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REVIEWSLE RECENSIONI
04/07/2019
The Raconteurs
Help Us Stranger
Un rock classico, anzi classicissimo, che guarda agli anni ’60 e ’70, che si esprime, talvolta, attraverso una cangiante psichedelia, e che dispensa a piene mani quei riff di chitarra che sono l’essenza stessa del genere

Alla fine, come fai a non voler bene a Jack White? Lo so, quando ha sciolto i White Stripes, ci ha fatto un gran male, lasciandoci orfani di una band che aveva riempito con dischi straordinari i nostri ascolti per circa un decennio. Però, poi, si è fatto perdonare e non ci ha mai lasciati soli. In sei anni, dal 2012 al 2018, ha pubblicato tre album solisti, e nel frattempo si è dato da fare, oltre che come produttore discografico (sua la Third Man Records sotto la cui egida esce questo Help Us Stranger), anche con due creature parallele, i Dead Weather e, appunto, i The Raconteurs, giunti con questo nuovo album alla terza prova in studio.

Se è vero che White ha spesso ibridato la propria musica, proponendo una formula alternative di blues e pescando a piene mani anche da garage, rock, pop e country, spingendosi, talvolta, fino ai confini di un ecclettismo fantasioso e imprevedibile (si pensi al recente Boarding House Reach), con Help Us Stranger il chitarrista di Detroit torna a un suono più diretto, per certi versi anche basilare, che non ammette altre definizioni se non quella di rock.

Un rock classico, anzi classicissimo, che guarda agli anni ’60 e ’70,  che si esprime, talvolta, attraverso una cangiante psichedelia, e che dispensa a piene mani quei riff di chitarra che sono l’essenza stessa del genere. Eppure, questo nuovo disco non si limita a riesumare sonorità consunte e datate: non c’è, infatti, un solo attimo in scaletta in cui trionfi la nostalgia o la musica debordi nell’anacronismo. White, su questo non c’è dubbio, è un manipolatore capace di rivitalizzare qualunque cosa tocchi (il blues garagista dei White Stripes, piaccia o meno ai puristi, è riuscito ad appassionare al genere tantissimi giovani), e basta ascoltare anche poche canzoni di questa nuova fatica dei The Raconteurs, per rendersi conto di quanto nelle sue mani (e in quelle di Brendan Benson, altro cervello pensante del gruppo) l’anticaglia rock delle discografie dei nostri padri torni a rilucere di nuova brillantezza.

Help Us Stranger è un disco vitale, esuberante perfino, e, cosa che non guasta, appassionato. Insomma, si sente che in studio, questi quattro ragazzi non si stavano limitando a incidere un disco, ma si stavano proprio divertendo. E poi, ci sono le canzoni, che nonostante siano figlie di un’evidente immediatezza e guardino al sodo, possiedono comunque un’estetica curata, glamour e giovanilistica.

L’opener Bored And Razed introduce alla festa in un clima fortemente seventies, ed è tutto un mulinare di braccia sulla chitarra in stile Pete Townshend prima di partire a cento all’ora cavalcando un riff acidissimo. La title track è rock psichedelico nella miglior tradizione sixties, e sfoggia uno splendido suono di chitarra e una linea ritmica che pulsa su goduriose percussioni. Un inizio solare, pimpante e aggressivo, che si adagia sui tre minuti e mezzo di Only Child, morbida ballata dagli psichedelici echi beatlesiani, e ripartire poi con Don’t Bother Me e Shine The Light On Me, due gioiellini che sembrano presi dal repertorio dei primi Queen.

L’arrembante blues di Hey Gyp (Dig The Slowness), clonata dal repertorio di Donovan, viene irrobustita da una potentissima linea di basso, mentre Sunday Driver si sviluppa su un riff dal tiro pazzesco, si bagna le mani nella psichedelia e riparte potentissima facendo vibrare le casse dello stereo.

Live A Lie, poi, è una tirata sferragliante di urgenza punk e What’s Yours Is Mine aggredisce alla gola con un filotto di riff gagliardi, in un saliscendi di rallenti e accelerazioni da cardiopalma. Chiude Thoughs And Prayers, ballata marchiata dal sacro fuoco dagli anni ’70, attraversata da echi psichedelici e dallo splendido suono di un violino che evoca scenari celtici.

Un disco, quindi, perfettamente riuscito, che riporta il genere ai livelli di espressività artistica che merita. Per cui, se siete stufi di sentirvi dire che il rock è morto e la chitarra elettrica pure, Help Us Stranger è il disco che fa per voi.

Bel colpo, Mr. White!


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