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REVIEWSLE RECENSIONI
18/12/2020
NLE Choppa
From Dark To Light
Con questo progetto, pubblicato nel giorno del suo diciottesimo compleanno, NLE Choppa stupisce non poco: il disco sembra segnare la fine della transizione artistica e umana intrapresa dal ragazzo qualche mese fa.

Dopo un periodo nel quale in America le uscite sono state stranamente poche, nel weekend di Halloween sono stati pubblicati tre progetti interessanti: “Welcome to O’Bloc” di King Von, “Pegasus” di Trippie Redd e “From Dark to Light” di NLE Choppa. Nonostante consigli l’ascolto di tutti questi dischi, ho scelto di scrivere dell’ultimo per due semplici motivi: King Von è stato ammazzato venerdì 6 novembre e dunque mi sembrava prematuro parlare di questo album a fronte dell’accaduto, “Pegasus” invece non l’ho trovato particolarmente originale.

Con questo progetto, pubblicato nel giorno del suo diciottesimo compleanno, NLE Choppa stupisce non poco: il disco sembra segnare la fine della transizione artistica e umana intrapresa dal ragazzo qualche mese fa. Se “Top Shotta”, album uscito ad agosto, segnava la fase centrale di questo percorso di purificazione, come lo ha definito lui stesso, ora sembra aver raggiunto l’obiettivo.

Divenuto noto a inizio 2019 con la hit “Shotta Flow”, si è fatto subito paladino di quel gangsta rap irriverente interpretato da artisti come Blueface, DaBaby o Stunna 4 Vegas e una volta raggiunto il successo si è spostato verso una dimensione più matura. Quest’anno, inoltre, è stato nominato dalla xxl nella freshman chyper 2020 in cui ha mostrato tutte le sue capacità.

Il disco si apre con una intro parlata in cui vengono messe in chiaro le intenzioni del progetto: “In this project, I'll be explaining the truth, my real story but at the same time, embracing my growth. The dark side of me, the violent side of me but also?showing?the?growth in my?spiritual self”.

Dalla seconda fino alla tredicesima e ultima traccia si ha un respiro completamente diverso rispetto ai progetti precedenti. Si crea un’atmosfera in cui i pensieri del rapper si delineano su ottime strumentali che sfociano in suoni più classici del genere, come le trombe, presenti in quasi tutte le produzioni, ma in cui non vengono abbandonati i kick e gli 808 più classici della Trap. Un’unione di suoni che risulta perfettamente efficace ai fini dell’ascolto.

Dunque si passa da strumentali molto standard come quelle dei progetti precedenti a queste in cui il suono diventa più armonioso. Si passa da flow più duri e cadenzati ad altri molto più melodici.

Due degli episodi in cui si può notare maggiormente ciò sono “Picture me grapin'" e “Done". La prima è una ode e semi citazione a Tupac e anche la base sembra suonare come un riadattamento dei suoni originali del rapper di New York al sound del 2020. La seconda invece si lascia andare in un testo maggiormente sentito su una base più minimale ma senza dimenticare il lato melodico di cui ho già parlato.

Tutti gli amanti del genere, me compreso, quest'anno hanno acclamato “The Goat" di Polo g e la vicinanza tra i due è evidente in questo progetto, che suona più simile all'ultimo dell'amico che ai suoi stessi album precedenti.

Anche i testi sembrano aver fatto un salto di qualità. Rimangono episodi in cui racconta di quanto sia Trap la sua vita ancora oggi, in cui non rinnega il suo passato, altri in cui racconta di cosa ha scoperto grazie alla meditazione e su come stia meglio ora, e infine altri in cui dice la sua sull’essere un personaggio pubblico e di successo. Tutti i testi hanno una componente comune: sua madre, da sempre al centro della sua vita e diventata virale per il video in cui gli lancia il tosta pane in diretta poiché suo figlio urla troppo, scena decisamente esilarante, che ha contribuito a costruire la figura del personaggio.

Personalmente NLE Choppa l’ho sempre considerato più simpatico che bravo, mi divertivo a guardare le sue dirette Instagram ma musicalmente, a parte le hit più note, mi ha sempre lasciato abbastanza indifferente; con questo disco invece ha invertito la rotta, pubblicando uno dei lavori che ho apprezzato maggiormente nell’ultimo periodo e in cui non è presente una cosa tipica dei dischi d’oltreoceano: i filler. Spesso infatti vengono pubblicati dischi da venti e passa canzoni in cui ce ne sono sempre cinque o sei evidentemente sottotono che servono a riempire la tracklist. Su questo album è stata fatta una scelta differente e sembra aver premiato il neo diciottenne, che speriamo prosegua sulla strada appena intrapresa.


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