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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
10/01/2022
Sarah McLachlan
Fumbling Towards Ecstasy
Sarah McLachlan sembrerebbe categorica, in Circle: “Cos'è questo amore che mi fa tornare indietro per avere di più, quando poi finirà in tragedia...”. In realtà è solo una tappa del percorso terapeutico in dodici canzoni presenti nello splendido Fumbling Towards Ecstasy in cui l’autrice, dopo un bruttissimo periodo, si riappropria delle sue emozioni e riprende a non temere il più nobile sentimento che custodiamo dentro l’anima.

Il 4 dicembre 1994 il Rolling Stone di Milano era strapieno per loro, gli iconici Crash Test Dummies, freschi artefici di un sorprendente album folk-rock carico di immagini bibliche e inusuali, ben interpretate dalla voce basso baritonale del leader Brad Roberts. No, non ho sbagliato introduzione: come meraviglioso e innovativo era il loro God Shuffled His Feet, così deludente e prevedibile fu il loro breve live. L’evento fu salvato dall’opening act, grazie a una sconosciuta, almeno per l’Italia, Sarah McLachlan che, salendo timidamente sul palco e pronunciando un semplice e terrorizzato ”Hello”, cominciò con la folgorante "Possession" a presentare il suo recente lavoro, Fumbling Towards Ecstasy, una ventata di aria fresca nel mondo del cantautorato femminile.

Pubblicata inizialmente in Canada, nell’autunno ’93, l’opera di Sarah varca i confini della sua terra l’anno successivo, a Febbraio, e, forte per il crescente successo in America, vola oltreoceano, fino a diventare top seller anche in Europa.

Un disco profondo, carico di atmosfere cupe, allietate dalla sua splendida voce, dalla capacità di modulare timbro e toni permettendole di descrivere perfettamente le ansie, i tormenti vissuti in quel periodo. Se l’esordio Touch, con le prime “candide” canzoni scritte, intrise di amore e speranza, rilevava comunque in parte la vena poetica della McLachlan, il tutto in un’atmosfera eterea, come se stesse raccontando dei sogni, il successivo Solace trasuda già disincanto e confusione, tipico di chi ha perso l’innocenza, pur avendo da poco superato i vent’anni. Fumbling Towards Ecstasy dipinge invece gli incubi di un’artista catapultata in poco tempo al vertice del music business nel proprio paese, dove alla felicità per essersi affermata si sovrappongono le pesanti controindicazioni dell’impossibilità di tornar anonimi e poter vivere una vita normale.

Una brutta situazione caratterizza l’esistenza di Sarah in quel momento: due fan superano la barriera del rispetto e del buon gusto e si trasformano in stalker, seguendola in ogni concerto e arrivando a scriverle lettere che a mano a mano evidenziano la tendenza psicopatica dei personaggi. Uno di loro addirittura si trasferisce a Vancouver, città dove la songwriter viveva in quel frangente, materializzandosi quotidianamente nei dintorni di casa sua. Fortunatamente una sentenza del giudice emana un decreto restrittivo e il folle viene allontanato, ma la vicenda sconquasserà in modo viscerale la musicista, che si ritirerà a meditare solitaria in un rifugio sulle montagne meridionali del Quebec.

Solo lei e i suoi due gatti, lontano dai clamori, dal gaudio, per dimenticare la disperazione di poco prima. Solo lei e la sua voce, che echeggia disperata nella vastità e poi si spegne…

“Listen as the wind blows
From across the great divide
Voices trapped in yearning
Memories trapped in time
The night is my companion
And solitude my guide
Would I spend forever here
And not be satisfied”.

“Ascolta come soffia il vento da oltre il confine. Voci intrappolate nel desiderio, ricordi intrappolati nel tempo. La notte è la mia compagna e la solitudine la mia guida. Starei qui per sempre senza essere soddisfatto?”

 

L’inizio di Possession è di una raffinatezza incredibile, eppure incarna la situazione vissuta sia dalla preda/fuggitiva –in questo caso descritta inconsciamente, ma le liriche calzano a pennello-, sia dal cacciatore/stalker. Entrambi vivono un’insoddisfacente solitudine, chi per eliminare il recente triste passato, chi obnubilato dal desiderio perverso, ormai di lungo tempo e mai sopito. Anche l’incipit musicale è da brividi con il suono dell’organo in “fade in” cioè a salire di volume e fare da sponda al simil ululato di Sarah che introduce i primi versi sopra riportati.

Sono passati ormai tre mesi dal ritiro in quella baita, ma finalmente la cantautrice ha ritrovato l’ispirazione; gli ascolti incessanti di Joni Mitchell, di Tom Waits, uniti a quel piccolo capolavoro misconosciuto che fa di nome Spirit of Eden e rappresenta un forte cambio di marcia per le sonorità dei Talk Talk, hanno dato i loro frutti e ora insieme al fido Pierre Marchand, “allievo” di Daniel Lanois, le idee per i brani piovono come stelle nel cielo d’agosto. Ogni giorno la McLachlan percorre i tre chilometri che la separano dallo studio di registrazione con nuove scritture, azzeccate partiture e bozze di canzoni che miracolosamente prendono vita.

"Wait" è una di queste, comincia con il rumoreggiare tipico di un temporale e si espande morbida, con la continuità di una pioggia d’aprile. Il testo segue a ruota, “Under a blackened sky far beyond the glaring streetlights sleeping on empty dreams…”

L’artista canadese sfodera in tutto l’album pure le sue capacità al piano, come nella soffusa "Mary", e alle chitarre, esemplari in questo caso l’elegia elettroacustica "Elsewhere", forse la traccia più triste dell’opera, e "Hold On", che lascia quella sensazione di essere sospesi, a un passo dal burrone. Prevale quindi soprattutto l’oscurità, per merito di un Hammond B3 piacevolmente invadente e un basso monolitico che, grazie a un limitato uso del riverbero, contagiano tutte le melodie, evidenziando una notevole limpidezza del suono, chiaramente voluta.

Fumbling Towards Ecstasy rimane un disco intimista, in cui viene tratteggiato l’inverno del cuore, scaldato solamente in parte da alcune canzoni aventi sonorità più solari: in tal caso brilla giocosa "Ice Cream", ritratto di felicità fugace e alimenta un senso di pace "Good Enough", forse il pezzo più famoso, che parla di un tema scottante, l’abuso psicologico dell’uomo nei confronti della compagna in alcuni rapporti di coppia, ma tratta questo argomento con dolcezza, sottolineando anche la necessità di solidarietà tra donne.

Analizzando la globalità dell’opera, però, si denota un percorso che, attraverso un’impetuosa tempesta, conduce a barbagli di sole e apporta un’insperata serenità, che può consentire di riappropriarsi dell’esistenza. Così, dopo l’acquazzone "Circle", splendido brano, il più uptempo della raccolta, con tre bassi in circolo, parafrasando il titolo, e le raggelanti, ma dense di poesia "Ice" e "Fear", dove compaiono rispettivamente un sax e un cello meravigliosamente algidi, arriva il calore e la luce della title track. Fumbling Towards Ecstasy, non a caso posta alla fine del viaggio musicale dell’autrice, è probabilmente la meno riuscita dal punto di vista strumentale, troppo appesantita dal Drum Programming del Roland TR-808 Rhythm Compose, ma rappresenta la liberazione dalle paure passate di Sarah, che in un canto accorato si scioglie e grida “I won’t fear love”, pronta a riprendersi la vita.

Una vita che, oltre alle tristi parentesi raccontate, è sempre stata movimentata, ricca di colpi di scena, come quando, a nove anni, ha scoperto, senza minimamente scomporsi, di essere stata adottata. Ma forse proprio questa è la forza della McLachlan: ha attinto da situazioni stucchevoli, inaspettate e drammatiche l’insegnamento per andare avanti e curare le ferite dell’anima.

Ne è dimostrazione la fantastica carriera che le si è parata davanti, in barba alle asperità.

Arriverà una serie di lavori di conclamato successo, su tutti Surfacing (1997) e Afterglow (2003), l’organizzazione del Lilith Fair Tour, una quantità infinita di onorificenze, fra cui l’induzione alla Canadian Music Hall of Fame nel 2017, oltre alla partecipazione a numerosi eventi caritatevoli.

Sarah non ha mai dimenticato i momenti difficili e, come nello stupendo album di cui abbiamo parlato, si è rifugiata nel suo profondo più segreto, in direzione del battito del cuore.