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REVIEWSLE RECENSIONI
13/01/2023
CLAVDIO
Guerra fredda
Un disco che parla un linguaggio ultra collaudato ma che, allo stesso tempo, è in grado di toccare le corde più profonde di ciascuno di noi.

Difficile cercare di prevedere cosa succederà alla musica italiana da qui a pochi anni, ma di sicuro c’è che lo scenario a cui ci eravamo abituati negli ultimi tempi sembra essere scomparso. Fuori l’It Pop (sono rimasti giusto i nomi che sono riusciti a capitalizzare il più possibile tipo Gazzelle, ma in generale l’impressione è che nessuno possa stare troppo tranquillo), sempre benissimo il Rap, soprattutto nella forma “contaminata” con elettronica e forma canzone à la Blanco, o nella versione iper edulcorata e ammiccante ai giovanissimi di un campione d’incassi come Lazza. In mezzo, molta più varietà di quel che sembrerebbe ad un primo sguardo, tantissima concorrenza e nessuna sicurezza nell’appoggiarsi da una formula predefinita, tanto che anche un game changer come Calcutta potrebbe avere delle difficoltà quando e se si deciderà a tornare in pista.

Ecco, semmai in questo quadro fumoso, poco decifrabile, potrebbe rimanere valida la vecchia regola: mai lasciar passare troppo tempo senza dare notizie di sé.

 

A tal proposito, ve lo ricordate Clavdio? Precedentemente titolare del progetto Il Rondine, usciva per Bomba Dischi nel 2018, col singolo “Cuore” a spopolare in maniera inequivocabile e nient’affatto prevedile. Finì addirittura in rotazione su Radio Deejay (tra le altre), donando improvvisa popolarità ad un artista che fino a poco tempo prima vedeva la musica più che altro come un qualcosa da fare nel tempo libero. Togliatti Boulevard, il disco d’esordio uscito nella primavera del 2019, ha confermato le aspettative e, seppur non interamente composto da killer track, ha comunque imposto sulla scena un autore talentuoso ed un ottimo performer anche dal vivo: quell’anno calcò tutti i festival più importanti e chi scrive lo vide più di una volta, ricordo spettacoli decisamente coinvolgenti e musicalmente interessanti.

La pandemia ha dato una battuta d’arresto a tutto ciò. C’erano già dei pezzi nuovi in giro, uno è uscito quell’autunno (“Disneyland Paris”) ma col sopraggiungere delle prime chiusure, di lui non abbiamo saputo più nulla.

L’arrivo di Guerra fredda rappresenta una gioia sincera e contemporaneamente un sollievo, personalmente mi sarebbe dispiaciuto molto che un progetto così valido si perdesse per strada.

Ovviamente il contesto è profondamente mutato, ma è mutato lo stesso Clavdio, che adesso il musicista lo fa di lavoro e che, lo ha raccontato nelle note stampa allegate, ha dovuto convivere con quella scomoda sensazione di sapere che tutti ti stanno aspettando al varco. Poi il Covid, la depressione, il senso di smarrimento. Insomma, se davvero il secondo disco è sempre il più difficile, per l’artista di Roma e Capoverde lo è stato ancora di più.

 

Guerra fredda è il disco con cui Claudio Rossetti prova, parole sue, a ritrovare quei momenti puri che sono sempre stati alla base del suo scrivere canzoni. È un disco semplice ma di una semplicità fortemente cercata, ragionata, ottenuta attraverso un costante labor limae durato due anni buoni.

Un disco breve (fin troppo, nei suoi appena 25 minuti di durata, ormai la distinzione tra album ed EP si è completamente persa) prodotto benissimo da Fabio Gargiulo (tra gli altri, Francesca Michielin, Lo Stato Sociale, Emma, La Rappresentante di Lista) e realizzato con pochi contributi musicali, di cui il più importante è senza dubbio quello di Maurizio Mariani, che si è occupato del basso, del Synth, del piano e delle sequenze, assieme allo stesso Claudio.

È un vestito minimale, quello che i nostri hanno scelto, fatto di chitarre acustiche e di pianoforti elettrici, qualche orchestrazione discreta e mai invadente, una spruzzata di elettronica a rendere un po’ più moderno e dinamico un lotto di canzoni che riprende nella sostanza il modello cantautorale di De André e De Gregori (molto di più il secondo che il primo) e che sembra spesso ridurre all’osso il contorno in modo tale che la melodia emerga in tutta la sua semplicità (è il caso già dell’opener “Letojanni”, quasi una filastrocca infantile all’interno di un crescendo cameristico).

Melodie che, sia detto chiaramente, sono sempre efficacissime, sia quando puntano sull’intensa cantabilità dei ritornelli (“Davvero davvero”, “Freccia”, che è anche l’episodio più prodotto, col contributo prezioso di un nome quale Davide Rossi) sia quando mostrano un carattere più dimesso (“Ogni giorno”, “Wikipedia”). Poi c’è la perla di “Graminacee”, che assieme a “Freccia” è l’altra potenziale hit all’interno di un disco dove, meglio chiarirlo esplicitamente, un’altra “Cuore” non c’è. Malika Ayane, la cui proposta sinceramente non ho mai amato, svolge qui un lavoro egregio, sfoderando una prova maiuscola e mettendosi umilmente al sevizio dell’economia della canzone.

 

Rispetto a Togliatti Boulevard questo è un lavoro meno vario, perché è tutto giocato sulle ballate, senza quegli episodi più dark ed elettronici (“Serpenti”) o in possesso di un mood scanzonato (oltre alla stessa “Cuore” c’erano “Nacchere” e “Tedesca” a fare la differenza). Probabilmente utilizzare un certo tipo di linguaggio è risultato maggiormente funzionale a raccontare il particolare momento vissuto dal suo autore, ma non bisogna comunque trattarlo come un lavoro eccessivamente pesante e verboso. Clavdio si mette senza dubbio più a nudo di prima e ci sono momenti in cui si può avvertire una certa drammaticità (la già citata “Ogni giorno” è una di queste); altrove però si respira la solita leggerezza, quell’ironia simpatica con cui già nel disco precedente liquidava le ex (qui c’è “Asfalto”) o la serena consapevolezza che, dopo tutto, la fatica e la sofferenza sono componenti ineliminabili della vita, e che forse è proprio l’atteggiamento con cui le si affronta che è in grado di fare la differenza (“Freccia”, ma soprattutto la conclusiva “Dovremmo fare sport”, che dona una nota di luminosità a tutto l’insieme).

 

Un disco per certi versi prevedibile, che parla un linguaggio ultra collaudato ma che, allo stesso tempo, è in grado di toccare le corde più profonde di ciascuno di noi. Corde adulte, però. Se c’è un limite che potremmo ascriver a Guerra fredda, è proprio quello di non poter essere compreso da chi abbia meno di trent’anni. Nel panorama odierno, dove per fare i grandi numeri occorre conquistarsi i giovanissimi, potrebbe essere un problema.

Clavdio è tornato. Adesso si tratta di scoprire se l’ampia nicchia di pubblico che si era ritagliato esiste ancora oppure se dovrà ricominciare da zero.