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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
13/05/2020
Silvia Romano libera
I Giorni dell’Odio Inconsapevole e Sgrammaticato
Ritengo che ogni pensiero, anche quello più impopolare, abbia forza solo se è argomentato, motivato e ben scritto. Perché se no, confutarlo, è un attimo e non c’è nemmeno il gusto del contradditorio: a prendere a pugni uno seduto sulla tazza del cesso nell’atto di defecare, sono capaci tutti.

Accendete i vostri televisori e godetevi il profluvio di pubblicità empatiche, gli spot sull’Italia che non molla, l’Italia del coraggio e della resistenza, l’Italia della speranza. Piccole apologie di un paese e di un popolo che, nonostante la paura, ha resistito al virus, grazie a biscotti e focacce amorevolmente cucinate nel tepore del focolare domestico. Un popolo pronto per la sfida più importante: ripartire. Il cuore rigonfio di buoni sentimenti e il sorriso sulle labbra. Belle quelle pubblicità, vero? Vi fanno sentire orgogliosi di essere italiani, vi fanno scendere la lacrimuccia, vi fanno venir voglia di abbracciare i vostri connazionali, travolti da quello spirito di comunanza che lega tutti gli uomini che hanno vissuto momenti difficili. Ecco, ora asciugatevi le lacrime di commozione, e fate un salto sul vostro social preferito: l’Italia che ce la fa, col cuore gonfio di orgoglio e l’anima tracimante buonismo da merendina, ha deposto il rametto d’ulivo post lockdown e ha inzaccherato i panni candidi e amorevoli nel guano mefitico della cloaca. Una buona, buonissima notizia (la liberazione di una ragazzina di poco più di vent’anni, dopo un lungo periodo di prigionia in mano a terroristi senza scrupoli), ha trasformato il popolo del Mulino Bianco (non tutti, grazie a Dio) in un manipolo di feroci scherani da tastiera, pronti a scrivere ogni nefandezza in nome di un odio becero, inconsapevole e sgrammaticato.

Lo dico senza falsa retorica: ognuno è libero di pensarla come vuole e di scrivere, nei limiti indicati dal codice penale, ciò che ritiene più opportuno. Tuttavia, ritengo che ogni pensiero, anche quello più impopolare, abbia forza solo se è argomentato, motivato e ben scritto. Perché se no, confutarlo, è un attimo e non c’è nemmeno il gusto del contradditorio: a prendere a pugni uno seduto sulla tazza del cesso nell’atto di defecare, sono capaci tutti.

Faccio un esempio.

Ricorrente nella fitta trama di un florilegio di insulti tremendi (manco ‘sta ragazzina vi avesse rubato la macchina), è la seguente frase:”…….ma allora i marò?”

Capisco che nello specifico si voglia attaccare il governo, reo di aver impunemente liberato Silvia Romano; se proprio dovete, però, fatelo meglio e con armi più affilate. In questa frase, peraltro leggermente apodittica, ci sono quasi più errori grammaticali che parole. I puntini di sospensione, infatti, sono sempre e solo tre, e, oltretutto, non si comincia mai una frase con il Ma. Per essere gli strenui difensori della cultura e delle tradizioni italiane, dovreste quantomeno partire dall’abc, che è la nostra lingua.

Sul merito, invece, vorrei far notare che paragonare la liberazione di Silvia Romano alla vicenda dei due marò, è un’affermazione completamente priva di coerenza logica, un po’ come considerare birra la Corona o musica le canzoni de Il Volo. Se invece di informarvi al bar (cosa peraltro non agevole in questi giorni), aveste ogni tanto la decenza di leggere un giornale, un libro o fare un ripasso su un manuale di storia, lo sgomento vi attanaglierebbe. Da un lato, infatti, esiste una controversia internazionale fra due nazioni sovrane (Italia e India) in materia di giurisdizione penale e si attende in merito la sentenza del Tribunale Arbitrale dell’Aja (nel frattempo i due, accusati di omicidio, si trovano a vivere nel nostro paese); dall’altro, invece, si è trattato e si è pagato un riscatto per liberare una connazionale prigioniera di un gruppo di malviventi senza scrupoli. Ora, non si pretende che tutti sappiano tutto di tutto, ma se proprio bisogna prendere posizione, che almeno sia suffragata da un ragionamento e da qualche informazione in più.

Vorrei toccare brevemente altri due punti.

Il primo è quello relativo alla conversione all’Islam da parte di Silvia. A prescindere dal fatto che la scelta di fede è una questione privata, che riguarda esclusivamente il sentire interiore dell’individuo, nessuno può sapere esattamente cosa sia successo, anche se molti hanno concionato in merito con disarmante sicurezza (probabilmente, gli stessi che, qualche tempo prima, si trovavano nei laboratori di Wuhan o nelle fabbriche di disinfettante di Trump). A tal proposito, possiamo solo immaginare due ipotesi: o che Silvia sia stata forzata o sia stata di vittima di un riflesso della sindrome di Stoccolma; oppure che, lontana da casa e dagli affetti, abbia trovato conforto in una religione che in qualche modo sentiva già sua. Ha cioè iniziato un percorso di fede: magari difficile, lacerante, pieno di dubbi e di contraddizioni, ma suo. Un cammino di consapevolezza, che forse manca a tutti gli strenui difensori della cristianità, crociati del nuovo millennio, fedeli alla bisogna, e cattolici per battesimo e abitudine, ma non per convinzione.

L’altro aspetto, e chiudo, è quello del riscatto. Nonostante quello che probabilmente avete orecchiato al bar o dal vostro pizzicagnolo di fiducia, in Italia come in Europa, i riscatti si sono sempre pagati, e a farlo sono stati sia governi di centrosinistra che di centrodestra (vedi il caso di Giuliana Sgrena, per citarne uno a caso). Se poi, quattro milioni vi sembrano troppi, provate a sostituire con l’immaginazione Silvia Romano con vostra figlia, vostra madre o vostra moglie, e vedrete che vi sembreranno noccioline.

Quindi, lo dico con simpatia, continuate pure a veicolare odio gratuito, ma fatelo con intelligenza, studiate, approfondite, informatevi, e poi sbizzarritevi con argomentazioni meno prevedibili, più ragionate e ortograficamente intellegibili. Perché se vi tolgono il telefonino dalle mani o vi allontanate  dal bancone del bar, rischiate anche di imbattervi in un consesso civile, di fronte al quale, l’italiano stentato e la poca dimestichezza ad argomentare vi farebbero passare per gli scemi del villaggio. Lo dico per voi, soprattutto. E un po’ anche per Silvia, il cui bellissimo nome, dal suono evocativo di leopardiane suggestioni, meriterebbe almeno un odio più consapevole. E meno sgrammaticato.

TAGS: loudd | NicolaChinellato | SilviaRomano