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REVIEWSLE RECENSIONI
07/06/2019
The Amazons
Future Dust
Un suono orientato verso gli anni ’90, in bilico fra suggestioni americane e sentori pop britannici, che non riesce mai a superare lo steccato del deja vu, ma che produce qualche canzone di buon impatto

 

Ci sono gruppi (gli antesignani furono gli Arctic Monkeys, non so se ricordate) che non hanno bisogno nemmeno di registrare un disco, per sfondare: basta un hype creato ad hoc e un paio di video ben fatti e con tanti click, e il risultato sperato è raggiunto. Questa è più o meno la gavetta degli Amazons, che si sono formati a Reading, Berkshire, nel 2014, e che in tre anni si sono fatti notare solo a colpi di singoli, tanto che sia la BBC che MTV, due colossi in Inghilterra, li hanno pompati così tanto che nel 2017 si parlava di loro come la new sensation o la next big thing.

Dell’omonimo album d’esordio (The Amazons, 2017), si sapeva già tutto prima della sua uscita, perché in realtà altro non era che una raccolta dei singoli già pubblicati nel corso della breve carriera della band. Messo nel lettore, il cd suonava, quindi, come una sorta di best of di canzoni che avevamo già orecchiato in precedenza e che avevano contribuito a gonfiare il fenomeno. La produzione di Catherine Marks (già alle prese con Killers, Foals e Local Natives) era riuscita a dare un po' di omogeneità all’assemblaggio del materiale, ma il disco, però, si perdeva nella terra di mezzo popolata da quella musica che, per quanto carica di hype, finisce per essere sostanzialmente inutile. The Amazons, infatti, aveva in scaletta un pugno di brani power pop, gonfi di riff rumorosi ma innocui e di tastieroni un po' retrò, che saturavano il suono. Nulla di particolarmente brillante, tasso di originalità zero e melodie bubblegum e senza pathos da consumare velocemente.

Future Dust propone una formula più o meno simile, ma fortunatamente alcune cose sono cambiate, e in meglio. Se il mood dell’esordio era “vediamo un po' l’effetto che fa“, questo nuovo disco suona indubbiamente più omogeneo, si percepisce una visione di insieme che prima mancava e i brani, decisamente meglio arrangiati, dimostrano un lavoro più efficace sotto il profilo della scrittura.

Il leit motiv del disco resta il medesimo, e cioè far convivere energici riff di chitarra con melodie di facile presa e buone per passaggi radiofonici. Un suono orientato verso gli anni ’90, in bilico fra suggestioni americane e sentori pop britannici, che non riesce mai a superare lo steccato del deja vu, ma che almeno produce qualche canzone di buon impatto.

Mother, il singolo che apre il disco, si sviluppa su un riff quasi stoner, Doubt It ammicca ai Black Keys ma risulta vincente grazie all’uso dei cori e a un refrain irresistibile, Warning Signs è un saliscendi emotivo che attenua la sfrontatezza della band con atmosfere leggermente più cupe. E la conclusiva Georgia, se non citasse smaccatamente Hotel California degli Eagles, sarebbe davvero una grande canzone, di quelle che durano ben oltre il tempo di qualche ascolto.

Future Dust, non è affatto un brutto disco, ma agli Amazons manca sempre quel quid di sporcizia in più per poter fare il grande salto di qualità. Rispetto all’esordio, però, è stato fatto un deciso passo avanti, e queste canzoni da stadio, pompate e melodiche, pur nella loro prevedibilità, hanno almeno dismesso i panni di un (pop) rock dal sapore postadolescenziale. Per la maturità, se mai arriverà, c’è ancora strada da fare, ma Future Dust rappresenta comunque uno scarto di qualità rispetto al passato e un abbrivio importante per il futuro.


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