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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
05/04/2023
Live Report
Hania Rani, 31/03/2023, District 272 Club, Milano
Concerto intenso ed emozionante quello di Hania Rani, ulteriore prova del valore di un’artista che può ormai annoverarsi tra i nomi di punta dell’ambito cosiddetto “Post Classico”.

Il District 272 è fondamentalmente una discoteca e non è certo il luogo ideale per ospitare un concerto del genere. In origine si sarebbe dovuto tenere in una location più piccola (non ricordo quale) ma poi l’alta richiesta di biglietti ha fatto propendere per uno spostamento.

Senza nulla togliere agli organizzatori (ai quali anzi va un plauso per aver portato un’artista del genere da noi) e conoscendo perfettamente la scarsità di luoghi preposti alla musica a Milano e in Italia in generale, non si può non ammettere che, fossimo stati seduti in un teatro o simili, le cose sarebbero andate meglio. Acustica non ottimale, forma della sala più larga che lunga, un bar situato pochi metri in fondo che non ha mai smesso di funzionare (ovviamente) producendo in continuazione rumori di liquidi versati e di lattine aperte; se aggiungiamo un pubblico mediamente molto attento, ma non privo dei soliti elementi disturbatori, dediti a chiacchiericci e a commenti superflui, potremo avere un quadro generale di una serata che, pur riuscita, avrebbe potuto senza dubbio essere migliore.

 

Ho preferito far fuori subito gli elementi negativi, perché poi il concerto in sé è stato davvero molto bello. Hania Rani in Italia ci era già venuta, l’ultima volta era stata lo scorso settembre a Cella Monte, nell’ambito del Jazz:RE:FOUND, ma era passata da Milano anche a giugno 2021, in occasione della popolare rassegna Piano City. Questo però è il suo primo concerto da headliner nella città lombarda, e ci tiene a comunicarlo ai presenti, durante il primo momento di interruzione, dedicato ai saluti di rito.

On Giacometti, il suo ultimo lavoro in studio, ispirato all’opera del celebre scultore svizzero, è di fatto la colonna sonora del documentario a lui dedicato, realizzato dalla regista Susanna Fanzun, che ha invitato appositamente la Rani a lavorare alle musiche, mettendole a disposizione una residency nei pressi delle Alpi, non lontano dalla casa natale dello scultore. Un disco di transizione, probabilmente, più minimale e meno elaborato delle sue creazioni precedenti, e possibilmente anche sganciato dal suo normale percorso. Lo si capisce soprattutto dallo spettacolo che sta portando in giro per l’Europa in queste settimane, che tralascia il disco e si concentra soprattutto su composizioni inedite. È un dato che sottolinea anche lei all’inizio, dopo aver aperto con una lunga improvvisazione di Synth che è sfociata nella delicata “Wildfire”: quasi a scusarsi col pubblico, annuncia che ci sarà tanta nuova musica, questa sera. “È così, ci si evolve, si va avanti”, come a dire che focalizzarsi sul passato alla lunga non basta e che anche dal vivo un artista dovrebbe sempre cercare di essere dinamico, di vivere il presente in modo costante.

È un discorso che vale soprattutto per una come lei, che ha fatto della ricerca e del libero fluire delle suggestioni la sua maggiore cifra stilistica, prima al pianoforte, il suo strumento di elezione, successivamente con elettronica e sintetizzatori.

 

In questo tour è accompagnata dal musicista e produttore Ziemowit Klimek, che suona contrabbasso, Synth e tastiere; un’utile spalla nella costruzione dei brani, nonché piacevole arricchimento di una parte musicale che altrimenti avrebbe potuto risultare eccessivamente scarna.

Questa sera Hania canta parecchio, sia perché esegue brani del suo repertorio che prevedono la forma canzone (le sempre emozionanti “Leaving” e “Don’t Break my Heart”, tra le altre), sia perché molto del materiale inedito che viene eseguito si muove su questa falsariga. È una scelta interessante, che rende senza dubbio più fruibile e coinvolgente il concerto, permettendole oltretutto di valorizzare una componente della sua arte che spesso ha messo in secondo piano.

Le parti cantate sono comunque sempre intervallate da lunghe fughe strumentali, caratterizzate sia da orchestrazioni sintetiche a metà tra Ambient ed elettronica minimalista, per certi versi vicina alle cose di Nils Frahm e Ry?ichi Sakamoto; dall’altra parte, arrivano anche bellissime parti di piano solo (sono due i pianoforti presenti sul palco) che ci avvicinano maggiormente alle composizioni della prima fase della sua carriera, rappresentata soprattutto da un disco come “Esja”.

 

Quasi due ore filate, concluse da “Abu Simbel”, la cover dei WhoMadeWho resa celebre dalla performance del luglio 2021 a Les Invalides che, ripresa dalla televisione, ha contribuito non poco a valorizzare il talento della compositrice polacca. Questa versione è più intima, quasi crepuscolare, con Klimek che lascia la sua postazione per sedersi alle tastiere, producendosi in un piccolo accompagnamento orchestrale che doppia il pianoforte.

Concerto intenso ed emozionante, ulteriore prova del valore di un’artista che può ormai annoverarsi tra i nomi di punta dell’ambito cosiddetto “Post Classico”. Fa piacere che se ne siano accorti anche in Italia, il sold out di questa sera lo dimostra in pieno, ma speriamo che al prossimo giro la si possa godere in una location maggiormente adatta (tra le altre cose, anche il palco molto basso ed il light design non proprio impeccabile hanno contributo ad abbassare di molto la qualità visiva).

A luglio sarà a Sesto al Reghena in provincia di Pordenone, nell’ambito di quel Sexto Nplugged che è ormai una garanzia tra gli appuntamenti dell’estate musicale. Potrebbe essere un ottimo inizio…