Quel poco che so è che su Goran Bregovic probabilmente si potrebbero scrivere romanzi o girare film sulla sua vita comandata dalla musica. Invece mi trovo, quasi per errore, a ritrarlo e ad ascoltarlo sulla bella riva del lago di Bracciano, affrontando questa vergogna dettata dalla mia sterminata ignoranza. Ma ormai tutti sanno cosa è la musica per il Maestro: è il crogiolo di storie di civiltà balcaniche e mediterranee, più o meno nomadi, usato per cantarne, deriderne e celebrarne gioie e tragedie, differenze e affinità. È il Capitano del farci sentire tutti sulla stessa barca, per poi farla agitare e ridere sornione delle nostre preoccupazioni di naufragio, o forse per scacciare le sue...
Il pubblico comincia a farsi fitto, una miscela curiosa di neo-hippie, musicofili, non-più-giovani, centrosocialisti e villeggianti estivi incuriositi, nonostante il prezzo non proprio pro-proletario del biglietto. Non importa, presto saranno tutti avvolti dalla stessa nuvola di polvere del delirio danzante.
In apertura, forse la marcia funebre degli ottoni gitani tra il pubblico non è più una novità per chi segue quest'uomo nato a Sarajevo da madre serba e padre croato, ma è sempre bellissima e distraente. Infatti, in un attimo l’ultrasettantenne conquista il palco alle nostre spalle ed eccolo: cangiante, bonario, sicuro di sé. L’imbarazzo svanisce subito, al primo saluto.
Poi arriva il racconto del signor Horowitz al muro del pianto, che Giuseppe Savà racconta fedelmente su Ragusa News e che qui vi riportiamo.
Si tratta della storia della giornalista americana Rebecca Vice, che aveva saputo di un anziano, il signor Horowitz, che da 60 anni, tutti i giorni, si reca al Muro del Pianto a Gerusalemme, per pregare per la Pace e la fine della guerra tra popoli e religioni. Rebecca chiese a Horowitz un’intervista televisiva per la CNN e lui la accordò.
"Signor Horowitz, lei tutti i giorni, da 60 anni, va a pregare sul Muro del Pianto per la Pace tra le religioni e i popoli?"
"Sì, è così. Tutti i giorni da 60 anni".
"Quindi da 60 anni lei ha un rapporto quotidiano con Dio! E cosa le dice Dio durante il vostro colloquio intimo quotidiano?"
"Mah, non so se lo posso dire davanti alle telecamere della vostra televisione…"
"La prego, ci racconti!"
"Vede, Rebecca, io ho la sensazione di parlare col muro…”
Che cosa vuol dire il Maestro Goran con questo racconto? Che “la pace e la guerra sono il frutto delle azioni degli uomini. Non tocca a noi scrivere gli appuntamenti sull’agenda di Dio”.
No, la scaletta non la so e credo che non la vorrò sapere mai. Basta, non ci provo nemmeno a capirla. È un vortice continuo, una carica gioiosa di una cavalleria circense. Sì, riconosco le classiche "Presidente", "Gas Gas" e verso la fine "Kalašnjikov", ma il resto del fiume musicale in piena mi porta via felicemente.
Goran praticamente non si alza mai né abbandona la sua chitarra da viaggio (e da quella già si sente forte lo spirito nomade). Usa la voce con una certa parsimonia, ma ne tesse le note perfettamente con quelle delle altre voci sul palco, di cui vi dirò. Ha una lieve e accattivante fermezza nel dirigere la sua orchestra che, in cambio, lo conosce così bene da farlo gongolare di gioia ad ogni passaggio che, come onda, scuote braccia, gambe, teste e culi del pubblico.
Qualche raro respiro viene dalle ballate e credo di riconoscere anche "Ederlezi". Simpaticissima la nuova e sgangherata "Ouzo & Banana". Credo che l’ebraico sia l’ottava lingua usata stasera (con inglese, francese, italiano, spagnolo, arabo, rumeno e ovviamente il serbo-croato), per una esplosiva "Mazel Tov". Il Maestro risveglia il curioso viaggiatore che è in noi ed un senso di fratellanza che tutto e tutti impregna.
I colori della musica li potete immaginare anche solo guardando i personaggi fantastici della sua Banda per Matrimoni e Funerali. L’oscuro ed elegantissimo alter-ego è Muharem Redžepi, talentuosissimo nella voce dai forti tratti arabeggianti, capace di tutte le percussioni necessarie con un semplice goc tradizionale. I fiati ci provano ad apparire composti, ma non ce la fanno, esce un fiotto di gioia irriverente che convive con la perfezione stilistica. “Sinfonia punk-folk” credo sia la descrizione più prossima.
Il suonatore di tuba (inutili i miei sforzi per carpirne il nome) porta lo strumento come una collana, ha quindi uno stile tutto suo. Nel giro dei saluti, gli assoli degli ottoni sfuggono particolarmente ad ogni regola ed incantano. Le coloratissime “comari bulgare” Ludmila Radkova-Traikova e Daniela Radkova-Aleksandrova flirtano col pubblico (cuoricini con le mani, cuoricini di pezza lanciati in cambio) e ci strabiliano con le polifonie improbabili di una terra-ponte, aliena, un po' inquietante e famigliarmente amichevole allo stesso tempo.
I conflitti e i tempi oscuri sono sempre un tema vivo nel cuore di chi viene dal vicino oriente. Goran è abile nell’alleggerire le tragedie scampate, mantenendo però una vena di tristezza per le cicatrici. E allora ci invita a bere mentre la tromba suona la carica e ci manda tutti “all’attaccoooo!!!” durante “Artiglieria”, poi una energetica “Bella Ciao” mette in guardia tutti gli invasori di tutte le terre e galvanizza i partigiani.
Attraverso la folla sempre più elettrizzato. Non ci sono giochi di luce stroboscopici, il gruppo non è interessato ai trucchi e agli inganni, ma all'energia cinetica che il suono trasmette. Si scatenano meravigliosi balli ovunque, di gruppo, singoli, di coppia. Cani saltano gioiosi sugli sconosciuti, bambini scorrazzano pestando piedi e code. Manca qualche carrozzone e la festa gitana è servita.
Un gruppo di giovanissimi se le canta quasi tutte a squarciagola, indifferenti alle evidenti difficoltà della poliglottica. Sono l’epicentro del casino, trascinano tutti, anche me dopo il concerto per una birra calda sulla spiaggia (e ringrazio). Scopro che sono ragazzi meravigliosi, ventenni da poco, come mio figlio, studenti di cinema che hanno orientato il loro immaginario alle terre balcaniche e ne traggono energia vitale e un senso di fratellanza evidente e commovente. Li saluto mentre corrono nudi e caciaroni a fare il bagno nella notte. Un finale più da zingarata di così non si può.
Capitano Goran, se possiamo scambiarci storie di funerali e matrimoni, in così tante lingue e accenti, tra generazioni che suonano così diverse, in coro, in armonia, in dissonanza, tra il rumore e la melodia… Capitano Goran, sento che ce la possiamo fare ad attraversare il mare in questa barca senza naufragare.
Le fotografie della serata
Link all’album completo: https://flic.kr/s/aHBqjCo3jg