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REVIEWSLE RECENSIONI
Hushed and Grim
Mastodon
2021  (Reprise)
IL DISCO DELLA SETTIMANA PROGRESSIVE METAL / HARD ROCK
8,5/10
all REVIEWS
08/11/2021
Mastodon
Hushed and Grim
I Mastodon rendono omaggio al loro manager Nick John con “Hushed and Grim”, un disco che ha già tutte le carte in regola per diventare una pietra miliare del loro catalogo.

I Mastodon sono in giro da più di vent’anni e ormai è chiaro che i loro lavori migliori sono quelli in cui affrontano un tema e grazie a esso possono lanciarsi a briglia sciolta in sperimentazioni sonore ed esplorazioni testuali. Il loro disco più celebre, Leviathan, infatti, riscrive il Moby Dick di Herman Melville esaminando il legame psicologico che intercorre tra il Capitano Achab e la celebre balena bianca, mentre Bood Mountain – che potremmo definire il loro breakthrough album – racconta una storia molto à la Genesis, in cui un giovane viene inseguito da ciclopi mutaforma in una landa metafisica.

Con il successivo Crack the Skye, invece, la band di Atlanta ha iniziato la sua personale riflessione sulla morte, perché se è vero che il concept racconta di un ragazzino disabile il cui corpo viene proiettato astralmente in quello di Rasputin (!), in realtà l’album è un tributo alla sorella del batterista Brann Dailor, Skye, morta suicida a soli 14 anni. Da lì in poi, se si esclude il psichedelico e colorato Once More ‘Round the Sun, ogni album dei Mastodon affronta il tema della caducità terrena: The Hunter, infatti, fin dal titolo omaggia il fratello del chitarrista Brent Hinds, ucciso da un infarto mentre era a caccia, mentre il più recente Emperor of Sand tenta di raccontare da una prospettiva inedita il tema del cancro, che all’epoca aveva colpito sia la moglie del bassista Troy Sanders (fortunatamente guarita) sia la madre del chitarrista Bill Kelliher (purtroppo scomparsa).

Anche Hushed and Grim affronta il dolore e la perdita, ma questa volta lo fa attraverso un viaggio sonoro lungo quasi un’ora e mezza, durante il quale i quattro di Atlanta raccontano di un’anima che lascia il corpo e si trasforma in un albero per concludere il suo ciclo vitale (come rappresentato anche dalla splendida copertina di Paul Romano, che torna a collaborare con la band dopo due lustri). Non è difficile riconoscere in quest’anima errante quella del loro manager Nick John, scomparso nel settembre del 2018 a soli 48 anni per un tumore al pancreas. John – che dal 2016 seguiva anche i Gojira – è sempre stato ritenuto dai Mastodon l’artefice del loro successo, dal momento che in poco meno di due anni era stato capace di trasformarli (senza snaturarli) da una band che suonava nei club della provincia americana a un act internazionale che si esibiva nei festival di mezza Europa assieme a Slayer, Slipknot e Iron Maiden.

Prodotto da David Bottrill, già al lavoro con Peter Gabriel, King Crimson, Rush e Tool, e registrato ai West End Sound Studio di Atlanta, di proprietà della band e gestiti da Kelliher con l’ingegnere del suono Tom Tapley (con i Mastodon dai tempi di Crack the Skye), Hush and Grim vede la band proseguire nel suo percorso di evoluzione sonora, riuscendo ancora una volta a mettere insieme aggressività e ricerca melodica, attenzione all’arrangiamento e riff schiacciasassi, e incorporando nel proprio sound una varietà incredibile di influenze e atmosfere, dal progressive allo stoner, dal doom metal all’hard rock da classifica, dal country alla musica classica indiana.

L’album si apre con le percussioni insistenti di “Pain with an Anchor”, come faceva “The Wolf is Loose” in Blood Mountain: durante i primi secondi si ha quasi la sensazione di ascoltare un motore che si riavvia, perfetta metafora di un nuovo inizio dopo quasi quatto  anni di silenzio discografico (se si esclude la recente raccolta Medium Rarities). La canzone setta immediatamente il mood di tutto l’album, decisamente autunnale e dalle atmosfere plumbee e tenebrose, mettendo subito in chiaro come il sound di Hushed and Grim da un lato richiama le suggestioni progressive di Crack the Skye, ma dall’altro fa suoi il rigore e la pulizia sonora di The Hunter. Nel complesso i riff di chitarra sono meno brutali e la batteria non è più una giostra impazzita, ma questo non rende le canzoni meno interessanti, anzi.

Lungo le quindici tracce del disco, infatti, i Mastodon si prendono parecchie libertà, lasciando respirare le canzoni – solo due sono intorno ai quattro minuti, il resto sfiora e supera i sei –, facendo in modo che le cose accadano naturalmente, giocando in più di un’occasione con la forma-canzone. Ecco quindi che in pezzi come “More Than I Could Chew”, “Peace and Tranquillity” e “Gobblers of Dregs” i quattro georgiani si divertono a iniziare il brano in una maniera per portarlo poi improvvisamente da un’altra parte. Come accade anche in “The Beast”, che comincia come un brano country blues cantato da Hinds (e alla chitarra c’è anche Marcus King) per poi partire per la tangente una volta che entra la voce squillante di Dailor, prima, e quella baritonale di Sanders, poi.

Quest’ultimo, va detto, è la vera arma segreta di Hushed and Grim, dal momento che portano la sua firma le canzoni più singolari del disco. In “Dagger”, infatti, c’è un break centrale che flirta prepotentemente con la musica classica indiana (grazie al sarangi di Rich Doucette), mentre in “Had It All” Sanders meticcia folk psichedelico e power ballad, coinvolgendo Kim Thayil dei Soundgarden in un assolo magistrale (e c’è anche la madre Jody al corno!). E se “Teardrinker” è uno dei pezzi più melodici mai scritti dai Mastodon, ci pensa il bassista a sparigliare le carte con un assolo di wah-wah. Ma le sorprese non finiscono qui, perché nella prima parte di “Sickle and Peace” si ha quasi l’impressione di sentire i celebri intrecci chitarristici di Adrian Belew e Robert Fripp che hanno marchiato a fuoco i King Crimson degli anni Ottanta, mentre in “The Crux” la band flirta sì ancora una volta con il progressive, ma questa volta con quello ibridato con il death metal dei colleghi Opeth.

I Mastodon, però, danno il meglio quando le cose si fanno epiche, come nella ballata “Skeleton of Splendor” (caratterizzata dalle tastiere paranoiche di João Nogueira dei Claypool Lennon Delirium, molto “Welcome to the Machine” dei Pink Floyd) e nella conclusiva “Gigantium” (è veramente il caso di dire nomen omen), che con il suo crescendo di archi è davvero il culmine di un’ora e mezza di musica di altissimo livello e che ha già tutte le carte in regola per diventare una pietra miliare del catalogo dei Mastodon.