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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
09/01/2023
Live Report
Giorgio Poi, 6/01/2023, Latteria Molloy, Brescia
Primo concerto dell’anno per il sottoscritto e non potevo che iniziare con Giorgio Poi, un artista che dall’uscita dell’esordio è saldamente in cima nelle mie classifiche dei preferiti, almeno per quanto riguarda l’Italia. Una Latteria Molloy piena di fan calorosi e affezionati, che hanno applaudito a più riprese e cantato tutte le canzoni, è stata una dimensione ideale per godersi una delle nostre piccole eccellenze italiane.

Primo concerto dell’anno per il sottoscritto e non potevo che iniziare con Giorgio Poi, un artista che da sei anni, dall’uscita dell’esordio Fa Niente, nel febbraio 2017, è saldamente in cima nelle mie classifiche dei preferiti, almeno per quanto riguarda l’Italia. Non è solo una mia fissa, però: pur fautore di una proposta poco immediata, più vicina ad un certo cantautorato “adulto” piuttosto che all’It Pop amato dalle giovani generazioni (e quando ha esordito lui si era in piena Calcutta mania) è riuscito ugualmente a ritagliarsi un seguito di tutto rispetto, favorito senz’altro dall’appartenenza alla famiglia Bomba Dischi, ma costruito passo dopo passo attraverso collaborazioni di vario tipo con colleghi più blasonati come Carl Brave, Frah Quintale (è indubbio che l’enorme successo di “Missili” gli abbia giovato non poco), lo stesso Calcutta. Negli ultimi tempi si è fatto un nome anche come autore (sua la colonna sonora della serie tv Netflix Summertime, che ha fruttato anche un brano, “Leoni”, interpretato da Francesca Michielin; suo anche il singolo “Prima di partire”, che ha segnato il ritorno sulle scene di Luca Carboni nel 2019) e ha ricevuto riconoscimenti anche dall’estero, aprendo concerti dei Phoenix in Italia e negli Stati Uniti (con la band francese è nata anche un’amicizia, l’ultima volta che sono stati a Milano lo hanno invitato a duettare con loro nel finale), oltre che l’ultima data dei Tame Impala all’Ippodromo di San Siro.

Il successo di massa, quello fatto di milioni di stream e di sold out negli stadi, non arriverà mai e non credo neppure sia la destinazione finale di questo progetto: questa sera, vedendo la Latteria Molloy piena di fan calorosi e affezionati, che hanno applaudito a più riprese e cantato tutte le canzoni, abbiamo avuto l’impressione che la sua dimensione ideale sia questa e che non sia affatto un problema. Nell’era dell’accelerazione continua non è scontato rimanere sulla scena per diversi anni di fila senza flessioni.

 

Come dicevamo, nonostante il periodo festivo la Latteria Molloy, vero e proprio punto di riferimento per la vita musicale bresciana, è piena in ogni ordine di posti già ben prima del dj set post concerto (e questa è una bella notizia). In apertura c’è Roncea (già visto con Io Monade Stanca e Fuh), origini rumene e residente ad Alba, fatto su cui scherza tra una canzone e l’altra, con la complicità del pubblico (“Se venite da queste parti scrivetemi che vi dico alcuni posti in cui bere bene e spendere poco!”). Il suo è un set breve, poco meno di mezz’ora, in cui presenta, voce e chitarra, una manciata di brani dal suo repertorio solista, dall’iniziale “Il presente” (title track dell’omonimo album del 2019), passando per gli episodi più significativi dell’ultimo EP Acrobazie, pubblicato ad ottobre.

Il brano che dà il titolo al disco è una sorta di autobiografia intrecciata alla vita di suo padre, acrobata in un circo Orfei negli anni Settanta, che proprio grazie a questo lavoro è riuscito a lasciare il proprio paese e a fuggire dal regime di Ceauscescu. Una storia particolare e toccante, che racconta in poche battute poco prima di eseguire il pezzo, ma che sarebbe senza dubbio degna di ulteriori approfondimenti.

Anche la sua musica è così: scrittura leggera ma allo stesso tempo profondissima, strumenti già perfettamente limati e idee notevolmente a fuoco, una capacità di raccontarsi e di evocare melodie che richiama a tratti la lezione di mostri sacri come Niccolò Fabi e Riccardo Senigallia, ma che presenta anche interessanti spunti personali. Una versatilità notevole, se pensiamo alla proposta ben più estrema delle band da cui proviene.

Esibizione coinvolgente, la sua, con i vari brani che non perdono nulla pur se eseguiti in versione così scarna, e una simpatia contagiosa che fa da contraltare alla evidente tristezza delle canzoni. Anche il pubblico è dalla sua: segue con attenzione (c’è il solito fastidioso chiacchiericcio ma meno invadente di altre volte) e applaude convinto. Da risentire in un concerto tutto suo, ma per il momento è promosso a pieni voti.

 

Giorgio Poi e la sua band arrivano sul palco dopo una ventina di minuti, quando sono già le 22.30; si comincia, come accade ormai da inizio tour, con “Barzellette”, uno degli episodi dell’ultimo Gommapiuma. Il disco è fuori ormai da un anno, è stato suonato a lungo, nei teatri, nei festival e nei club, e possiamo affermare senza problemi che ne sia uscito più solido che mai: io stesso, che ero rimasto un po’ freddino in sede di recensione, alla quarta volta che lo ascolto dal vivo (anche questa sera è stato proposto interamente, ad eccezione del breve strumentale che gli dà il titolo e di “Bloody Mary”, quella del featuring con Elisa), mi sento di affermare che, sebbene permanga una leggera inferiorità rispetto al precedente Smog, sia un lavoro solido e ispirato, da parte di un cantautore che non ha perso un’oncia della propria efficacia, nonostante sia innegabile che continui ad usare gli stessi mezzi espressivi.

La riprova la abbiamo verso la fine, quando viene eseguita “Ossesso”, uscita dopo il disco e di fatto ultimo singolo pubblicato: è un brano ritmato, che utilizza maggiormente il Synth e che spinge di più sulla cassa, le melodie vocali e la progressione armonica sono sempre quelle; eppure dal vivo è irresistibile, fa muovere tutti ed è cantata a piena voce dalla maggior parte dei presenti.

Del resto abbiamo a che fare con un artista che non solo scrive benissimo, ma che dal vivo è da sempre una garanzia: la band è sempre la stessa, con Francesco Aprili alla batteria, Benjamin Ventura alle tastiere e Matteo Domenichelli al basso. Un quartetto affiatato (un vero e proprio gruppo piuttosto che un leader e i suoi musicisti) che garantisce esecuzioni di altissimo livello, molto di più di quello che ci si potrebbe aspettare da un concerto Pop. Sezione ritmica pazzesca, col drumming di Aprili che inietta copiose dosi di groove e che non disdegna in più punti divagazioni quasi Jazz, e Domenichelli che col suo basso è un vero e proprio ricamatore di linee melodiche. Le tastiere sono impiegate in maniera sempre versatile, andando ora ad aggiungere, ora a sottrarre la componente elettronica (molto interessante l’uso dei beat ad affiancare la batteria) e dialogando alla perfezione con la chitarra di Giorgio.

 

Il risultato è il solito grande concerto, al limite della perfezione per quanto riguarda l’aspetto esecutivo, a tratti commovente sul piano emozionale (impossibile rimanere indifferenti di fronte a delicate dichiarazioni d’amore come “Rococò” e “Giorni felici”, che hanno saputo efficacemente descrivere la realtà dei rapporti umani durante la pandemia). La scaletta è sempre quella, incentrata, come già detto, sull’ultimo disco, con Smog presente con quei brani che ormai si sono guadagnati lo status di classici (“Vinavil”, “La musica italiana”, la sempre toccante “Napoleone”, “Stella”, col suo ritornello pazzesco da urlare ogni volta a squarciagola) e i soliti estratti da Fa Niente, che gira e rigira rappresentano ancora le cose più valide dal punto di vista squisitamente tecnico e che, lo si constata ogni volta, il pubblico continua ad amare alla follia: prova ne sia l’entusiasmo che anche questa sera ha accompagnato le varie “Paracadute”, “Acqua minerale”, “Niente di strano” e ovviamente “Tubature”, che ha chiuso il concerto in un clima di allegria e singalong.

In mezzo, singoli ultra collaudati come “Il tuo vestito bianco” (tra le migliori del suo repertorio, senza ombra di dubbio), “Erica cuore ad elica” (tornata in scaletta dopo qualche tempo) e “Missili”, che questa sera era d’obbligo, visto che si suonava nella città di Frah Quintale.

 

Che dire? Per Giorgio Poi è stata l’ulteriore conferma di uno status ormai raggiunto; non enorme ma, come si diceva all’inizio, senza dubbio prezioso, date le circostanze odierne. Per quanto mi riguarda, ho perso il conto delle volte che l’ho visto ma ogni volta è come la prima e fa venire voglia di vederlo ancora.