Loro stessi, intervistati da Rumore, hanno dichiarato di essersi voluti ispirare ai Beatles, con i quali entrambi sono cresciuti, e di volere quindi scrivere un brano che ne contenesse la stessa carica melodica. “Beach Boys distorti”, terza traccia di “Hype Aura”, sarebbe dunque nata così.
Ed è cruciale, dicevo, perché contiene in una sola, rapida immagine, tutto ciò che costituisce l’universo del duo milanese. Il passato, la tradizione musicale, filtrata dai rumori dell’effettistica, a creare un ibrido che travalica le epoche e allo stesso tempo opera una sintesi che ci permette di inquadrare il nostro tempo.
E nella eterna questione se sia ancora possibile dire qualcosa di nuovo, in un universo musicale sempre più congestionato, i Coma_Cose potrebbero avere la risposta giusta. Perché il problema oggi non è tanto quello di prodursi in qualcosa di mai sentito prima, quanto di rimescolare e rielaborare il più possibile ingredienti famigliari, quelli che ci siamo abituati a sentire negli ultimi anni nelle produzioni del nostro paese, per intenderci.
Unire Rap, It Pop, elettronica e cantautorato potrebbe sembrare un progetto ambizioso o addirittura inconcepibile, se non fosse che è proprio quello il modo in cui si sono presentati al pubblico sin dal singolo d’esordio “Golgota”, nel 2017.
Merito anche di un background sui generis, che ha contribuito a fornire loro una quota maggiore di credibilità: Fausto “Lama” Zanardelli non è più un ragazzino e col progetto Edipo ha fatto gavetta e ha maturato consensi. Francesca “California” Mesiano ha meno esperienza del compagno ma la sua passata attività da dj le ha senza dubbio fornito un diverso tipo di competenze che le ha dato modo di integrarsi al meglio col suo partner.
Insieme hanno dato vita ad un progetto che, partito in sordina e quasi per gioco, si è rapidamente trasformato nella next big thing della scena italiana, da molti additato come l’unico modo di svecchiare e rendere più interessante un sistema di sonorità che rischia di mostrare presto il limite della monotonia.
Il titolo inquadra perfettamente il contesto: questo è uno dei dischi di debutto più attesi di sempre, raramente si era vista una band o un artista che dir si voglia, proiettarsi così in alto avendo all’attivo solo un ep di tre pezzi ed una manciata di singoli o poco più.
Sarebbero stati capaci di confermarsi o avrebbero anche loro iniziato a ripetersi? Quanto c’è di solido nella loro ascesa? “Hype Aura” fornisce tutte le risposte e le fornisce quasi tutte in positivo. Lavoro corto, nove pezzi per meno di mezz’ora, frutto di un processo di selezione durissimo di tutte le idee maturate e realizzate nel corso di questi anni.
C’è un dato che balza all’occhio più di tutti: si tratta di un prodotto molto più lineare ed uniforme che in passato. Da questo punto di vista, è venuto meno proprio l’elemento che più ci aveva conquistato dei Coma_Cose, vale a dire la loro straordinaria eccentricità, quel sincretismo stilistico per cui ogni singolo brano costituiva un mondo a parte. Qui, forse nel timore che un’eccessiva eterogeneità di fondo pesasse negativamente sull’assetto complessivo, hanno bene o male battuto gli stessi territori, con la sempre validissima produzione del collettivo Makamass, qui per così dire “normalizzata”, più alla ricerca di soluzioni atte a garantire l’appeal melodico, piuttosto che a cercare di esplorare nuovi mondi sonori.
Ne escono brani che seguono più o meno lo stesso schema: la parte cantata affidata a Francesca, quella rappata frutto del lavoro di Fausto. Sono canzoni dalla struttura simmetrica, con la strofa che garantisce lo sviluppo narrativo e il ritornello a cui viene affidato tutto il furore agonistico, con già un chiaro sguardo alle future performance live.
Da questo punto di vista, missione compiuta: lo avevamo visto già col primo singolo “Via Gola”, concentrato particolarmente ispirato di groove e melodie, e pure con il successivo “Granata”, più ammiccante nelle sonorità e nell’immaginario testuale.
Tra gli altri episodi almeno due, “Mancarsi” e “Beach Boys distorti”, rasentano la perfezione, con un equilibrio interno perfetto, efficace sintesi tra modernità e tradizione (sono quelli dove i richiami cantautorali sono più evidenti), corredati da testi che tra un gioco di parole e una freddura riescono pure ad esprimere pensieri non banali.
È un disco dove ci si diverte ma è anche nel complesso meno irriverente, a tratti anche riflessivo ed oseremmo pure dire intimista. Prendete ad esempio “San Sebastiano”, con una base dove è il piano lo strumento preponderante, oppure “Squali”, che assomiglia molto da vicino ad una ballata acustica. Sono due tracce particolari, per una volta non cantate in coppia ma affidate rispettivamente al solo Fausto e a Francesca. Una sorta di privata confessione, di luogo isolato per riprendere le forze e affermare anche la propria individualità.
Che dire invece dei testi? I Coma_Cose scrivono bene, molto meglio della media degli artisti della loro generazione (che poi Fausto è molto più grande e forse questo potrebbe anche c’entrare). Giocano sempre tantissimo con la lingua, costruiscono accostamenti a volte arditi, a volte un po’ troppo fini a se stessi (“Alice guarda i gatti perché Kanye West”, “Oggi tutto bene, domani-comio”, “Mi taglio l’anulare Zac De La Rocha” e parecchi altri), ma mostrano una fitta trama e sotto trama di riferimenti disparati, accostamenti di ambiti tematici diversi, associazioni di idee al limite della seduta di analisi, che non possono non far venire voglia di entrare nel loro mondo ed esplorarne il contenuto. Aggiungiamo anche (e non è secondario) che dietro l’apparente infilata di casualità senza senso, di scemenze non ne dicono e anzi, c’è uno sguardo sull’esperienza decisamente consapevole e qualche riflessione da non buttare via. Si parla del peso delle aspettative e di come essere se stessi senza farsene condizionare; di come molto più dei soldi e del successo sia importante incontrare una persona che ci ami e ci stia accanto; del fatto che la normalità in senso lato non sia per nulla una brutta cosa; infine, si ammette che ok, va bene “la critica sociale, la politica, la povertà, il disagio umano, vorrei approfondire ma penso che il mio vero nemico sono io quando ho un telefono in mano”.
Nulla di nuovo, geniale o imprescindibile, sia chiaro. Eppure non è secondario che certe cose vengano dette esplicitamente. Sono in troppi ormai a pensare che la musica abbia abdicato a qualsiasi ruolo anche solo minimante civile, per cui rimettere certi paletti, richiamarsi certe coordinate potrebbe davvero non essere uguale a zero.
Un gran bel disco, “Hype Aura”. Forse avremmo voluto che avesse lo slancio e l’urgenza creativa senza confini che caratterizzavano i primissimi singoli. Qui funziona tutto benissimo ma a tratti, come già detto, si ha l’impressione che gran parte delle energie siano state spese per trovare una confezione il più possibile ordinata e presentabile.
E poi tutti questi “See, see” e “Oy” e urletti vari in sottofondo continuo saranno pure divertenti ma alla lunga (e neanche troppo alla lunga direi) rompono davvero le scatole. Così come anche un certo gusto per l’autocitazione (frasi di “Anima lattina” infilate dentro “S. Sebastiano”) al primo disco appare quantomeno prematuro.
Al di là di questo, è indubbio che i Coma_Cose siano ormai una realtà importante, un esempio significativo di come in Italia si possa suonare musica “giovane” senza tuttavia abbassare il livello della proposta o risultare identici a mille altri nomi. In questo senso vale la pena dar loro una chance, qualunque sia la vostra opinione su Rap, Trap e affini.