Fresques sur les parois secrètes du crâne è il secondo album dei Cheval de frise. Viene pubblicato per la prima volta su vinile e cassetta, circa vent'anni dopo la sua pubblicazione su CD.
Cominciamo col dire che ascoltare questo album oggi non ne ha ammorbidito la portata: è duro e sfuggente come sempre. Forse oggi è ancora più inafferrabile di quanto sembrasse quando è stato pubblicato per la prima volta, come se i due decenni passati l'avessero reso ancora più strano, oscurando le sue intenzioni e approfondendo il suo mistero. Un mistero che si manifesta in un diluvio delirante e inconsapevole di gesti, ognuno dei quali è preciso, contato, pesato ed equilibrato.
Anche dopo vent'anni non è ancora chiaro come poter definire la musica degli Cheval de frise, né capire da dove traggano la loro mastodontica intensità. Dimenticate tutti i generi, il math-rock, post-rock e prog. Nulla ci rassicurerà sulle motivazioni che hanno spinto Thomas Bonvalet e Vincent Beysselance a fare tanta attenzione nell'essere così sfuggenti. Ma se vogliamo cercare di cercare di capirli, dobbiamo cominciare a immaginare due giovani ragazzi, di cui l'élite musicale si è recentemente accorta in occasione di un primo disco convulso, che hanno appena trascorso un intenso periodo di estenuanti concerti tenuti sull'orlo di un abisso e di un aneurisma.
Bonvalet e Beysselance sono come due saldatori che tremano di febbre con le T-Shirt dei Ramones, i cui giorni e notti si fondono in ruminazioni strumentali, sogni poetici, malsani e consumanti, impegnati in un ascolto compulsivo del post-hardcore americano più deviante, suggestionati da proiezioni mentali tremolanti, in cui i nomi latini delle piante semidivorate da insetti trovate su incisioni botaniche del XIX secolo si fondono a film d'animazione cechi, dischi di Derek Bailey e musica antica, cinema fantasy e letteratura gotica, ossessioni poliritmiche, gusto per il rumore e le esplosioni elettriche, premonizioni teologiche e voci eretiche, tassidermia, disgusto, fervore, birre stantie, panini, porpora minacciosa, ottusità mentale del bayou.
Bonvalet e Beysselance raccolgono instancabilmente le impronte digitali dei gruppi musicali che amano o che li disturbano, per poi mescolarli e trasformarli. Il duo parla e pensa instancabilmente di batteria: dirottando la batteria, sovrapponendo la batteria, sconfiggendo e glorificando la batteria. Si fregano il doppio rullante di Cheer-Acci e prendono il loro impulso dall'oscuro Blake Fleming. Persino la chitarra sempre acustica e sempre amplificata di Bonvalet sembra bere dai barili (off-beat, sincopi, colpi).
Da questo impuro alambicco, gli Cheval de frise attingono forti, mal miscelate, pericolosamente dosate manciate di un rock'n'roll spaventato, molto estetico ma un po' brutto, di una bruttezza trasfigurata. Trasfigurata da cosa? La domanda rimane aperta. Come quasi tutte le altre domande che l'ascolto ripetuto l'ascolto di Fresques solleva.
Abbiamo già detto e sentito tutto sui Cheval de frise, sul loro senso di vituperazione, il fascino arrugginito del Gastr Del Sol, la loro frenesia, anche nei loro astrusi resoconti e nelle loro misure così strane che si rischia di perdere l'algebra. Un gruppo impressionante, spettacolare, che lascia senza fiato e forse, soprattutto, una delle più paradossali band che il rock abbia mai prodotto.
Gli Cheval de frise evocano le divagazioni cubiste di un jazzman esperto, ma mentre si sforzano di tradurre le inclinazioni punk hardcore nel miglior modo possibile; ricordano i parossismi del flamenco, ma con una chitarra di nylon che flette i suoi muscoli sulle incudini del metallo più scuro. Si aggirano nelle paludi dell'Americana tirando fuori le cadenze tumultuosamente barocche di Pancrace Royer o Kapsberger, piuttosto che il picking pensoso di John Fahey. In questo modo gli Cheval de frise si presentano come una band brulicante di ossessioni ma con la capacità di riuscire a dissolverle quasi tutte, creando ad ogni misura un territorio sconosciuto, che verrà sperimentato senza sosta.
L'album, ristampato con il permesso di RuminanCe (Parigi), uscirà il 17 novembre 2023 per l'etichetta di New York City con Computer Students™.
La versione in vinile bianco (180g HQ) vinile bianco (180g HQ), è accompagnata da una copertina apribile le cui illustrazioni sono state gentilmente fornite dall'orto botanico dell'Università di Padova. Sono tratte dall'opera di Otto Brunfels Herba-rum Vivae Eicones (1532). Include anche un imponente un imponente libretto di 12 pagine con foto scattate da Thomas Bonvalet nel 2002, dimenticate nel 2007 e poi riportate alla luce nel 2017. L'intero pacchetto è contenuto nell'ormai iconica custodia sigillata in alluminio. I 10 brani dell'album sono stati rimasterizzati da Carl Saff a Chicago.
Entrambe le versioni, su cassetta e digitale, saranno presentate nelle loro forme più essenziali.
Tracklisting
1. Lucarne des combles
2. Bora Lustral
3. Le puits
4. Deux nappes ductiles
5. Songe de perte de dents
6. Fresques sur les parois secrètes du crâne
7. L'agonie dans le jardin
8. Phosphorescence de l'arbre mort
9. IX
10. Chiendent