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REVIEWSLE RECENSIONI
22/01/2018
tUnE - yArDs
I Can Feel You Creep Into My Private Life
Disco della maturità artistica per Tune-Yards, che non rinuncia al suo stile innovativo tra world music, elettronica e sperimentazione in un concept sofisticatissimo pensato per sviscerare il peggiore dei mali della società statunitense.

Merril Garbus, aka Tune-Yards o comunque colei che ne incarna il progetto, in una ricca intervista a NPR sostiene che i musicisti bianchi che campionano la musica altrui esercitano una forma di colonialismo e dichiara che, a valle dell’uscita di Nikki-Nack - il loro precedente album del 2014 - ha giurato a se stessa che avrebbe in qualche modo affrontato il problema dei debiti culturali (piuttosto evidenti) della sua musica.

Una sorta di redenzione - un classico a stelle e strisce che si manifesta in tutte le direzioni e i sensi della società americana - di cui con il nuovo lavoro “I Can Feel You Creep Into My Private Life” i Tune-Yards (ora ufficialmente un duo) vogliono assurgere a paladini. Nel mezzo è arrivato Trump che ha dato un rigurgito di orgoglio ai suprematisti bianchi, una catastrofe che, alle anime giuste divorate dal senso di colpa di avere il colore della pelle della maggioranza colonizzatrice, ha imposto l’urgenza di prendere le distanze.

Ma pagare questo genere di tributi, per chi fa un eccellente mix tra world music, afro beat, electro punk e mille altre cose, è un’operazione pressoché impossibile, o per lo meno complessa. Richiede una certa autocoscienza compositiva e una determinazione fuori del comune. E siamo davvero impressionati da chi sfoggia i risultati ottenuti grazie allo sforzo di risolvere i problemi globali partendo da sé, come ha fatto Merril Garbus seguendo addirittura un seminario antirazzista di sei mesi (ve lo immaginate quanto potrebbe fare bene anche a noi?). E se l’esito è la capacità di fare musica come quella presente in questo nuovo ellepi, il percorso è pienamente riuscito. Anche se, fortunatamente, di whiteness ce n’è ancora poca.

“I Can Feel You Creep Into My Private Life” è sicuramente il miglior disco dei Tune-Yards e a tutti gli effetti un gioiello artistico. Un progetto musicale nato volutamente incompatibile con il pop e ora finalmente giunto alla maturità. Ascoltando le dodici tracce dell’album ci si trova di fronte a una specie di incrocio tra M.I.A. e St. Vincent in versione indie e con un modo di comunicare la sensibilità terzomondista avulso dai ritmi modaioli (andrebbero in qualche modo premiati i dischi in quota blackmusic “raggaeton-free”) e messo in musica con la testa al posto della pancia.

La loop station fa ancora capolino in qualche episodio ma lascia il ruolo da protagonista a strumenti più completi come synth, sequenze, drum machine e un’infinità di percussioni a corredo di una vocalità assolutamente inconfondibile. Resta immutata la capacità di disorientare l’ascoltatore con una varietà di suoni sempre ai margini e spesso sfuggenti, rintracciabili solamente all’ascolto successivo sempre che non ci si perda via a rincorrerne uno diverso.

Il disco attacca dritto al cuore con “Heart attack” e il suo battito da infarto, il singolo uscito contestualmente alla pubblicazione dell’album, caratterizzato da un ritmo electro e un riff di piano con un accordo dissonante che conferma che basta una nota scomoda per fare temi pop intelligenti. La melodia soul della traccia due, “Coast to coast”, ci mette in viaggio lungo gli Stati Uniti delle contraddizioni, mentre la seguente “ABC 123” è una trascinante cantilena world-music.

“Now as then” si sviluppa come una sorta di trap minimale e con “Honesty” la voce torna a ripercorre i giochi di loop campionati come base per melodie armonizzate, nello stesso modo che ha reso i precedenti lavori di Tune-Yards così particolari. “Colonizer” ha una base funk-wave con rumori allarmanti che piovono lungo tutto l’arco dello stereo, e con “Look at your hands” - il pezzo più trascinante del disco - ecco un’esplosione di ritmi hip hop old-school, roba da Afrika Bambaataa dei tempi di “Planet Rock”.

Il disco presenta solo due episodi morbidi: “Home”, un lento con bizzarri cori quasi gregoriani, e “Who are you?” dai toni trip-hop. Il resto, invece, è ancora la Tune-Yards da ascoltare ballando: “Hammer”, un divertente gioco ritmico fatto di handclap e percussioni che sfocia in un downtempo sensuale con battute pari e dispari alternate, “Private life”, ancora richiami da continenti lontani volontariamente messi alla rinfusa per puro intento sperimentale, per finire con “Free”, un’altra hit al contrario che sembra provenire da un pianeta in cui le regole compositive sono fuorilegge.

Merril Garbus è sicura che con “I Can Feel You Creep Into My Private Life” sia possibile spingere l’ascoltatore a osservarsi dentro e verificare la consapevolezza di ciò che comportano i privilegi dell’essere bianco negli USA. Che ne sappiamo noi qui in Italia, che abbiamo ancora aspiranti governanti che vorrebbero proteggere la razza di provincia. Di certo, in questo lavoro si percepisce un talento di qualità rara e un linguaggio musicale tra i più moderni sulla piazza, aspetti che difficilmente toglieranno a Tune-Yards una delle posizioni più alte nella classifica dei dischi migliori del 2018, anche se siamo solo all’inizio.