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REVIEWSLE RECENSIONI
27/10/2023
Rolling Stones
Hackney Diamonds
Si grida al miracolo per il nuovo disco delle eterne Pietre Rotolanti, ma no, “Hackney Diamonds” non è un capolavoro. Poco importa, perché suona fresco, divertente per almeno metà del suo percorso e investito da una atmosfera di festa anche grazie al contributo di un entusiasmante manipolo di ospiti grandiosi.

"Quando sono sulle nuvole

Lo sai che a volte sì

Mi sento un po' instabile

Però è un gran bel film, un gran bel film

Un gran bel film

Steve Mc Queen"

 

Citiamo un “pezzo minore” di Vasco Rossi (“Un Gran Bel Film", da Nessun Pericolo Per Te del 1996), perché rappresenta bene la leggenda del rock e la sua eternità. Certo, anche le rockstar invecchiano e se ne vanno in un mondo migliore alla fine, ma il loro lascito rimane forte e impresso nella memoria di chi le ha seguite e amate: le belle canzoni sono per sempre (come i diamanti se non di più, parafrasando una vetusta pubblicità).

Tutto il mondo conosciuto sa del ritorno discografico dei Rolling Stones e lo celebra in grande spolvero. Dopo la triste dipartita del batterista Charlie Watts, i tre superstiti Jagger, Richards e Wood sono tornati subito in tour con l’apporto del sodale Steve Jordan alle bacchette e poi si sono concentrati per completare un disco in studio, che mancava dall’uscita del 2005 di A Bigger Bang, album accolto tiepidamente, tra qualche sbadiglio e piccoli entusiasmi, comunque contenuti. Non possiamo poi fare a meno di citare Blue & Lonesome del 2016 (qui la recensione, ndr), che racconta di classici del blues rivisitati dalla band britannica. E tutti voi che leggete curiosi, saprete dell’amore infinito delle Pietre Rotolanti per la musica del diavolo.

Come tributo finale discografico sarebbe potuto bastare, rappresentando la classica ciliegina sulla torta (stagionata) di una carriera enorme, ma rieccoci qui a scrivere di dodici nuovi inediti, che potrebbero essere l’ennesimo testamento sonoro “giusto” per chiudere e andare al mare, ma così probabilmente non sarà, dato che le nostre leggende hanno dichiarato di avere idee pronte per almeno un altro album. E chi le fermerà, dopo l’entusiasmo generale provocato da questo Hackney Diamonds?

 

Leggo serenamente che il disco è stato incoronato come il loro migliore da almeno vent’anni abbondanti, se non dagli anni Ottanta, forse anche grazie al lavoro in produzione del giovanotto Andrew Watt (classe 1990, anche chitarrista della band solista di Eddie Vedder), un signore che è partito a bilanciare i suoni di Justin Bieber, Miley Cyrus, Dua Lipa e Post Malone, per dedicarsi successivamente a monumenti come Iggy Pop, Elton John e Ozzy Osbourne. Il buon Andrew vede sicuramente come punto di arrivo il suo contributo in un album che riesce fortunatamente a suonare insieme classico ma anche fresco, dove ogni strumento ha la sua giusta consacrazione, senza sbavature o barocchismi inutili.

E chiariamoci, i tre ragazzacci sono ancora in forma e non si nascondono di certo, soprattutto un Mick Jagger che possiede la grinta e la versatilità vocale di un quarantenne. Ma, citando l’incipit dell’articolo, questo è un album che non fa gridare al miracolo, dove spesso gli Stones si perdono a replicare il loro ingombrante retaggio, con un risultato finale che sa di mestiere collaudato, con qualche piccola magia e l’apporto di uno stuolo di ospiti che innalzano notevolmente il valore del disco, che rimane una testimonianza delle ultime registrazioni di Charlie Watts, presente in due brani, e del ritorno del bassista Bill Wyman in un episodio specifico.

 

“Angry” apre le danze come singolo designato, dove tutto è al suo posto e il mito rifà sé stesso con patinato manierismo, anche se il riff essenziale e scarno funziona bene. “Get Close” è sinuosa e mette in risalto l’intensità vocale di Mick, a suo agio anche nella ballata acustica “Depending on You”, ben equilibrata tra liriche languide, incastonate in orchestrazioni delicate e non invasive. La perla di questo segmento si incarna nel rock sguaiato di “Bite My Head Off”, grazie al basso sorprendentemente distorto di Paul McCartney a dominare la scena, con gran divertimento di chi suona e di chi ascolta.

“Whole Wide World” è onesto pop operaio con un retrogusto a là U2 dei vecchi tempi e si distingue perlomeno con un ritmo vivace e un assolo di chitarra incalzante, mente il sognante country blues di “Dreamy Skies” si lascia ascoltare senza particolari sussulti. Il dormiveglia termina con un dittico micidiale: “Mess It Up” prende il volo grazie alla batteria in levare dell’indimenticabile Charlie Watts, insieme a un ritornello vizioso e delizioso insieme. Charlie torna nella successiva “Live By The Sword”, in cui ritroviamo dopo decenni il buon Bill Wyman e addirittura Elton John al piano honky-tonk, per un ritorno agli anni settanta che ci porta il miglior pezzo del disco.

Il passo compassato di “Driving Me Too Hard” accarezza e scalda, ma senza sconvolgere cede il passo al tributo vocale di Keith Richards al disco. “Tell Me Straight” è minimalista, inquieta e misteriosa, però manca qualcosa che la innalzi ulteriormente. Qualcuno griderà all’opera d’arte per i sette minuti di epopea soul in “Sweet Sounds Of Heaven”, in cui la band si fa aiutare dai vocalizzi gospel di Lady Gaga e le svisate di Stevie Wonder al piano rhodes, per omaggiare il grande fratello Charlie Watts e sicuramente le emozioni arrivano, ma il brano sembra un rifacimento più lento del classico soul "I've Got Dreams to Remember" (reso celebre da Otis Redding). Infine, Mick e Keith tornano a casa con “Rolling Stone Blues”, in cui rivisitano “Rollin’ Stone” di Muddy Waters con il solo ausilio di voce, chitarra e armonica. La magia dura due minuti e conclude un lavoro godibile, che si schiude in un grande abbraccio per chi ama ancora il mito del rock.

 

"Quando sono sulle nuvole

Lo sai che a volte sì

Mi sento un po' instabile

Però è un gran bel film, un gran bel film

Un gran bel film

Spegnimi"