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THE BOOKSTORECARTA CANTA
Hugo Holm: la bellezza di un romanzo che fugge
Paolo Pavone
2018  (Bibliotheka Edizioni)
LIBRI E ALTRE STORIE
all THE BOOKSTORE
08/02/2019
Paolo Pavone
Hugo Holm: la bellezza di un romanzo che fugge
“Grazie, Paolo, grazie Loudd e grazie lettori: mi prendo questo lusso di rallentare la giornata e rispondere a queste domande. Fate lo stesso, prendetevi qualche lusso per tornare a essere semplicemente uomini: pelle, sangue, muscoli. Affezionatevi alle cose belle, che il bello non chiede mai nulla in cambio se non uno sguardo. Cosa vuoi che sia uno sguardo? Ah, ora è iniziata “Iron Sky” di Paolo Nutini: ecco, credo che il testo racchiuda molto i concetti che abbiamo toccato oggi. Buon ascolto! Buona musica, buona lettura e buoni abbracci”. (Paolo Pavone)

Ho conosciuto Paolo quando per prima cosa ha scritto di me e della mia musica… e poi alla mia musica ha legato parte della sua vita. Ed io ne sono onorato. E questo potrebbe bastare, ma non è tutto. Ho conosciuto più da vicino Paolo quando mi ha regalato il suo primo romanzo “Boris il Clown”: piangendo di comprensione, sul finale che era arrivo e maturità e consapevolezza, ho scoperto di dover osservare questo ragazzo a debita distanza, come si fa con qualcosa che non vuoi contaminare. Era un libro speciale, semplice, di acqua e sapone. Anche questo potrebbe bastare, ma neanche questo è tutto. La fisica ci insegna che l’osservazione e la misura di un sistema in evoluzione contamina il sistema stesso. Quindi Paolo va osservato e letto e pensato ma a debita distanza durante l’evoluzione e la scrittura. Ho paura di deviarne il flusso creativo: artisti come lui sono come discese ghiacciate che puntano dritte alla fine del proprio tempo seminando qua e la bellezza come possono.

Mi sono sentito onorato d’aver curato la prefazione di questo nuovo romanzo di Paolo Pavone: “Hugo Holm” edito da Bibliotheka Edizioni. Uno di quei romanzi che non puoi raccontarlo perché altrimenti ne smascheri il trucco. C’è uno scrittore, c’è la sua vita che poi capiremo alla fine, ci sono i personaggi che ruotano attorno come ombre e come nebbia in val Padana (presenze che però sono concrete e reali), c’è un posto da dover raggiungere quasi fosse un bisogno, c’è un nuovo romanzo scritto a matita, c’è la fama dello scrittore famoso e la gloria dell’artista che sfida il senso vero delle cose importanti. C’è tutto questo e tantissimo altro ancora. Soltanto alla fine, dopo solo 165 pagine che sanno veicolare bellezza ed intrigo, “Hugo Holm” si rende reale e compiuto. Durante il tragitto avremo soltanto bisogno di riprendere fiato e non lasciarlo incustodito per troppo tempo. È un tragitto: dal finestrino passano uomini, case, vallate, città e frontiere. Paolo Pavone ha saputo scrivere una storia e ha saputo anche farci trovare affilati strumenti per ricavare un sentiero buono che arrivasse fin dentro la verità di questo tragitto intitolato “Hugo Holm”. Come dici tu Paolo: non siamo qui per leccarci il culo a vicenda. Ma sei stato bravo davvero ed io sono felice di raccontarvelo.

Davvero difficile fare domande per conoscere il dietro le quinte di un romanzo simile. Un passo falso e si svela ogni cosa. Ed è stato estremamente efficace questo modo che hai avuto di lasciar nascoste le cose fino alle ultime pagine. Che impressionante lavoro di cesello è stato quello di svelare i contorni reali delle cose… come ci sei riuscito? Qual è il segreto di un tale mestiere artigiano?

Ciao Paolo, ciao lettori di Loudd.

Rispondere a domande che mi vengono fatte da un musicista-scrittore che ammiro senza misura, è già per me un traguardo e lo dico con il cuore sulle labbra. Nella prefazione che mi hai regalato, ancora grazie, hai descritto al meglio quello che è poi il romanzo; giustamente dici, basta poco e si svela tutto quanto. Basta poco e si scivola, hai ragione. “Holm” è un racconto in fuga, ci si mette sui pedali e si lavora di polpacci: si fugge, un po’ come i corridori in fuga, ma bisogna stare attenti, perché è un attimo a finire con le gambe all’aria. Ho nascosto, a fatica, tutto ciò che avrebbe portato il lettore a intuire il finale, diciamo che ho lasciato intendere qua e là, ma senza un idea precisa in partenza. Non c’è dietrologia, o succulenti segreti da svelarti, svelarvi, ahimè, ho lasciato che la catena della mia bicicletta continuasse a girare senza sosta ed è nata la storia di “Hugo”.

Mestiere artigiano. Mi piace questa espressione. Tu come la trovi parlando da scrittore? La scrittura credo sia rimasta una delle ultime arti a conservarsi pura e devota alla sola capacità dell’uomo… ormai i computer hanno invaso quasi ogni cosa…

Mestiere artigiano: che bello, come suona bene. Come dici tu, come hai detto anche nella prefazione del libro, l’intelligenza artificiale ha ormai preso il sopravvento: ci stanno invadendo, computer, tablet, cellulari, ormai hanno la priorità su tutto il resto. Quel resto, poi, che era ed è il bello di noi uomini, fatti di pelle, di carne e muscoli. Dell’uomo che è capace di piangere davanti a un bel tramonto, di ridere e battere i piedi quando è stufo: mi piace pensare all’uomo ancora come una creatura legata alla natura, alle cose essenziali, agli abbracci: quanto fanno bene gli abbracci? Più di un messaggio su whatsapp, te lo assicuro. Per questo credo ancora nelle mani di noi uomini, nelle mani che sanno costruire, creare, demolire, e ricominciare. La scrittura è tutto questo, anche se si vede poco: si scalpella proprio come si fa con il marmo; si affina come si può levigare una tavola di legno e si ricomincia da capo, all’occorrenza, fino a trovare la giusta misura, il giusto peso.

Raccontami di Hugo. Raccontami dei suoi luoghi. Mi hai rapito anche in questo… dove nasce l’ispirazione per questi posti lontani dai nostri, per questi nomi lontani dalle nostre abitudini? Te lo chiedo perché anche nei miei piccoli scritti mi accusano sempre di non usare mai nomi e ambientazioni familiari alla mia vita quotidiana. Ed io rispondo sempre: io scrivo per evadere dalla mia realtà… e tu?

Evado, proprio come fai tu, amico mio. Qui ritorna la fuga di cui prima: Hugo scappa, di conseguenza scappa il lettore. Tutti noi scappiamo, e io, mi sono immaginato una fuga a nord. Chissà perché, per me, la salvezza sta sopra e non c’entra affatto la teologia in tutto ciò. Credo nelle zone fredde del mondo, laddove l’acqua non si asciuga, semmai si ghiaccia e poi torna acqua. L’uomo è acqua, e nel mio immaginario, lo vedo in salvo dove il sole non è capace nemmeno di scaldare una pozzanghera.

“Memento”. Ricordi questo film? Mi viene in mente “Memento” se ripenso al tuo libro…

“Memento” è stato uno dei miei film preferiti: hanno tentato mille volte di emularlo, ma rimane il migliore, secondo me. Lui si segnava tutto sulla pelle per non sparire del tutto, nel libro, si usa la carta: Hugo preferisce la carta alla pelle che poi, per chi scrive, non è la stessa cosa?

Quanto mi sono sentito turbato dal quel romanzo nascosto sottoterra e salvato dal pubblico e dalla sua ignoranza… o forse possiamo dire che è stato sottratto ingiustamente, rubato (per usare altre parole) alla vita degli uomini… tra l’altro ci ho trovato dentro una sottilissima denuncia alla mediocrità che viviamo. Ecco perché penso alla salvezza più che alla privazione…

Quel romanzo sotto alla sabbia è stato messo in salvo dall’autore, è proprio così, ci hai visto bene, ci hai visto giusto. Insieme alle pagine, le lancette, perché il tempo e le cose belle non andrebbero buttati via. La società mordi e fuggi, così ci piace chiamarla, è distratta, troppo distratta: va di fretta, verso cosa poi, mi piacerebbe capirlo. Cosa importa se sotto agli occhi passa un libro, film, quadro, canzone che meriterebbe attenzione? A chi importa, oramai? Basta avere un’offerta con oltre 50 giga sul cellulare, altrimenti si è persi. Mediocrità? Sì, purtroppo sì. Si è perso il gusto di lasciarsi affascinare dalle cose belle, dalle novità, dagli abbracci, ricordi? Quanto sono belli gli abbracci? Non c’è tempo per abbracciarsi, non c’è tempo. Salviamoci finché siamo in tempo!

Io conosco molto bene quel romanzo che è “Boris il Clown”. Anche lì affrontavi - in altri termini - il confronto con la vita. Sbaglio nel pensare che sia un tema portante per la tua espressione letteraria?

Il confronto con la vita, per me, è davvero importante. Quando scrivo cerco di prendere le distanze da Paolo Pavone: mi guardo da fuori, e scrivo da dentro. Un processo strano. Faccio i conti con la vita, la analizzo, cerco di conoscerla meglio concentrandomi su quel che scrivo; spesso ci faccio a cazzotti, quando quel che scrivo mi coglie impreparato: “Se solo fossi stato così lucido come lo sono ora che sto scrivendo la vita, sarei senza dubbio un uomo migliore”. Insomma, immaginatevi una finestra: quando scrivo ci guardo dentro e dentro c’è la vita. Dall’altra parte del cortile, poi, vedo Paolo che se la gioca, la vita, che ci prova a farlo e la mangia, la sputa, la rimangia. Vivo così, al bordo della psicosi :)

So che hai molta stima della mia musica e te ne sono grato, ma non è di questo che voglio parlare. Voglio invece parlare della musica in generale. In che modo entra e contamina la tua scrittura? Quanta musica c’è tra le righe del tuo libro?

La musica, la tua musica mi è entrata dentro fin da subito. Non ti nascondo che, durante la stesura di “Hugo Holm” e del nuovo romanzo che uscirà, spero quest’anno, ho ascoltato spesso la tua “Nenè”: tu sai che non lo dico tanto per leccarti il culo, si può dire, vero? Ahahaha. Adesso, per esempio, mentre rispondo alle tue domande sto ascoltando i Manic Street Preachers con la loro “If You Tolerate This”. C’è sempre una colonna sonora, c’è sempre qualcosa che sostiene a note le mie azioni: quanto è bello ricordarsi un sorriso? Ma quanto è ancora più bello ricordarsene con sotto la canzone che stavi ascoltando in quel periodo? Viene tutto più facile con la musica, non è vero? In ciò che scrivo c’è sempre una canzone, sempre. Il tuo disco, “Il mio modo di ballare”, è stato colonna sonora di notti insonne dietro al pc. Che bello, che bello che tutto questo non chiede indietro nulla: voglio dire: tutta questa bellezza, musica che insieme ti ricorda un bacio, un libro, un sapore, uno schiaffo, un pugno, insomma tutta la vita, a costo zero! Niente, non ci vuole niente, e puoi davvero aver tutto ciò che ti serve per apprezzare il BELLO. Per la cronaca, ora è iniziata “Lucky Man” dei Verve.

Scusami se mi metto di nuovo in mezzo ma c’è un altro momento di questo romanzo che mi ha catturato completamente. In una mia vecchia canzone dico: “Scriveremo questa vita con quattro segni di matita…”. Nel romanzo, senza svelare troppo, apparirà un romanzo scritto solo a matita. Per me, la matita come strumento di scrittura (come dico anche nella canzone), simboleggia la vita stessa, la possibilità di correggere e di tornare indietro. Certo questo sembra non appartenere alla vita che spesso ti inchioda con le responsabilità ed il tempo non si ferma e non si riavvolge. Ma io la intendo più una questione spirituale. Rimescolare le proprie carte spirituali. Da certi errori non si può scappare né tornare indietro ma di certo dentro si può seminare una rivoluzione che cambi le cose. Dopo questo lungo giro di parole, per salutarti ti chiedo: che significato hanno per te le matite e perché quel romanzo è stato scritto a matita?

Con la matita puoi cancellare, ma nel frattempo, ti dà il giusto senso della misura: concretamente stai scrivendo, perché la mina finisce, il legno si accorcia. È materica la matita, per me, più dell’inchiostro.

“Scriveremo questa vita con quattro segni di matita”, dice il buon Tocco, io, con Hugo ho voluto fare una roba simile: scrivere un romanzo in matita, lasciarlo in balia di una gomma: basta un niente e si cancella tutto. E la prova che si ha scritto davvero? Beh, il numero di matite che ti ci sono volute per finirlo, quel dannato manoscritto: centodue.