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REVIEWSLE RECENSIONI
16/07/2021
Gary Moore
How Blue Can You Get
A dieci anni dalla morte di Gary Moore, esce How Blue Can You get, una raccolta prescindibile, che non rende onore al grande chitarrista irlandese

Se n’è andato troppo presto, Gary Moore, ucciso a soli 58 anni da uno di quegli eccessi alcolici che hanno spesso caratterizzato la sua, ahimè, troppo breve esistenza. Il suo lascito, però, è stato importante, sia in termini quantitativi (una corposa discografia solista e la militanza in band come Thin Lizzy, Skid Row, Colosseum II) che qualitativi (pochi al mondo erano in grado di suonare (e far piangere) una Les Paul come lui).  

Dopo la pubblicazione di alcuni dischi live postumi (l’ultimo, Live In London dello scorso anno), a dieci anni dalla sua scomparsa, gli archivi del nordirlandese sono stati finalmente aperti per assemblare una nuova uscita che, sebbene contenga alcuni momenti davvero notevoli, suggerisce che di materiale ancora inedito ce ne sia poco e che quello presente non sia proprio di qualità eccelsa. Strano, perchè Moore, per quanto prematuramente scomparso, ha vissuto intensamente oltre quarant’anni di carriera: dal jazz prog-rock di Colosseum II al suo periodo nei Thin Lizzy, per non parlare poi di tanti dischi solisti in cui il chitarrista ha spaziato dall’hard rock al rock celtico, per diventare infine un alfiere del rock blues, grazie al suo tocco ferocemente appassionato, timbricamente stupendo, magistralmente articolato e tecnicamente impeccabile.

How Blue Can You Get si concentra proprio sulla produzione blues di Moore, raccogliendo in quarantacinque minuti otto tracce di originali inediti, cover e alternative takes. Il disco prende il via con una doppietta mozzafiato: la reinterpretazione ad alto numero di ottani di I'm Tore Down di Freddie King, seguita da un’altra vigorosa cover di Steppin’ Out di Memphis Slim. E’ un po' un cliché dire che un chitarrista fa cantare il proprio strumento, ma queste tracce dimostrano che la sua capacità di comunicare attraverso le dita era veramente di un altro pianeta. Ciò è particolarmente evidente anche in Love Can Make A Fool Of You, una ballata risalente all'epoca di Corridors of Power (1982), in cui il chitarrista irlandese oltre al formidabile tocco esprime al meglio tutto quel pathos emotivo che spesso caratterizzava le sue migliori performance.

Sebbene siano i momenti maggiormente attrattivi del disco, i due originali inediti abbassano, purtroppo, il livello della scaletta. In My Dreams suona come la replica delle malinconiche e agrodolci Still Got The Blues e Parisienne Walkways, con cui condivide lo stesso lick di chitarra: se quei due brani non fossero esistiti, staremmo probabilmente scrivendo di una grande canzone e non invece del parente povero di due dei momenti più significativi della carriera di Moore. L’altro inedito, Looking At Your Picture, nonostante il mood che evoca il sound del Delta, non va assolutamente da nessuna parte e suona più come un abbozzo, un work in proggress da rifinire. La stessa sensazione si ha anche con Done Somebody Wrong di Elmore James, e la title track, che appaiono prive di corpo, come fossero figlie di sessioni di prova e non invece frutto finale di un accurato lavoro di produzione.

In definitiva, vista la quantità di terreno musicale che Moore ha calpestato in vita e tenuto conto che questa è la sua prima pubblicazione d'archivio non live, How Blue Can You Get non rappresenta certo un tesoro imperdibile di gemme nascoste, ma semmai una curiosità per fan irriducibili. Se, invece, non conoscete Moore, questo non è certo il modo migliore per accostarsi a un formidabile chitarrista, di cui, converrebbe semmai, recuperare il meglio della sua ampia discografia.

 


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