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REVIEWSLE RECENSIONI
Forever Howlong
Black Country, New Road
2025  (Ninja Tune)
INDIE ROCK ALTERNATIVE AMERICANA/FOLK/COUNTRY/SONGWRITERS
8,5/10
all REVIEWS
17/04/2025
Black Country, New Road
Forever Howlong
Un disco non immediato ma accattivante quello dei Black Country, New Road, che dopo la dipartita di Isaac Wood hanno sviluppato un cammino forse meno originale ma comunque interessante e degno di nota. Un Alt Folk puntuale, efficace e coeso, che mette in risalto il lavoro e il talento dei sei polistrumentisti.

In dark there comes the light / And we must try with all our might to keep this thing alive” cantano in “Socks”, una delle tracce migliori del nuovo disco, ed è lecito riflettere sul fatto che, sebbene siano parole all’interno di un testo che parla di tutt’altro, si possano riferire senza troppi problemi anche alla particolare situazione della band.

Rapido riassunto per chi si fosse messo in ascolto solo ora: i Black Country, New Road, già Nervous Conditions, avevano entusiasmato la scena indipendente con due dischi usciti in piena pandemia, che pur muovendo da quel revival Post Punk a quei tempi al proprio apice, dimostravano una certa fantasia nel districarsi da formule prestabilite per esplorare territori il più possibile distanti fra loro (si spaziava con disinvoltura dalle influenze Jazz alle suggestioni Klezmer, il tutto con una “botta” che ricordava i migliori Slint).

Ce li siamo goduti poco, purtroppo, e sono pochissimi i fortunati che hanno potuto vederli dal vivo: il cantante e chitarrista Isaac Wood ha mollato subito dopo la pubblicazione di Ants From Up There, nel 2022, costringendo il gruppo ad adempiere gli obblighi del tour portando in giro del materiale inedito composto in fretta e furia, in parte uscito poi su Live at the Bush Hall, caso quasi unico di disco dal vivo contenente solo canzoni mai uscite prima su disco.

Con Wood e la sua anima tormentata fuori dai giochi, la trasformazione del sestetto di East London in un ensemble in bilico tra Alt Folk e Indie Rock, sulla scia di collettivi come Arcade Fire,  Decemberists e Broken Social Scene, era data abbastanza per scontato, anche se in pochi avrebbero scommesso che sarebbero riusciti a trovare la quadra in così poco tempo.

 

Forever Howlong recupera il restante materiale rodato sui palchi negli ultimi due anni e aggiunge composizioni nuove, ma la grande differenza con la precedente uscita è che tutti i brani sono stati rifiniti in maniera definitiva, proprio allo scopo di essere fissati su disco, con l’aiuto del produttore James Ford (Arctic Monkeys, tra gli altri) che li ha aiutati a fornire un’impronta più omogenea ai vari brani.

Ci sono stati dei cambiamenti, pur nella sostanziale continuità: il sassofonista Lewis Evans ha fatto sapere di non voler più cantare, approfittando di una regola che il gruppo si era dato prima di iniziare a lavorare al disco, per cui se qualcuno non si fosse trovato più a suo agio dietro al microfono, sarebbe bastato dirlo (nell’immediato periodo post Wood le parti vocali erano state gestite un po’ da tutti, data l’urgenza della situazione).

Le redini del collettivo sono state così prese in mano dal terzetto tutto femminile capitanato da Tyler Hyde (basso), ormai vera e propria frontwoman e leader de facto, nonostante i nostri si considerino a tutti gli effetti una democrazia compiuta; accanto a lei la tastierista May Kershaw e Georgia Ellery, conosciuta soprattutto per il suo lavoro coi Jockstrap, e per questo motivo meno attiva sul fronte della composizione.

 

I sei sono tutti polistrumentisti, cosa che a detta loro ha notevolmente facilitato il processo creativo: più che persone che suonano insieme nella stessa stanza, hanno spiegato, queste canzoni hanno a che fare con diverse individualità che fanno cose diverse e che solo in un secondo momento le mettono in comune, per una creazione d’insieme che sia più vasta delle singole parti.

La maggior parte delle idee è arrivata dal fronte Hyde/Kershaw/Evans, coi restanti tre che hanno contribuito soprattutto in sede di arrangiamento; vero però che uno degli episodi migliori, “Two Horses”, è frutto della fantasia di Ellery, che ha portato ai suoi compagni un pezzo Folk particolarmente scuro, con echi di ballata medievale, che racconta la storia di una donna in viaggio per la campagna inglese coi suoi due cavalli, alla ricerca di qualcuno con cui dividere la strada; ad un certo punto si ferma in un bar e incontra un uomo, con cui nasce un certo feeling. I due proseguono insieme fino a quando lui non le uccide entrambi i cavalli.

 

In generale si tratta comunque di un disco aperto, a tratti quasi liberatorio, in maniera non troppo dissimile da quello che già era il precedente disco dal vivo. La novità, semmai, sta nello sviluppo dei singoli brani: “Sono canzoni che hanno groove e allo stesso tempo non ce l’hanno” hanno detto, e difatti a colpire sono sia le ritmiche irregolari e fantasiose (il batterista Charlie Wayne ha detto di avere ascoltato molto Fetch the Bolt Cutters di Fiona Apple per trovare ispirazione) sia lo sviluppo articolato e poco lineare delle varie tracce, che fluiscono spesso in un lungo e ininterrotto flusso di coscienza, con i vari strumenti che si alternano, montano e scendono, in una tavolozza di colori continuamente cangiante (“Socks”, “Happy Birthday” e “Nancy Tries to Take the Night” le più significative da questo punto di vista).

Sassofono, violino e flauto sono inoltre funzionali a creare un’atmosfera cameristica sempre puntualmente gestita (è ad esempio l’espediente che consente la dinamicità di “Two Horses” ma anche “For the Cold Country”) mentre il modo in cui divagano nelle parti strumentali cita neanche troppo velatamente le architetture di certo Canterbury Sound.

 

Un disco non immediato, certo, ma allo stesso tempo anche molto accattivante, con un lavoro più puntuale ed efficace sulle singole canzoni, che a dispetto del coefficiente di difficoltà, appaiono ora più coese e meno sfilacciate che in passato.

Lo si poteva intuire anche prima ma adesso è una certezza: la dipartita di Isaac Wood ha permesso ai Black Country, New Road di sviluppare un cammino forse meno originale (anche se il modo in cui interpretano gli stilemi Alt Folk è senza dubbio degno di nota) ma altrettanto interessante. Lo scorso giugno, quando li ho visti l’ultima volta, mi sembravano cresciuti anche dal vivo. Verificheremo quest’estate.