Nelle loro prime tre uscite, gli Hanging Stars, band britannica con sede a Londra, hanno progressivamente definito un suono identificabile, ispirato dal cosmic country dei Flying Burrito Brothers di Gram Parsons, dal jangle melodico dei Big Star di Alex Chilton e dalle vibrazioni west coast di Laurel Canyon, riletti però attraverso una sensibilità tutta britannica. Circostanza, questa, che ha evitato alla proposta di essere esclusivamente derivativa, perché ogni plausibile riferimento artistico, viene diluito con gusto, in un insieme coeso ed estremamente suggestivo, che in questo Hollow Heart è ancora più evidente che nelle già notevoli precedenti uscite.
Registrato ai Clashnarrow Studios di Edwyn Collins, nel remoto nord-est della Scozia, mediante apparecchiature di registrazione analogiche vintage, Hollow Heart è una delizia sonora, un ascolto meravigliosamente caldo e vivido, in cui i riferimenti stilistici di cui sopra formano un tessuto sonoro avvolto tra le pieghe di una psichedelia gentile e di melodie accattivanti.
Il disco si apre con la fluttuante "Ava", ed è come avere la sensazione di entrare in un giardino profumato: uno straniante sentore di Grateful Dead e Pink Floyd, un volteggiare leggero fra le chitarre, i tamburi che girovagano festanti tra armonie nitide di sole primaverile. "Black Light Night" ha una tonalità leggermente più cupa, ma le armonie sono cristalline, la testa non smette di oscillare e il ritornello è una boccata d’aria pulita che riempie i polmoni di incontenibile allegrezza. "Weep & Whisper" abbraccia sonorità più country folk, è avvolta in delicati sentori psichedelici e cesellata con grazia attraverso intrecci di pianoforte, chitarre e pedal steel, mentre il connubio delle voci evoca il ricordo degli America.
Un arazzo ricco di colori, quello pennellato dagli Hanging Stars, in cui è la stratificazione delle armonie, sempre calibrata, mai sopra le righe, a rendere sublimi canzoni come "Ballad Of Something Might Be", le cui chitarre sembrano muoversi al rallentatore, tra volute di fumo aromatico, e invece creano un inaspettato brio intrecciandosi alla voce un po' più burbera di Richard Olson e ad angelici coretti, o come l’oscura "Hollow Eyes, Hollow Heart", un brano in cui convivono folk psichedelico britannico e Byrds, o come, ancora, nel grazioso ondeggiare di "You’re So Free", una traccia che potrebbe essere stata scritta dai Beach Boys in trance onirica.
Lo sfarfallio della chitarra spolvera di leggerezza il falò di prateria intorno a cui abita l’ingenua allegria di "Rainbows in Windows", mentre "I Don't Want To Feel So Bad" è un pop schietto e diretto, che tira a lucido e toglie la polvere alla visione power di Alex Chilton. "Red Autumn Leaf" chiude il disco come una sorta di catarsi, stemperando le ritmiche e le trame melodiche ascoltate prima, e salutando l’ascoltatore con un delizioso country-folk psichedelico dalle tinte retrò.
Al quarto disco in studio, gli Hanging Stars centrano la perfetta declinazione della loro musica, che è ricca, colorata e rigogliosa, che guarda al passato e non ne fa mistero, che evoca, ma lo fa sempre con gusto personalissimo, e che tocca le corde del cuore grazie a una scrittura appassionata e ad alto contenuto melodico. Impossibile non innamorarsene.