Forse pochi se lo ricordano, ma nel maggio del 2006, a poche settimane di distanza, sono stati pubblicati sia 10,000 Days dei Tool sia Taking the Long Way delle (allora) Dixie Chicks. Due lavori molto diversi di due band sostanzialmente agli antipodi che, una volta arrivate all’apice della carriera, sono discograficamente scomparse. Ma se Maynard James Keenan e soci hanno rotto il silenzio l’anno scorso con il monumentale Fear Inoculum, le (attuali) The Chicks ci hanno messo solo qualche mese in più, pubblicando il loro disco decisamente più agile e Pop, e concludendo così un percorso di progressivo allontanamento dal mondo del Country iniziato quattordici anni fa. Ma andiamo con ordine.
Le Chicks che avevano chiuso gli anni Duemila accompagnando in tournée gli Eagles erano una band ormai esausta. Dopo aver conquistato Nashville e l’America intera con un tris di capolavori come Wide Open Spaces, Fly e Home, tutti premiati con il Grammy per l’album Country dell’anno, nel 2003 Natalie Maines, Emily Strayer e Martie Maguire si sono trovate improvvisamente estromesse da quella stessa industria che per quasi dieci anni avevano dominato. Il motivo? Un commento franco e diretto di Maines a proposito della politica guerrafondaia di George W. Bush in Iraq. Altri tempi, verrebbe da dire con il senno del poi, durante i quali, però, la band texana è stata prima bandita dalle radio Country del Paese e poi letteralmente boicottata dalla frangia più estremista e conservatrice (e notoriamente repubblicana) dei suoi stessi fan.
Per un po’ le Chicks hanno lottato, rispondendo per le rime prima con il singolo “Not Ready to Make Nice” e poi con l’album Taking the Long Way, prodotto da Rick Rubin, nel quale adottavano un sound più Pop/Rock e un’immagine più vicina alle protagoniste di Sex and the City che della classica ragazza della porta accanto. Poi, però, pian piano Natalie Maines, Emily Strayer e Martie Maguire si sono arrese e allontanate, vuoi perché la vita ci ha messo lo zampino (Maines si è trasferita dal Texas in California dopo il matrimonio con l’attore Adrian Pasdar e tutte hanno conosciuto la maternità), vuoi perché gli interessi musicali delle tre hanno iniziato a divergere, con Maines più interessata al Rock (vedi l’album solista Mother prodotto da Ben Harper) e le sorelle Emiliy e Martie desiderose invece di recuperare le loro origini Folk e Bluegrass con il progetto Court Yard Hounds.
Nel 2016, però, le Chicks – che nel frattempo non si sono mai perse di vista – hanno ripreso ad esibirsi dal vivo con continuità e hanno avuto modo di accorgersi che un’intera generazione di nuove artiste Country e Pop le hanno prese come modello di riferimento, come Kacey Musgraves, Maren Morris, Margo Price, fino ad arrivare a Taylor Swift, che non ha mai nascosto la sua passione per il trio originario di Dallas (con il quale ha collaborato in Lover). La voglia di tornare in studio, quindi, ha iniziato a farsi largo, e inizialmente Maines, Strayer e Maguire volevano incidere una raccolta di cover, con l’obiettivo non proprio nascosto di liberarsi del contratto che le legava alla Sony (che negli anni il gruppo ha più volte denunciato per royalties non pagate). Poi ancora una volta la vita ci ha messo del suo e i piani sul lungo termine sono cambiati: all’indomani del doloroso divorzio con Pasdar, dopo quasi vent’anni di matrimonio, Maines ha trovato l’ispirazione per comporre del materiale originale e Gaslighter ha così visto finalmente la luce.
Prodotto da Jack Antonoff, che negli ultimi anni ha lavorato con Lorde, Lana Del Rey e Taylor Swift, Gaslighter vede le Chicks abbandonare definitivamente il Country più tradizionale, senza però abbracciare completamente il Pop da classifica (come ha fatto invece Maren Morris in GIRL) oppure quello più consapevole à la P!nk (altra cliente di Antonoff). Gli elementi fondanti della band (la voce di Maines, il banjo di Strayer, il violino di Maguire e le impeccabili armonie vocali ) sono al loro posto, ma l’album opta per un sound gentile e domestico, brillante e rifinito, in un certo senso ecumenico, nel quale le tre non fanno nulla per nascondere le cicatrici accumulate lungo il percorso.
Ovviamente, nei testi, Maines dà ampio spazio alla separazione dal marito, lavando in pubblico i panni sporchi senza farsi particolari problemi, come fatto anche da Beyoncé in Lemonade. Ma se in quel caso Jay-Z aveva incassato senza fiatare, consapevole dei suoi errori, a quanto pare Pasdar non ha fatto altrettanto, dal momento che pare non abbia particolarmente gradito i neanche tanto velati riferimenti ai suoi numerosi tradimenti sia nella title track («Cause boy you know exactly what you did on my boat»), sia in “Sleep at Night” («Remember you brought her to our show at the Hollywood Bowl/She said I love you I’m such a fan/I joked that you can love me as long as you don’t love my man»), tanto che prima dell’uscita del disco ha sostenuto che i testi violassero le clausole di riservatezza stabilite dal divorzio.
Ma non è solo Pasdar l’obiettivo principale di Maines & Co., perché il vero scopo delle Chicks con Gaslighter è quello di lasciarsi tutto alle spalle, reagendo e guardando avanti, e non continuando a recriminare su un passato che non si può più cambiare. Per cui c’è spazio anche per il più classico degli empowerment, come “For Her”, in cui la Maines del presente dà dei consigli alla se stessa ragazza, con un ritornello che si apre come quello di “Free Fallin’” di Tom Petty. Oppure spaccati di quotidianità, come “Juliana Calm Down”, dedicata a una cara amica della band colta in un momento di difficoltà, e “ Young Man”, scritta pensando a Jackson, il figlio maggiore di Natalie, e a come questi abbia affrontato la separazione dei genitori.
Visti i temi trattati, la velocità di crociera dell’album non procede mai a strappi, privilegiando le ballate rispetto ai pezzi più ritmati – unica eccezione “Texas Man”, forse l’unico vero pezzo Pop del disco – anche nei momenti più politici e universali, come “March March”, che alle iniziali intenzioni (ambientalismo, scuola pubblica senza fondi e risorse, eccessiva circolazione delle armi) con la stretta attualità ne ha aggiunte delle altre (razzismo, abuso di violenza da parte delle forze di polizia), esplicitate nel video promozionale, dedicato alle proteste seguite alla morte di George Floyd e al movimento Black Lives Matter.
Gaslighter (da “gaslighting”, una forma di violenza psicologica nella quale vengono presentate alla vittima false informazioni con l’intento di farla dubitare della sua stessa memoria e percezione) si chiude con “Hope It’s Something Good” e “Set Me Free”, il primo un pezzo con un finale quasi Post-Rock, dominato dal meraviglioso lavoro di pedal steel di Lloyd Maines, papà di Natalie, il secondo un pezzo acustico pieno di speranza, sostenuto interamente dalle armonie vocali create da Maines, Strayer e Maguire. Una delle ultime frasi del disco è «Would be for you to sing and release me», che può essere letta come un primo passo verso una nuova libertà, sia da una storia d’amore ventennale finita in tribunale sia da un contratto con una potente casa discografica. In entrambi i casi, ora che hanno abbandonato il loro vecchio nome e si sono lasciate tutto alle spalle – boicottaggi, divorzi, beghe contrattuali – le Chicks sono finalmente padrone di loro stesse, pronte per affrontare senza ulteriori zavorre la seconda parte della loro carriera.