La genesi di questo “George Best 30” me l'ha raccontata quest’estate lo stesso David Gedge, cantante, chitarrista, compositore, fondatore e unico superstite della formazione originale dei Wedding Present: “Dieci anni fa, subito dopo aver suonato “George Best” per celebrarne il ventennale, ci siamo trovati con Steve Albini per registrare “El Rey” (il primo disco dopo lo scioglimento di fine anni ’90 NDA). Le cose sono andate così bene che abbiamo finito in anticipo, con ancora mezza giornata di studio già pagata e prenotata. Per cui ci siamo guardati e ci siamo detti: “Beh, siamo in studio, c'è tutto l’equipaggiamento già piazzato, microfoni, strumenti e tutto. “George Best” ormai lo conosciamo a memoria, visto che lo abbiamo appena ripassato per suonarlo dal vivo… perché non lo riregistriamo?”. E così, pronti via, l’abbiamo fatto, praticamente tutto in presa diretta, una sorta di versione live in studio. E poi ce ne siamo dimenticati (ride NDA)! Già, perché all’epoca eravamo tutti presi da “El Rey”, poi abbiamo fatto “Valentina”, le cose sono andate avanti e ci è uscito di mente. Infine, l’anno scorso, quando ci hanno invitati per un festival, me ne sono ricordato: “Ma dieci anni fa lo avevamo riregistrato!” (Ride NDA). E così abbiamo deciso di pubblicarlo, finalmente.”.
Direi che questo breve racconto, strappato poco prima che la band salisse sul palco del Concorde 2 di Brighton per suonare proprio quel disco, risponde da solo alla domanda se valga o meno la pena possedere “George Best 30”.
Amo moltissimo questa band, trovo che pur avendo raccolto poco o pochissimo nel corso del loro lungo cammino, abbiano inciso dischi bellissimi e siano stati sempre capaci di evolversi, di percorrere strade differenti, nonostante una storia travagliatissima che in pratica non li ha mai fatti avere una line up stabile.
“George Best”, assieme ai successivi “Bizarro” e “Seamonsters” (quest’ultimo realizzato col contributo di Steve Albini) rappresenta comunque una delle pagine migliori del Pop britannico e come tale mi sembra più che giusto che venga celebrato a dovere, con il lungo tour che sta vedendo la band impegnata da diversi mesi in giro per il mondo.
Questa reissue, però, appare francamente superflua. Chi volesse immergersi a dovere nell’album, può tranquillamente orientarsi sulla versione quadrupla del 2014, frutto di una splendida iniziativa della Edsel, che ha ristampato i primi otto lavori del gruppo con tanto di bside, Peel Session e intere esibizioni dal vivo. È ancora disponibile ed è il modo migliore per accostarsi a questo disco, credetemi. In alternativa, pochi mesi fa, in occasione di questo tour celebrativo, è stato pubblicato “Live 2007”, che contiene la registrazione completa di un concerto a Dublino, durante il quale l’album è stato eseguito per intero. Era la stessa formazione che l'ha poi inciso in studio assieme a Steve Albini ma la presenza in scaletta di altre canzoni e il dvd dell’intera esibizione, valgono pienamente il prezzo.
Per carità, non è mica brutto, questo “George Best 30”: le canzoni sono sempre quelle e il loro valore non si discute; non è stata cambiata loro nemmeno una virgola e la produzione è grezza ma allo stesso tempo nitida, con Albini che non si è imposto più di tanto ma si è messo al servizio del sound di Gedge e dei suoi compagni di avventura di allora.
È un lavoro frizzante e particolarmente uniforme, che gioca in tutta la sua durata la carta della velocità, che spinge forte col suo Jangle Pop in salsa Punk e presenta tutta una piccola commedia umana fatta di gelosie, tradimenti e brevi storie passionali, con il singer che proprio in quest’occasione ha rivelato la sua bravura nel tratteggiare brevi ed incisivi quadri di vita vissuta. Negli anni successivi hanno scritto probabilmente canzoni migliori di queste (non sempre, eh!) ed è un po' difficile sostenere che non si tratti di un disco datato. Rimane lo stesso un piccolo classico del genere, che non dovrebbe mancare in nessuna collezione che si rispetti e la sua esecuzione dal vivo ad agosto ha rappresentato uno degli highlight della mia lunga estate concertistica.
Per tutti questi motivi, questo dischetto non gli rende giustizia. Avrebbe avuto più senso tirarlo fuori all’epoca e inserirlo come bonus di “El Rey”, piuttosto che farcelo pagare a prezzo pieno a dieci anni di distanza. Poi per carità, ai Wedding Present si perdona tutto e non sarà certo per questo che smetterò di amarli. Permettetemi però di non scomodare il portafogli, non questa volta.