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REVIEWSLE RECENSIONI
13/06/2025
Opia
I Welcome Thee, Eternal Sleep
L'album d'esordio degli anglospagnoli Opia inanella otto canzoni che sono sintesi sublime fra melodie celestiali e crepuscolare gothic doom.

Fulminato come San Paolo sulla via di Damasco. Per quanto il gothic doom non sia proprio la mia tazza di tè, un esordio come questo I Welcome Thee, Eternal Sleep, induce a una rapida e convinta conversione. Quello degli Opia, combo anglo spagnolo nato nel 2022, è un debutto che lascia il segno, che sbalordisce per intensità e ricchezza compositiva e che tocca il cuore, lasciando una ferita profonda, in tutti coloro che amano la malinconia e che indugiano al soliloquio esistenziale.

Un disco che, come esplicita il titolo, parla di morte, di sonno eterno, ma lo fa evitando clichè funerei e catacombali, cercando semmai di sondare l’animo umano di fronte al grande mistero che segna la nostra vita. Solo otto canzoni, ma tutte centratissime, in cui la pesantezza del passo doom e certe asperità mutuate dal black metal, trovano il contrappunto in seducenti atmosfere dal sapore cinematografico e in melodie eteree, dolcissime, quasi trasognate.

Nonostante un oscuro mantello forgiato nel metallo avvolga tutta la scaletta, il disco resta incredibilmente melodico, gli incisivi assoli di Phoenix Griffiths e Dan Tregenna sono mutuati dal classic rock, e le tastiere di Jorge Alonso, così esili e inquietanti, danno respiro a brani trainati dal metronomo e dalla furia di una sezione ritmica (Richard Rees al basso e Sam Heffernan alla batteria) che vive in una terra di mezzo fra post punk e black metal.

A fare da collante della line up è la conturbante Tereza Rohelova, che veste alternativamente le sembianze di signora della notte, grazie a un growl aspro e disperato, e di angelo del Paradiso, quando rasserena la gola e le corde vocali si sciolgono in un timbro dolce, evocativo, ambrosia seducente che si perde nell’immenso respiro dell’eternità (cosa che avviene con strabiliante fluidità anche all’interno dello stesso brano). 

"These Pristine Memories" è una breve intro strumentale dal sapore cinematografico, ma dà davvero il senso del tutto, soprattutto grazie alla batteria che suona come un battito cardiaco. Un cuore che cessa di battere di fronte allo sconquasso di "On Death's Door Part I". Qui, l'estensione vocale di Tereza Rohelova è davvero impressionante e, mentre la sua formazione classica garantisce che tutte le parti pulite siano assolutamente celestiali, i growl lasciano a bocca aperta per la potenza e la disperazione che riesce a trasmettere (“My greatest fear is this deathly state becomes your memory of me”). I passaggi fluidi tra i due stili vocali sono eseguiti in modo impeccabile e questo a sua volta contribuisce a mantenere coesa l’atmosfera fra le due chitarre che scartavetrano la melodia arresa di un tappeto di synth ossianico.

"Man Proposes, God Disposes" si sviluppa in bilico fra sprofondo disperato e melodia malinconica, un arpeggio morbido, una splendida linea di basso sottostante, la voce eterea che punta all’immensità del cielo e poi il growl che trascina nel profondo dell’oscurità. Un alternarsi di sensazioni confliggenti, il dolore straziante, il buio dell’eterno risposo, ma anche la speranza di resurrezione, l’intuizione di un’accogliente volta celeste.  

I temi trattati in questo album sono tutti profondamente emotivi, e l’alternarsi degli stati d’animo lascia spossati: il groppo in gola e le lacrime svaniscono in un ondata di angoscia, rabbia e disperazione, e ancora, quando torna forte la malinconia, il dolore viene sublimato da una strana estasi spirituale (le trame post rock della struggente "Fade").

Di questo saliscendi emotivo, sia "Silence" che "The Eye" ne sono un perfetto esempio. I momenti di dolce e tenera bellezza, uniti al dolore e alle grida d'angoscia, funzionano così bene insieme e contribuiscono davvero a raccontare la storia che gli Opia hanno in testa.

Il lavoro di chitarra è sublime in tutto il disco, ma una menzione speciale va all’arpeggio morbido e al successivo riff graffiante intrecciati in "Days Gone By", un gioco di prestigio che resta in testa per lungo tempo. Anche le tastiere sono usate benissimo nel corso della scaletta, restano in retroguardia senza mai sovrastare un solo momento, esaltando tutte le atmosfere e aggiungendo piccoli tocchi di emozione all’interno di ogni singolo brano.

Chiude il disco "On Death's Door Part II", vertice di un album tutto magnifico: la carezza di una chitarra dolcissima, la voce eterea della Rohelova, e poi, la pesantezza che travolge l'anima e le melodie angosciate, che si fondono in un modo che ti lascia completamente distrutto, ma con la voglia continuare l’ascolto. Le reiterate esplosioni black metal sono un colpo di scena grandioso, prima che l'assolo di chitarra (quello straordinario gusto retrò che evoca i Pink Floyd e poi accelera il passo) faccia del suo meglio per prosciugare la poca energia rimasta. Inferno e Paradiso, morte e resurrezione, fragilità umana e mistero divino. Una chiosa da fuoriclasse.

I Welcome Thee, Eternal Sleep non è un disco facile, soprattutto per tutti coloro a cui tremano le gambe ogni volta che sentono pronunciare le parole metal e growl. Chi, invece, è curioso e se ne fotte delle etichette, troverà la poetica musicale degli Opia un dono inaspettato. Si affaccerà all’orlo dell’abisso, proverà un dolore palpabile che afferra la gola, ma guarderà anche le stelle del cielo e l’infinito universo, scosso da un inspiegabile afflato trascendente.