitarre, alla voce, che ha l’abilità di modularsi su diversi registri risultando sempre convincente.

 

Se ai primi ascolti Fission pare quasi diviso in due (sarà un caso?), con una prima parte particolarmente convincente e una seconda buona, con il procedere degli ascolti tale impressione si rivela del tutto infondata se non addirittura ridicola. Fission è uno di quegli album che dimostrano la loro grandezza e profondità nel non lasciarsi catturare e capire al primo rapido ascolto (in cui comunque ci si innamora inevitabilmente di diversi pezzi), ma nel far emergere la propria forza con il tempo, cogliendo ogni volta particolari diversi e sfumature prima passate in secondo piano. Con l’aumentare delle rotazioni Fission emerge per quello che è: un incredibile secondo album che propone brani destinati ad acquisire valore e a svelarsi sempre più per la loro bellezza ed eleganza, senza mai perdere quella capacità di catturare l’orecchio con riff e progressioni coinvolgenti e sempre diverse.

Hit del calibro di “HURT”, che probabilmente vince il premio come migliore canzone del disco, unite a brani come “LA Queen”, “Uto”, “I hope you hate me.” o “81 Tonnes”, rendono già da sole l’album degno di competere per alte posizioni della classifica di disco dell’anno. Rimane però il fatto che anche tutte le altre tracce non sono decisamente da meno: la dolcezza di “Tipping Point”, la leggerezza quasi pop punk di “My Condition” (che da sola risulta quasi una pecora nera rispetto al mood generale, ma che ascoltata nella sua corretta posizione nella tracklist è la perfetta boccata d’aria dopo le tracce precedenti), la sperimentazione di “KOET” che rimanda quasi a Poppy, la furia di “Hard To Be God” o l’ottima conclusione di “Black and Gold”, che con il suo afflato blues chiude con raffinatezza il processo di scissione e ricostruzione a cui abbiamo avuto l’onore di compartecipare.

Insomma, un disco come Fission ha qualcosa per tutte le orecchie e tutti gli animi, nei testi, nei ritmi, nei groove sempre interessanti, nelle progressioni mai scontate, nelle melodie sempre eleganti e nella capacità di saper mettere anche un po' di rabbia e frustrazione nei momenti giusti. Un inaspettato e meritevole candidato a disco dell’anno, che sicuramente, al netto delle mere classifiche, rimarrà nei cuori e nelle cuffie di chi ha imparato ad amarlo anche per gli anni a venire. E questo, alla fin fine, è il migliore complimento che gli si possa fare e augurare.