I Goat andrebbero visti dal vivo per poterne godere appieno. L’aura di mistero che da sempre li circonda, con l’anonimato dei suoi componenti protetto dietro a fantasiosi costumi di scena a metà tra l’esotico e il folklorico, costituisce probabilmente il dato più appariscente e caratteristico di questa band. L’aspetto visivo è dunque decisamente importante, direi addirittura indispensabile, per non correre il rischio di farsi intrappolare in quella che a volte potrebbe apparire come una proposta eccessivamente ripetitiva.
Sin dal loro esordio nel 2012 (emblematicamente intitolato “World Music”) i Goat non hanno mai variato più di tanto e hanno continuato a proporre la loro miscela di psichedelia e Afro Beat, non senza un qualche richiamo alla Fusion. Vengono dalla Svezia ma non c'è nulla di nordico nel loro sound; piuttosto, il paesino da seicento anime dal quale hanno sempre detto di provenire (sarà poi vero? Di loro dopotutto non sappiamo granché) si configura come una sorta di base di partenza per esplorazioni che hanno il mondo intero come confine vero e proprio.
Questo “Fuzzed in Europe” è già il secondo live in una carriera ancora decisamente breve, testimonianza del fatto che il collettivo ha in mente questa forma come il modo migliore per poter comunicare al meglio con gli ascoltatori.
Sono solo sei i brani proposti, all’interno di una scaletta comunque ben assortita che pesca in tutti e tre i dischi realizzati in studio.
Sebbene ci sia stato qualche rimaneggiamento qua e là (il finale in fade dell’ultima traccia non è molto apprezzabile, per non parlare del fatto che tra un pezzo e l’altro si avvertono chiaramente i tagli operati), il risultato complessivo è assolutamente apprezzabile e ci restituisce in pieno l’energia e lo spirito di liberazione che si può respirare all’interno di un loro concerto.
Percussioni sempre ossessive e ripetitive, in pieno stile africano, chitarre che graffiano e pulsano, a volte le tastiere a fornire un tappeto che aumenta la suggestione del pezzo e tiene alta la tensione; su tutto si innnestano poi le vocals femminili, di quelle che sono a metà tra le coriste e le cantanti vere e proprie. Linee melodiche ripetitive, quasi filastrocche (o formule magiche, se preferite) che sembrano avere il compito di aprire porte verso misteriosi mondi. È musica festosa, almeno in apparenza, ma più volte siamo come sospesi, aspettando il momento in cui la tensione verrà rilasciata; cosa che, a ben guardare, non accade spesso: i Goat giocano sul ritmo e hanno tutte le intenzioni di tenerci ben incollati a loro.
In effetti questo live, a sentirlo dall’inizio alla fine, appare più come un rito sciamanico che come un disco vero e proprio. Si viene ipnotizzati dalle melodie, rapiti dall’ondeggiamento e dal palpitare del ritmo ma le Jam e le improvvisazioni hanno il loro ruolo, con le code dei brani che regalano momenti di altissimo livello. L’incalzare di “Gathering of the Ancient Tribes” o il lungo, travolgente finale di “Run to Your Mama” da questo punto di vista valgono l’ascolto.
Un prodotto che avrebbe potuto essere più lungo ma che, in questa formula concisa, rappresenta uno strumento utilissimo per chi volesse muovere i primi passi nell’universo variopinto dei Goat. Non è come assistere ad un loro concerto ma di sicuro è meglio di niente…