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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
21/09/2020
(Non è un romanzo di Philip K. Dick)
I concerti in streaming e il futuro della musica dal vivo
Non è escluso che lo streaming, dopo l’iniziale sensazione di straniamento, si trasformi in qualcosa di totalmente consolidato. Dopotutto, come diceva Dostoevskij, l’uomo si abitua a tutto. E se siamo arrivati a guardare un film o una partita di calcio dallo schermo di un telefonino, non vedo perché tra qualche anno non dovremmo farlo anche coi concerti. Io personalmente non intendo partecipare a questa deriva...

Uno dei primi, almeno tra i nomi grossi, è stato Nick Cave. Qualche settimana dopo aver scritto un lungo post sulla sostanziale inutilità delle dirette streaming e sulla necessità, per l’artista, di riflettere sul proprio ruolo nel mondo, ha annunciato l’imminente proiezione di un suo concerto all’Alexandra Palace di Londra; lui da solo al pianoforte, il pubblico a casa in poltrona o davanti al computer. Non si trattava di un evento dal vivo, la performance era stata registrata in precedenza, ma la fruizione era comunque limitata da alcuni parametri precisi: non si sarebbe potuto stoppare il video per andare in bagno e non lo si sarebbe potuto riguardare. Tutto questo per replicare l’esperienza di un concerto vero, in presenza. Al di là della bugia a monte (perché se lo stesso artista non è in diretta, pare abbastanza assurdo replicarne le condizioni, oltretutto con il pubblico che già in partenza sa che si tratta di un falso), è stato il costo a lasciare piuttosto perplessi: 16 sterline, se non vado errato. Certo, mi si obbietterà che vedere Nick Cave in quella location, dal vivo, sarebbe costato almeno dieci volte tanto e sono assolutamente d’accordo. Però, 16 sterline per vedere un concerto sullo schermo del computer? Sono soldi ben spesi? Oltretutto un mese dopo è arrivata la beffa: “Idiot Prayer”, questo il titolo della serata, a novembre sarà proiettato nei cinema per tre giorni e poi reso disponibile in dvd, Blue Ray e cd. Abbastanza scontato, direte voi. C’è un artista straordinario, che in versione piano e voce è quasi meglio che con la band al completo, c’è un’esibizione registrata in modo professionale e ci accontentiamo di mostrarla (e di guadagnarci sopra) una volta sola? Ovviamente no, ci mancherebbe. Ma allora tutti quelli che hanno pagato quella prima volta? Non lo sapevano che sarebbe andata così? Sono stati ingannati? Il punto non è questo (anche se io credo di no; questione, in tutti i campi, è che se una cosa la vuoi davvero tanto, non sei disposto ad aspettare) ma riguarda il tema più ampio dei concerti in streaming e del possibile futuro della musica dal vivo.

Qualche altro esempio, senza nessuna pretesa di scientificità ma solo per mettere in chiaro che c’è già un certo trend in atto: gli Sleaford Mods fanno un concerto e raggiungono, pare, 80mila persone. Gli Okkervil River mettono in scena un nuovo capitolo del loro celebre “Rarities & Requests Tour”, specificando bene l’orario d’inizio a seconda del fuso orario, dimostrando quindi di attendersi gente da ogni continente. Neal Morse organizza il suo annuale appuntamento del Morsefest, che si svolge di solito a Cross Plains, Tennessee, con 70 persone presenti e tutti gli altri collegati da casa. Addirittura, i Pearl Jam trasmettono (facendolo pagare caro) un concerto di due anni fa nella loro Seattle, che in formato audio era già disponibile da tempo nella collana dei loro Official Bootleg. In Italia, da Venerus in poi, i live a distanza stanno prendendo piede, anche se per fortuna il piccolo seguito di molti artisti permette loro di esibirsi dal vivo con una certa facilità.

Ora, non so voi ma io non sono particolarmente tranquillo. Le questioni sul piatto sono sostanzialmente due: la prima è che questo stato di pandemia, per quel che ne sappiamo, potrebbe durare anche all’infinito. Non ci sono dati certi che ci dicano che tra un anno, due o tre, ad organizzare eventi di massa non si correrà più alcun rischio. Di conseguenza, o si inizierà ad accettare qualche rischio in più (ma non sembra questa la tendenza in atto, almeno per ora), oppure un certo settore di attività rimarrà fermo o a mezzo servizio a tempo indeterminato (non lo si potrà fare per il calcio, ma la musica muove molti meno soldi, temo).

La seconda questione, ed è la conseguenza della prima, è che i concerti in streaming sono straordinariamente redditizi. Pensateci: i costi di produzione e di allestimento potrebbero anche essere alti, soprattutto per chi volesse continuare a mettere in campo uno show con tutti i crismi, che abbia anche un certo impatto visivo. Dall’altra parte però, non sarebbe più necessario fare chissà quante date: basterebbero uno o due collegamenti opportunamente selezionati (anche dieci, se proprio si vuole) e potenzialmente si potrebbe raggiungere molto più pubblico di quello a cui la band in questione era abituata. E con quello che costerebbe il biglietto (salato ma sicuramente più economico rispetto ad un normale concerto), le entrate non sarebbero scarse.

Non è fantascienza: vedere gli Okkervil River costa circa 20 dollari, partecipare virtualmente alle due serate del Morsefest addirittura 99 (99 dollari per vedere due concerti in televisione. Follia? Ne dubito, visto che, a giudicare dai commenti sul forum del fan club dell’artista, la partecipazione pare sia abbastanza alta).

Ma le cifre c’entrano fino ad un certo punto: coi costi limitati, anche 10 euro di biglietto con la possibilità di far accedere migliaia di persone per volta, garantirebbe un certo guadagno.

Certo, si perderebbe l’esperienza unica ed insostituibile di essere presenti lì dove accade l’evento, di esserci davvero, tutte cose che chi ha partecipato anche solo una volta ad un concerto conosce bene, inutile dilungarsi. Bene, ma siamo poi così sicuri che alla maggior parte della gente interessi fare questo tipo di esperienza? Voglio dire: quanti ne vedete, nei concerti che frequentate, che seguono davvero quel che accade sul palco? O non è forse vero che il via vai dal bar e le chiacchiere fastidiose dei vicini sono divenute, almeno negli ultimi anni, una presenza costante? E che dire di tutti quelli che stanno a fondo sala, a fare serata come se fossero in un pub qualsiasi? È un copione fin troppo noto, lo sapete benissimo.

Se a questo uniamo la tendenza imperante dello “stare a casa is the new uscire” veicolata dalle varie piattaforme tipo Netflix e Prime o dagli onnipresenti servizi di Food Delivery che ti portano il cibo sull’uscio di casa, il gioco è fatto: che garanzie abbiamo che, potendo scegliere tra il nome grosso che suona in streaming e il nome piccolo e sconosciuto che suona nel bar del quartiere, io non opti per la prima opzione?

Dal punto di vista delle band, le cose sono un po’ più complesse. Penso che la maggior parte dei musicisti sceglierebbe di suonare davanti ad un pubblico in carne e ossa, se potesse farlo. Ma per tutti quelli che fanno della musica la loro professione, in qualche modo bisogna pur campare. E allora ecco che suonare in streaming, per quanto limitante, sarebbe senza dubbio meglio che non suonare affatto. E non dimentichiamo che, come detto prima, raggiungere in un solo show un numero di persone ben maggiore di quello che si è abituati a vedere in una normale data di tour, potrebbe rappresentare lo stesso una tentazione irresistibile, anche se tutte quelle persone poi nemmeno le vedi in faccia. Da ultimo, e potrebbe essere il caso dei gruppi con decenni di carriera alle spalle e anche piuttosto anzianotti, suonare in streaming permetterebbe di limitare gli spostamenti e di dosare le energie. Una sorta di pensione per i vecchi del rock, sorta di Florida in formato musicale? Non lo escluderei del tutto.

A rimanere fuori da questa logica sarebbero solo quegli artisti piccoli o piccolissimi, gente da massimo 300 paganti a sera, che potrebbe tranquillamente esibirsi ovunque senza problemi di distanziamento e che non avrebbe nessun tipo di convenienza economica nel mettere in piedi costose dirette che poi rischierebbero di essere poco frequentate. Per tutti gli altri però, suonare a distanza potrebbe davvero rappresentare il futuro. Un futuro surrogato, certo, ma una pur sempre dignitosa alternativa al morire di fame o al dover smettere di suonare per vivere.

Sono stato troppo drastico? Vi sembra altamente improbabile che accadrà mai una cosa del genere? Ogni tanto anche a me viene la tentazione di essere ottimista. Eppure, come ha scritto recentemente Giorgio Agamben, spesso accade che un cambiamento introdotto da una situazione di emergenza, si trasformi poi in un’abitudine non appena l’emergenza sia passata, semplicemente perché si scopre che è risultato più conveniente di quel che c’era prima.

E anche il paragone col passato in qualche modo ci illumina: ai tempi delle prime registrazioni c’era chi si lamentava perché in questo modo ne sarebbe uscito snaturato l’esperienza dell’ascolto dal vivo. Nel tempo, come era giusto che fosse, si è capito che si trattava di due dimensioni talmente diverse che avrebbero potuto compenetrarsi senza problemi, cosa che infatti è poi avvenuto.

Non è escluso che lo streaming, dopo l’iniziale sensazione di straniamento, si trasformi in qualcosa di totalmente consolidato. Dopotutto, come diceva Dostoevskij, l’uomo si abitua a tutto. E se siamo arrivati a guardare un film o una partita di calcio dallo schermo di un telefonino, non vedo perché tra qualche anno non dovremmo farlo anche coi concerti.

Io personalmente non intendo partecipare a questa deriva. Se voglio assistere ad uno show seduto in poltrona, metto su un bel dvd oppure faccio un giro su YouTube, dove di concerti integrali e registrati professionalmente se ne trovano a migliaia. Se proprio non si potrà più fare come prima, un paio di sere a settimana le spenderò così. Che non mi si chieda però di seguire una band a distanza facendo finta che sia ancora tutto come prima. Piuttosto, meglio il silenzio.

 

[Questo pezzo è stato scritto dopo una conversazione in chat con Lino Brunetti e Christian Di Martino. Alcune riflessioni sono anche loro. L’autore ringrazia entrambi per il contributo involontario].

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