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REVIEWSLE RECENSIONI
28/05/2020
Izo Fitzroy
How They Might Fall
Izo Fitzroy è una cantautrice inglese, voce possente, un timbro vissuto con l’orgogliosa cicatrice addosso di un freschissimo intervento alle corde vocali. C’è tanta America in questa voce e di riflesso in questo disco, come era ovvio che fosse...

Da quando ho scoperto gli Ephemerals con la loro recente e stupefacente uscita con Jalapeno records, ogni volta mi aspetto inconsciamente una bella sorpresa da questa etichetta.
In realtà si occupano da sempre di roba che gravita educatamente intorno al soul, blues e funk mentre le uscite spiazzanti e per così dire geniali o fuori dal coro sono una ricetta leggermente inusuale rispetto agli ingredienti abituali. Questo per dire che forse mi aspetto troppo o magari semplicemente gongolo nel vedere le mie corde toccate dalle frequenze giuste.

Izo Fitzroy, per l’appunto è una cantautrice inglese, voce possente, un timbro vissuto con l’orgogliosa cicatrice addosso di un freschissimo intervento alle corde vocali. C’è tanta America in questa voce e di riflesso in questo disco, come era ovvio che fosse, quindi c’è anche Sheryl Crow, che pare essere un obbligo per un certo tipo di ambiziosa cantante del genere.
E come alludevo forse non saremo di fronte ad un disco che stende per la genialità ma la presentazione che ci regala con la opening track Ain’t here for Your Pleasure è una bomba a ciel sereno che ti porta al caldo e mette in chiaro che non ci saranno mezze misure, scopi poco nobili di furba commercialità. Si parte con uno slow, con un suono di drumming di quelli che piacciono a me, dove il charlie è nascosto, e si finisce in una sorta di slow blues vestito da ballad pop; un inizio più che positivo.

La saltellante Red Line vitalizza l’atmosfera in una maniera un po’ sempliciotta e mi dispiace perché speravo di essere di fronte a qualcosa di più dopo l’inizio.

I Want Magic mette le cose in chiaro; potremmo trovarci davanti ad un grande disco. Perché viene messa sul tavolo una bomba di brano stavolta in pieno genere disco senza l’arroganza dei suoni sintetici che avrebbero piegato in due l’album. Siamo con i soliti ingredienti eccetto la presenza in questo brano dei parigini Cotonete guidati dalla produzione di Dimitri From Paris, un autentico guru del genere. E tutto torna, compreso il sound della sezione fiati che ricorda i brani migliori di Narada Michael Walden. Infatti ci sono The Haggis Horns,  la sezione fiati più ambita del Regno Unito.
Beh, a dire il vero, con l’ascolto che prosegue il sintetico c’è e stanca. O meglio, ad un certo punto sento l’ebbrezza dell’aperitivo che si è impossessato dei miei sensi e mi sento fuori luogo, almeno rispetto a dove speravo di essere portato, viste le premesse.

Mi pare che con questa collaborazione ricca (e fruttuosa visto che è stato scelto da Mixmag come brano del mese), il genere sia stato dosato senza rispetto nei confronti dell’equilibrio di un album, di un’indole. Impressione. Magari mi sbaglio e proseguo nell’ascolto.

Una cassa continua ci introduce alla successiva Blind Faith, un funky leggero ed educato che scorre benissimo e strizza ancora un po’ l’occhio all’aspetto danzereccio. Il suono di questo disco è davvero ben curato ed ospitale; si percepiscono particolari che somigliano a pause, silenzi, ma che sono momenti di incastri tra gli strumenti che suonano o meno e che creano una ragnatela di mondi approfonditi.
Gli archi bassi che sospendono e lanciano la sezione fiati nella coda sono un regalo così come il sound bassistico, mai brillante ma piuttosto sordo e ovattato tanto da spostarsi indietro nel tempo, quando le frequenze alte avevano un altro colore e la brillantezza era morbidezza. Non una canzone che lasci di stucco, piuttosto diventa evidente la capacità della produzione di saper arrivare al dunque.
Tanti giochi corali, di fiati, ritmici di basso ma alla fine niente che resti, eccetto il risultato raggiunto. E soprattutto, quel sound vocale di Izo  che tanto aveva incantato in apertura adesso pare sommerso.

Neanche a farlo apposta, Give me a moment è una ballad sorretta dal mood piano e voce, spalleggiata da una ritmica basica ma presente ed una chitarra ritmica che gioca a nascondersi tra le frequenze in bianco e nero di piatti e archi, ancora una volta meravigliosi nell’arrangiamento e nel suono.
In effetti questo brano arriva oltre e non solo per il mood intimo che istintivamente ti prende con più facilità, quanto per l’armonia, il cuore della canzone che pulsa di purezza.
Direi la migliore fino a questo momento insieme all’opening track.

Purify e quel suo tappeto gospel, scandito dal ritmo percussivo del guiro e del rimshot, sono un bel benvenuto per la voce di Izo che in questo brano sembra sedersi accanto a Dr. John in un ipotetico duetto delle voci più incisive del blues. C’è davvero molto di Anastacia nel suo timbro e non può che essere un pregio. Si respira l’atmosfera da live travolgente nella coda che va a sedersi sul requiem finale in cui intuisci le parole sudate della gente in piedi accanto a te, il freddo della birra sulle dita e qualcuno che fuma vicino. È un potere questo che mi è arrivato addosso e non accade sempre.

La produzione di Shawn Lee, autentico maestro, è un dono e mi scuso per non averlo ancora annoverato tra i valori aggiunti dell’album. Sono stato distolto tra la master production di Dimitri From Paris e i conflitti tra le varie nature delle composizioni.
Faccio questa riflessione mentre scorre Slim Pickings con la perfezione di un singolo che contenga groove, sound, qualcosa di nuovo ma anche un marchio di storia.
Nella successiva Pushing Buttons viene ancora più fuori quest’aspetto per merito di un intro meraviglioso, una cosa col sound che ti si stampa in testa grazie alle riprese microfoniche che ti portano dentro al cono di un ampli fino a sentirlo distorcere.
La produzione è dunque altissima, un marchio di fabbrica che a mio avviso però prende il sopravvento rispetto al cuore delle canzoni. Amo le produzioni belle, ma resto soffocato da quelle che schiacciano l’armonia, peggio ancora se ciò accade perché la canzone in sé non ha la spina dorsale adatta a reggersi. Non so se sia esattamente questo il punto ma lo voglio avanzare.

Wolves in Disguise è piazzata anche lei in questo limbo che sta fra il mio stordimento per le belle idee di confezionamento e quella spiacevole delusione di scartare e trovare un regalo che non ti aspettavi.
Siamo davanti ad un disco fatto benissimo ma adesso che sono in dirittura d’arrivo dell’ascolto ho la certezza che l’ossatura della maggior parte di queste canzoni sia debole e che si aggrappi alla produzione di Lee per garantirsi di lasciarci almeno nello stupore.

Liftin’ Me rende evidente l’ambizioso tentativo di mettersi sul gradino della grande Amy, dei suoi inconfondibili slow e tutto sommato in questo terreno, dove l’armonia può essere più prevedibile e classica in favore di un’interpretazione, della dinamica, ecco, qua sembra tutto più riuscito.
Liftin’ Me si piazza a ridosso del podio dell’album, diciamo con certezza in un’ipotetica top five.

La sinuosa When the Wires Are Down chiude l’album e lo fa riuscendo in qualche maniera a stupirci, chiamando in causa dei colpi reggae, dei suoni nascosti, percussioni che giocano con la voce, e quest’esplosione che pare non arrivare mai.
E così ti ritrovi nel ritornello e non te ne rendi neanche conto. Sei nelle sue mani ed è quanto di più bello ci si possa augurare in un ascolto appassionato.
Una parte centrale e puntata spacca questa sensazione ed in un certo senso la rovina. Dopo poco siamo, quasi a voler sottolineare l’inutilità del momento appena passato, di nuovo in una fluttuazione piacevole che sa di improvvisazione e qua sì che ho la sensazione di qualcosa gestito più con la testa che col cuore, in senso produttivo.
Poteva essere una chiusura davvero altissima, anziché tenuta a bada da qualche freddezza di troppo che la trattiene al livello di canzone di spessore.

Sono convinto di quanto ho colto in How The Mighty Fall ; una voce magnifica, una produzione di alto livello, ma anche un’identità generistica confusa che ti mette in testa il dubbio atroce che la spina dorsale di queste canzoni, l’armonia e la melodia, alla fine siano il vero punto debole di un regalo costoso e incartato meravigliosamente.


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