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REVIEWSLE RECENSIONI
25/11/2020
Elvis Costello
Hey Clockface
A due anni da “Look Now” Elvis Costello torna con “Hey Clockface”, un album musicalmente avventuroso e per nulla scontato, nel quale il cantautore inglese raccoglie con successo una serie di canzoni stilisticamente eterogenee.

Bisogna dire la verità, il nuovo disco di Elvis Costello, Hey Clockface (il suo venticinquesimo in studio, collaborazioni escluse), è una strana bestia. Registrato tra Helsinki, Parigi e New York, e completato a distanza sull’asse Vancouver-Los Angeles, è forse uno dei primi album veramente figli di questo strano tempo e non un lavoro pronto da mesi e pubblicato per disperazione dopo essere stato a lungo parcheggiato in attesa di tempi migliori (che comunque non sono arrivati).

Quando la pandemia ha sospeso ogni attività live, Costello aveva appena cominciato il suo tour nel Regno Unito. Resosi immediatamente conto che sarebbe stato da irresponsabili continuare a suonare e che c’era il concreto pericolo di restare bloccato in Gran Bretagna lontano dalla famiglia, Elvis è subito volato a casa in Canada. Alla metà di marzo, tutto quello che il cantautore inglese aveva in mano era una manciata di canzoni registrate nel mese precedente a Helsinki in completa solitudine e a Parigi con un quintetto jazz guidato da Steve Nieve. Saltato ogni piano di completare le registrazioni tra la primavera e l’estate a Londra e Los Angeles, Costello ha preso l’unica decisione possibile: ha raccolto questo eterogeneo gruppo di canzoni, ha aggiunto la propria voce a un altro paio di brani realizzati a New York da Michael Leonhart e Bill Frisell, e assieme al suo produttore Sebastian Krys ha sequenziato il tutto, cercando di dargli un senso.

Ovviamente quarantacinque anni di carriera hanno fornito a Costello l’esperienza necessaria per affrontare l’impresa e da buon artigiano del pop/rock è riuscito dove molti altri avrebbero fallito, ovvero a dare una forma compiuta a un disco che sulla carta non ce l’avrebbe. Arrivato a soli due anni dal precedente Look Now, un album rigoroso nel quale Costello recuperava assieme agli Imposters le atmosfere del suo capolavoro Imperial Bedroom, Hey Clockface gioca invece sull’effetto sorpresa, facendo leva sulle difformità stilistiche tra i pezzi e sulla loro contrapposizione.

All’apparenza, infatti, le prime quattro canzoni sembrano provenire da quattro lavori diversi: c’è lo spoken word di “Revolution #49”, il noise rock di “No Flag”, il pop barocco e raffinato di “They’re Not Laughing at Me Now” e il jazz d’avanguardia di “Newspaper Pane”. Ma, come per magia, proprio nel momento in cui l’ascoltatore si sente spiazzato e non riesce a comprendere quale direzione Hey Clockface stia prendendo, tutto inizia ad assumere un senso, grazie a un sequenziamento delle canzoni assolutamente perfetto, che rende giustizia a ogni performance dei tre ensemble utilizzati nelle varie canzoni (The Helsinki Sound, Steve Nieve et Le Quintette Saint Germain e NYC Electrical Wire). Per cui, per esempio, la ballata “The Wirlwind” viene maggiormente esaltata proprio per essere stata affiancata a “Hey Clockface/How Can You Face Me?”, così come la vivace “Hetty O’Hara Confidential” guadagna dalla vicinanza con la torch song “The Last Confession of Vivian Whip”.

È vero, sono trucchi del mestiere, applicati a tipologie di canzoni e stili che Costello ha già affrontato in passato. Verboso e prolifico, in realtà Elvis già un paio di volte ha lavorato per disordinato accumulo, com’è successo circa trent’anni fa con Spike e Mighty Like a Rose, forse gli album della sua sterminata discografia che più da vicino ricordano Hey Clockface. È vero, lì c’erano capolavori come “Tramp the Dirt Down” e “The Other Side of Summer”, oltre che un paio di pezzi scritti con Paul McCartney che non erano niente male (“Veronica” e “So Like Candy”), ma alla fine le eccessive ambizioni avevano portato a lavori tutto sommato trascurabili, senza una vera e propria direzione. Qui invece succede esattamente il contrario: magari non ci saranno delle canzoni clamorose, ma grazie all’esperienza e alla capacità di dosare mood e atmosfera nei momenti giusti, Costello – nonostante le difficoltà produttive riscontrate – è riuscito comunque a regalare all’ascoltatore uno dei dischi più avventurosi e interessanti della sua carriera.


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