Ciò che emerge dai lavori in studio di Anna Calvi, così come dai suoi live, è la sua timidezza ed il suo essere introversa, e, allo stesso tempo, il suo essere magnetica ed affascinante, grazie a una voce potente ma dal tono fragile.
Per poter parlare di “Hunter”, il suo nuovo album, occorre fare una premessa, visto che esso nasce dalla riflessione dell’artista sull’identità di genere, e niente più delle sue stesse parole possono introdurre bene questo concetto: “Oggi i ragazzi concepiscono la loro sessualità e tutto quel che ne deriva in modo molto più fluido di noi adulti. È in corso già da tempo un cambio di mentalità che va nella direzione opposta rispetto alle istanze di Donald Trump e di molti altri politici. La società è più avanti della politica, il che è folle […]. Ci hanno cresciuti con l’idea che ognuno di noi abbia un’identità sessuale ben definita, mentre io non voglio scegliere tra il maschile e il femminile che è in me […]. Nel processo educativo l’identità di genere viene fatta coincidere con un determinato ruolo nella società o con comportamenti specifici. Credo che se ci liberassimo di tutto ciò potremmo tutti vivere una versione più autentica di noi stessi […]. So che per altre persone una definizione netta della propria identità sessuale è fondamentale per definire se stesse. Per me non lo è”.
Queste riflessioni nascono dal suo cuore infranto, frutto della fine della lunga relazione avuta con un uomo, durata otto anni, la quale l’ha portata a fare i conti con un nuovo rapporto… ma stavolta con una donna, il che ne ha rimesso in discussione le prospettive; amore per cui si è trasferita a Strasburgo, città dove ha iniziato a scrivere e a comporre il nuovo album.
È lì ed in quella condizione che quindi è nato “Hunter” (ovvero ‘cacciatrice’), titolo che la Calvi riferisce a se stessa, ma anche ad ogni altra donna, ribaltando l’usuale idea che le donne siano per lo più prede e non cacciatrici.
È un album carnale questo, concept tematicamente ‘queer’, al cui interno si alternano l’essere cacciatrice e l’essere preda, la lussuria e la passione, la sensualità e l’erotismo, nonché il desiderio e la ricerca del piacere: la foto del suo volto sudato in copertina rappresenta già bene questa visione.
Il sound è più o meno quello dei suoi lavori precedenti, limpido e cristallino, ma con l’aggiunta di synth e suoni elettronici che di tanto in tanto ne impreziosiscono le atmosfere.
In alcuni episodi è facile coglierne la vicinanza con PJ Harvey, così come, a tratti, è impossibile non notare la somiglianza vocale con St. Vincent.
Tutto però risulta sempre filtrato dalla sua peculiare personalità, il che le permette sempre di contraddistinguersi.
Insomma, se il terzo album è solitamente quello che dovrebbe sancire la consacrazione o l’anonimato definitivo dell’artista, qui siamo dinnanzi ad un’opera che ci mostra un’autrice ed un’interprete definitivamente matura, sicuramente tra le migliori del nuovo millennio.