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REVIEWSLE RECENSIONI
22/05/2019
Whitesnake
Flesh & Blood
I Whitesnake tornano con una prova cazzuta e pimpante, indubbiamente la migliore rilasciata nel nuovo millennio, e tutto si può dire tranne che questa sia il prodotto di un gruppo di dinosauri in disarmo.

A dispetto dell’età anagrafica (quest’anno sono sessantotto), del tempo inesorabilmente foriero di acciacchi e dell’usura di anni passati a calcare i palchi di mezzo mondo, David Coverdale, è un dato di fatto, gode ancora di ottima salute. Tanto che, ad ascoltare questo Flesh & Blood, primo album di inediti dall’ormai lontano (e convincente) Forevermore del 2008, stupisce come i Whitesnake siano ancora in possesso di una classe e una potenza di tiro che tante giovani band possono solo sognarsi di notte.

Certo, i tempi gloriosi di Come ‘n Get It e 1987 difficilmente possono, e potranno, essere replicati; ma chi si aspettava di essere di fronte a un ritrovo di bolliti misti pronto a replicare una formula frusta allo scopo di racimolare quattro lire in vista di una confortevole pensione, ha capito proprio male.

I Whitesnake tornano con una prova cazzuta e pimpante, indubbiamente la migliore rilasciata nel nuovo millennio, e tutto si può dire tranne che questa sia il prodotto di un gruppo di dinosauri in disarmo. Ovviamente, la formula è quella di sempre, ormai consolidata nello svolgimento, indirizzata da tempo verso un suono decisamente più “americano” e priva di picchi di originalità che facciano gridare al miracolo. E diciamolo pure, senza remore: Coverdale ha perso un po' del suo smalto, non è più in grado di grandi estensioni e si affida più alla gola che al petto quando deve affrontare le note più alte. Però, quel timbro sanguigno da bluesman, lo stesso che, personalmente, me lo faceva preferire a Gillan durante la sua militanza nei Deep Purple, è rimasto intatto e soprattutto nei brani più lenti continua a emozionare come ai bei tempi.

Flesh & Blood, al netto di quanto appena scritto, è un signor disco, di quelli da passare a tutto volume dalle casse dello stereo o da ascoltare a palla in macchina, finestrini abbassati e capelli al vento, in cerca di un sogno di rock ‘n’ roll. Il repertorio consueto è più scintillante che mai: i riff potenti e immediati, i ritornelli e coretti a facile presa, e gli assoli dispensati con gusto, tecnica e fantasia (un plauso va alla potenza di fuoco di due straordinari chitarristi come Joel Hoekstra e Reb Beach) sono un marchio di fabbrica evidentemente inossidabile.

La band gira al massimo, sta sul pezzo con incredibile determinazione e sostiene Coverdale per tutta la durata di un disco che ha davvero pochi cali di tensione. Tirate come Good To See You Again (che apre il disco), Shut Up And Kiss (lanciato come singolo), la portentosa Hey You o Get Up, sono sventagliate di pura adrenalina che suggeriscono che qui le percentuali di testosterone sono ancora altissime.

Se Always & Forever rilascia addirittura fragranze ammiccanti al pop e When I Think Of You possiede le sembianze di un virile ballatone Aor dal furbissimo appeal radiofonico, la band si gioca le carte migliori quando irrompe in territori rock blues, forgiando con straordinaria classe una gemma come Heart Of Stone, millesimato del Whitesnake sound, con Coverdale in gran spolvero e un assolo di chitarra col pedale wah wah in fiamme che si divora il cuore del brano.

C’è anche spazio per After All, pausa acustica dal sapore seventies, in cui Coverdale si concede il tempo per una lectio magistralis canora da autentico fuoriclasse. Il punto esclamativo, questo, su un disco che tiene splendidamente per tutta l’ora di durata (un’ora e ventitre nella versione deluxe) e che ci restituisce una band che non abdica di fronte ai gloriosi anni, gli ottanta, in cui faceva sfracelli a ogni disco pubblicato. I Whitesnake sono tornati alla grande, zittiscono i detrattori e regalano ai loro fan un disco che togliere dal piatto sarà un problema. Rock On!


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