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MAKING MOVIESAL CINEMA
Il gusto del sakè
Yasujirō Ozu
1962  (Raiplay)
COMMEDIA DRAMMATICO
7/10
all MAKING MOVIES
29/09/2025
Yasujirō Ozu
Il gusto del sakè
Il gusto del sakè è l’ultimo film del maestro giapponese Yasujiro Ozu, un’opera raffinata e malinconica che riflette sul tempo che passa, sul cambiamento dei legami familiari e sulla solitudine. Con il suo stile essenziale e poetico, Ozu ci accompagna in un commiato discreto e profondamente umano.

Yasujiro Ozu morì a causa di un cancro alla gola il 12 dicembre del 1963, lo stesso giorno della sua nascita risalente al 12 dicembre di sessant’anni prima. Il gusto del sakè, datato 1962, rimane così l’ultima opera di un grande maestro la cui filmografia a fine carriera conta poco meno di cinquanta pellicole di cui alcune andate purtroppo perdute in via definitiva.

Anche per il suo ultimo lungometraggio vale quanto detto per molti dei film che l’hanno preceduto. Ozu continua a creare il suo universo fatto di shomingeki, ossia “film sulla gente comune”, adottando piccoli spostamenti progressivi, aggiunte minime e varianti su dinamiche e protagonisti. Si amplia così la costruzione di un discorso coeso sulla famiglia giapponese e sui cambiamenti, interni e in relazione alla società circostante, che questa subisce con il progredire dei tempi.

La modernità e l’influenza della cultura occidentale introducono nuove sfide e nuovi modi di vivere la vita soprattutto da parte delle generazioni più giovani che non mancano di incidere e influire anche sui comportamenti di quelle precedenti. È un grande lavoro di osservazione e di lascito quello che Ozu registra riguardo il suo mondo, il suo Paese, i suoi tempi, un lascito che oggi possiamo fruire sia come mera opera cinematografica sia come testimonianza storica di una società giapponese che ormai non esiste più.

 

Shoehi Hirayama (Chishu Ryu) è un vedovo di mezza età che frequenta ancora un paio di amici delle scuole: Shin Horie (Ryuji Kita), altro vedovo che si è risposato con una donna molto più giovane di lui, e Shuzo Kawai (Nobuo Nakamura), incline allo scherzo e che serba un benevolo rancore per un loro vecchio professore, il signor Sakuma (Eijiro Tono).

Durante una cena alla quale i tre invitano anche il vecchio professore, questi si ubriaca fino a non riuscire più a reggersi in piedi; proprio per questo viene riaccompagnato a casa dai suoi ex alunni Hirayama e Kawai. Una volta ricondotto a casa l’uomo, i due amici scoprono come il loro vecchio professore non se la passi bene e come trascini nella sua vita poco felice anche la figlia Tomoko (Haruko Sugimura), costretta ad occuparsi del padre ubriacone e a sopportare una vita di sacrifici e solitudine.

Hirayama, che vive anch’egli solo con la figlia Michiko (Shima Iwashita), inizia così a preoccuparsi per il futuro della ragazza e a pensare alle possibilità di matrimonio per la giovane la quale sembra avere una discreta simpatia per l’amico Miura (Teruo Yoshida), collega del primogenito di Hirayama, Koichi (Keiji Sada). Quest’ultimo è sposato e la sua figura di capofamiglia, in maniera discreta e affettuosa, inizia a esser messa in discussione dalla moglie Akiko (Mariko Okada) ben decisa a non lasciare troppa corda al marito e a ottenere per lei le sue piccole vittorie quotidiane.

 

Sono diversi i temi che si affastellano l’uno sull’altro ne Il gusto del sakè: Ozu riprende il rapporto padre/figlia in relazione alla solitudine della vecchiaia per i padri e il diritto alla felicità e all’indipendenza delle figlie, una dicotomia che viene sempre gestita attraverso personaggi che decidono di adottare scelte altruistiche, evitando di mettere al primo posto i propri desideri e il proprio benessere, fatto salvo per la figura di Sakuma che ha qui però funzione di esempio negativo e sprone per il protagonista interpretato da Chishu Ryu, vero e proprio attore feticcio per Ozu.

Come in altri film della tarda filmografia di Ozu permane un tono lieve con inserti umoristici, riferimenti al sesso, battute goliardiche tra vecchi compagni di scuola, nel complesso il regista nipponico continua a promuovere un impianto classico a quei tempi ormai superato da nuovi registi emergenti e dall’avvento di quella che verra identificata come la Nuberu bagu giapponese. E ancora emancipazione femminile e consumismo in ascesa, caratteristiche entrambe ben esemplificate dalla figura di Akiko, una giovane donna che mostra al marito chi “porta i pantaloni” in casa e che indulge anch’essa, forse in maniera meno futile del marito, in desideri materiali focalizzati sull’avvento di nuovi beni di consumo alla portata di tutti o quasi (una nuova borsetta, il frigorifero, l’aspirapolvere, etc…).

Amarognolo il finale con un Hirayama brillo e ormai solo, la camera di Ozu indugia sulle stanze ormai vuote della casa di famiglia, Michiko non c’è più, di lì a poco purtroppo non ci sarà più nemmeno Yasujiro Ozu.