E' curioso che, in questo periodo di barbarie, ci si meravigli del fatto che allargare il proprio fucus fuori dal metro quadro di competenza e darsi un’occhiata intorno possa portare i suoi frutti. Cantare delle cose brutte del mondo anziché di se stessi, come denunciare l’inciviltà anziché scrivere recensioni di dischi, direte voi, anche se non risolve i problemi contribuisce a far riflettere il pubblico, a parlarne, a capire. È ciò che si definisce impegno, un fattore che ai tempi della demonizzazione della politica induce i più a cambiare canale (in senso lato) e a pensare ad altro.
La scelta di Nadine Shah risulta quindi una prova coraggiosa, sotto questo aspetto. Dopo due album molto ben riusciti che, in alcuni passaggi, denotavano comunque già in nuce la volontà di uscire dalle tematiche standard del rock per parlare di cose più scomode (malattie mentali e sofferenza fisica), ecco “Holiday Destination”, un viaggio musicale che ha come meta la nostra coscienza e l’obiettivo di farvi approdare - sano e salvo - il tema più urgente di questo inizio di secolo: il fenomeno dell’immigrazione, dei profughi e la loro fuga da guerre e miserie.
Nadine Shah ci arriva quindi prima di tutti noi per tre ragioni che hanno fondamenti nella sua esperienza personale. Nadine è un’immigrata di seconda generazione, nata in Inghilterra con papà pakistano e madre norvegese. Collabora quindi con il fratello maggiore, Karim, che di mestiere fa il giornalista, per comporre la musica di un documentario dedicato a un campo profughi siriano al confine turco. Infine l’attualità o, meglio, quello che capita di leggere tra le righe della cronaca, come il caso dei turisti in vacanza a Kos che, interpellati sulla presenza in loco di rifugiati e migranti, hanno fatto notare esclusivamente quanto ciò avesse compromesso la riuscita della loro villeggiatura.
C’è questo alla base di “Holiday Destination”, un album in cui Nadine Shah raccoglie l’urgenza di raccontare i paradossi dello stallo vergognoso della nostra civiltà su queste tematiche e li restituisce con il suo stile nervoso e graffiante, in bilico tra post-punk e canzone d’autore, che già aveva caratterizzato i suoi due precedenti lavori, soprattutto lo splendido “Fast Food”.
“Holiday Destination” si apre con “Place like this”, una sorta di “This must be the place” al contrario per chi vive in esilio lontano da casa ma, di quella casa, rimangono solo i rimpianti. E il riferimento ai Talking Heads non è mai campato in aria, almeno da un punto di vista stilistico, quando ci si trova di fronte a un mix così riuscito tra new wave e ritmiche con echi di world music.
Ma con “Holiday Destination”, seconda canzone e titletrack, l’atmosfera torna a chiudersi in fretta e in furia in Europa, con noi a guardare i drammi dei profughi alla stregua di fastidiosi intoppi alla nostra serenità occidentale. Nel disco c'è spazio anche per un’invettiva severa ma giusta contro il “2016”, reo di averci sottratto alcuni tra i nostri più amati idoli e di aver portato un fascista alla Casa Bianca (che fa pendant con altri fenomeni bizzarri del nostro tempo, a partire da Brexit e Isis), mentre con “Out the way” ritorna il diritto alla vita indipendentemente da dove il destino ci conduca, in una logica avulsa dal concetto di confine geografico.
Il ritmo quindi scende con “Yes man” e i suoi incroci di chitarre dark alla Interpol, per intenderci, per lasciare poi spazio a una serie di brani dal sapore ancora più asciutto: “Evil”, dove il male assume le sembianze ipnotiche tra strofe cantate e ritornello strumentale (quattro accordi in tutto in ossessiva successione), “Ordinary”, che sorprende in quanto a linearità, e lo spigoloso e improvviso “Relief”, che risalta per il susseguirsi di chitarre, fiati e synth destabilizzanti.
Nella sublime “Mother Fighter” ritroviamo la vocalità tipica di Nadine Shah e l’espressività a cui ci ha abituato con i suoi due lavori precedenti, entrambe perfette per un testo – sicuramente uno dei più profondi – in cui una madre si batte in prima linea per proteggere quel che ha di più caro. Un dialogo intimo disturbato da un chiassoso bar karaoke, “Jolly Sailor”, chiude infine l’album e ne va a confermare la rara maturità stilistica.
Nadine Shah in “Holiday Destination” dimostra di non aver paura a prendere una posizione e a dare una solida forma musicale a tutte le sue esperienze e alla sua percezione del periodo storico in cui stiamo nostro malgrado affondando (almeno noi solo metaforicamente), e condivide in dieci composizioni tutta la sua umanità nel descrivere tematiche così complesse e rese con uno stile straordinariamente originale.