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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
23/04/2020
TOO OLD TO DIE YOUNG
Il Mondo come Volontà e Rappresentazione
Premessa: questo articolo è molto lungo e si pone volutamente al di fuori del dinamismo social dei nostri giorni. Perché provare a leggerlo? Forse per il tentativo di osservare i processi della bulimia visiva che ci circonda, analizzando un prodotto tipico di questo contesto e che allo stesso tempo se ne chiama fuori. Con un’avvertenza: non è una visione per tutti.

Too Old to Die Young (di Nicholas Winding Refn, 2019)

Il Mondo come Volontà e Rappresentazione[i].

 

Quando Dio ti concede un dono, ti concede anche una frusta:

ed essa è predisposta unicamente per l’autoflagellazione.

(Truman Capote)

 

Prologo.

Sai cosa succederà? Ora ti torturerò per tre giorni e poi ti ucciderò”.

Queste parole sono pronunciate da Jesus, figlio di Magdalene.

Mentre leggete questi nomi pensate che la tortura consista in una sanguinosissima flagellazione.

(La Maddalena, Paul Cezanne)

Abituato a tenermi informato sugli sviluppi delle nuove poetiche sulla visione, mi capita di leggere riviste cartacee sull’argomento Cinema. Questo avviene anche per i prodotti che di solito non guardo, vale a dire le serie tv. Seguo, in questo senso, il pensiero di Enrico Ghezzi, che non guarda le serie perché paradossalmente vorrebbe vedere tutto, secondo un’idea, un’ossessione di cinema che si costituisca come una larghissima memoria non nostra. Le parole del critico cinematografico, famoso per l’apparente incomprensibilità, nascondono in realtà il fulcro della questione. Il criterio produttivo delle serie tv nel loro perpetuarsi in stagioni, nella loro bulimia quantitativa, rischia a lungo andare - a meno che nascano come un progetto compiuto sin dall’inizio, come nelle tre serie ricavate dal film Fargo dei fratelli Coen - di sfilacciare il tessuto narrativo fino ad arrivare ad una cessazione che, non arrivando ad un compimento, rischia di non appagare l’esigenza di una conclusione.

In questo senso una delle prime caratteristiche di Too Old to Die Young, è di avere una finale, pur con alcuni nodi che, volendo, si potrebbero sbrogliare. Lo testimonia la prima immagine che avete visto ad inizio articolo (che vi accompagnerà fino all’ultima riga) e anche la considerazione di Refn  secondo la quale non ci sarà una seconda stagione, non volendo essere costretto a lavorare come alla catena di montaggio in una fabbrica.

La Matrice.

“Questo ci hanno insegnato le serie: ogni cosa può diventare topica (…) basta un personaggio, basta un tratto per dare intensità: una forza non più misurabile in termini di spazio-tempo che crea un salto in una zona interna, in una zona mediana dove si toccano i fili giusti”.

(Intervento di Enrico Ghezzi per la rivista “Popsophia/Lo sguardo” - rivista di Filosofia. N. 16, 2004 III)

In realtà è più corretto dire che le poche serie che ho visto sono state fondative nel creare un salto nelle mie zone interne. Mi riferisco a produzioni che oramai sono archiviate come una sorta di spartiacque: 24 e Lost, visioni che si rivelarono scardinanti in termini di fruizione del tempo.

“Siamo abituati a orbitare dentro storie. Siamo abituati a cercare - trovandola - della fiction in noi stessi. Una cosa abbastanza banale con i mezzi che abbiamo. Una cosa talmente banale, da essere misteriosamente in un’opera”.

(Enrico Ghezzi, op. cit.)

 

In 24, grazie allo split screen, si poteva assistere nello stesso momento a due o più azioni differenti che accadevano in luoghi diversi, seguendo una visione in tempo reale delle ventiquattro ore che scandivano la ricerca di una figlia, scomparsa nel giorno in cui il primo candidato nero alla presidenza degli Stati Uniti veniva minacciato di morte. La percezione di un tempo lineare iniziava ad essere messa in discussione; discorso elevato a indimenticabili vette di confusione in Lost, dove un gruppo di naufraghi, scampati ad un disastro aereo, si ritrovava su un’isola piena di misteri, affrontando salti avanti e indietro nel tempo, nel tentativo di tornare a casa. Bringin’ it all back home.

Dal 2003, anno di apparizione delle gesta dell’agente Jack Bauer, le serie sono cresciute a dismisura; anche i registi di Cinema vi si dedicano trovandole adatte ad esprimere al meglio le proprie idee, liberi dai vincoli dei produttori. Visioni spartiacque, come dicevo poco più su, divisive come la scelta tra la pillola rossa e quella blu che veniva illustrata a Neo in The Matrix, film di fine millennio (1999) che ha segnato il passaggio da una vecchia a una nuova concezione di Cinema, mediante un salto dall’analogico al digitale. Cinemapiù si potrebbe dire, parafrasando il linguaggio di Arancia Meccanica di Stanley Kubrick, vale a dire un cinema che allo stesso tempo è anche qualcos’altro nel salto in avanti che i trucchi digitali hanno permesso di realizzare in certe scene, per non dire della serialità negli episodi successivi al film. Reloaded e Revolution. Ricordo, infine, che nel film compariva una donna dal nome Trinity e che, soprattutto nei sequel, si potevano trovare tracce di Gnosticismo con Keanu Reeves che finiva in croce. E se Croce dev’essere, allora benvenuti all’Inferno di Too Old to Die Young, dove in una sorta di capovolgimento della storia millenaria a cui sto alludendo è Jesus che flagella, figlio di Magdalene con la quale ha un rapporto incestuoso[ii]. Torniamo però a fare un salto indietro nel tempo (alla Lost) perché non ho ancora accennato al Fondamento, vale a dire alla Madre di tutte le serie: Twin Peaks.

Il Fondamento.

Benvenuti a Twin Peaks, campeggiava sul cartello stradale all’arrivo dell’agente Dale Cooper nella cittadina, saluto augurale che in realtà prefigurava un ingresso nel girone dei dannati. Non è questa la sede in cui trattare cosa abbiano rappresentato le prime due serie create da David Lynch (troppo vasto l’argomento). Fisserei l’attenzione sul fatto che, nei primi anni ’90, mostrare nelle prime immagini di un prodotto televisivo il volto di una ragazza morta, avvolto nella plastica, fu un qualcosa di mai visto in quel tipo di fruizione visiva. Soprattutto perché si trattava della citazione pedissequa di un’opera di Claude Monet.

(Camille Monet sul suo letto di morte, Claude Monet)

Lynch aveva iniziato il suo percorso artistico come pittore per poi riversarsi interamente sul Cinema, anche se i suoi film restano fortemente legati alla pittura, con gli influssi di Francis Bacon, René Magritte e Edward Hopper. Da Paul Cezanne, ad esempio, prende una certa idea di spessore cromatico attraverso la saturazione del colore come analizzato da Marco Martano in “David Lynch. Dipingere il Cinema” (2017), scegliendo angoli di luce tesi a creare una forte disarmonia cromatica sui volti, rendendone visibile una parte e lasciandone totalmente nell’ombra l’altra. Tecnica che Nicholas Winding Refn adotterà per le riprese dei volti di quasi tutti i personaggi della sua serie.

(Laura Palmer, nel suo letto di morte)

L’immagine di questa ragazza rappresentò uno scardinamento, un punto di svolta che andava ad erodere le precedenti fondamenta in virtù di una nuova narrazione. Iniziare una serie con il volto di una morta, nella stessa posa di un quadro di un pittore fu una dichiarazione d’intenti, una poetica dettata da una nuova e personalissima visione del mondo, totalmente disancorata dagli schemi televisivi del tempo. Soprattutto perché fondava il corso degli eventi su una tragica notte i cui misfatti non saranno mai mostrati. Non vedere, a volte può essere più perturbante che vedere tutto.

“Vedere tutto. Tutto quello che ci piace, che alla fine diventa tutto. Non posso dire che mi interessa solo ‘qualcosa’. Nel momento in cui scelgo un autore, mi interessa tutto e riporto a quel tutto anche il Cinema che autorialmente è fuori dalle correnti più generali e più facilmente identificabili”.

(Enrico Ghezzi, op. cit.)

Quello di cui mi interessa parlare, per poi traghettarci verso la serie di Nicholas Winding Refn, è come David Lynch -venticinque anni dopo il termine della seconda serie, mantenendo la promessa fatta da Laura Palmer all’interno della Black Lodge “Ci rivedremo tra venticinque anni” - abbia inglobato il suo lavoro precedente, smontando e distruggendo letteralmente tutti i meccanismi che avevano fatto di Twin Peaks un successo mondiale.

Ricordo solo come passo in avanti della terza serie (Twin Peaks-The Return) la triplicazione del personaggio principale secondo linee narrative che finiscono per convergere, mentre le prime due serie erano incentrate sul tema del doppio e soprattutto lo svelamento del ruolo di capro espiatorio dell’agente Dale Cooper, previsto sin dall’inizio della sceneggiatura, quale martire di un progetto - il Blue Rose - per cui, pur di sconfiggere il male, perderà tutto, compreso l’amore di Diane (nome che tornerà più avanti).

“Quel che mi pare evidente nel cinema delle serie, invece, è che ci portano subito sul bordo, si tratta di vedere o non vedere le cose”.

(Enrico Ghezzi, op. cit.)

Vedere o non vedere. David Lynch, nel 2017, ottenne dalla Showtime la concessione di non mandare in onda nessun trailer anticipatore, scelta totalmente agli antipodi di ogni marketing dell’attesa, ma proprio per questo ancora più potente. Pensando ai meccanismi tipici delle serie, balza inoltre all’occhio che tutti gli episodi di Twin Peaks - The Return siano stati girati da lui e che egli abbia ripetutamente invitato a considerare la nuova serie come un lungo film di diciotto ore. Enrico Ghezzi aveva già intuito la portata innovativa del regista di Missoula analizzando il processo innescato dalle prime due serie:

“Il successo di Twin Peaks si spiega perché Lynch ha fatto un grande film, con una durata inusuale, in televisione (…) Lynch sostanzialmente sfilaccia la serie e interrompe il finale nel film. (…) il tentativo di finire una serie, come Lost, per esempio, perché si devono produrre altre cose e c’è pressione dai fans, è un cedimento morale quasi più che intellettuale”.

(Enrico Ghezzi, op. cit.)

Anche in questo caso, trattare di questo lungo film, porterebbe via troppo tempo e allontanerebbe dal punto di arrivo che è il tema della filiazione, per cui non sono io il primo a dire che il regista di Too Old to Die Young sia una diretta emanazione, o quantomeno uno sviluppo delle estetiche di David Lynch.

La Volontà.

Eccomi allora, seduto in biblioteca, mentre leggo che anche il regista di Drive ha concepito una serie per cui si può coniare un nuovo termine: Mithology. La Mitologia in questione consisterebbe nel convogliare tutti gli elementi caratteristici della propria produzione per cui, soprattutto chi segue il regista, vi può ritrovare tutti gli stilemi che lo hanno reso caro al pubblico. Leggere poi che Refn invita a considerare la sua creatura come un film lungo film, anziché come una serie, aiuta a sostenere la mia teoria. Aggiungete infine che il regista danese ha girato tutti i dieci episodi per un totale di tredici ore di visione e avrete la chiusura del cerchio per introdurvi in questo inferno dove si è troppo vecchi per morire giovani.

La volontà di un artista di svincolarsi dalle attese del proprio pubblico rappresenta da sempre la possibilità di far progredire il discorso artistico. A mio avviso quest’intenzione porta con sé qualcosa di ascetico, sicuramente svincolato dalla concezione visiva dell’Occidente dedita alla Luce e al chiarore del progresso, per approdare invece ad un rallentamento e al godimento dell’Ombra, come invitava a fare Junichiro Tanizaki nel suo Libro d’Ombra. Non stupirà allora accennare al fatto che il film successivo a Drive, dal titolo Only God forgive, sia dedicato ad Alejandro Jodorowski, fautore della Psicomagia, e che ogni episodio di Too Old To Die Young porti il titolo che deriva dalle carte dei Tarocchi, dei quali il maestro cileno è un attento studioso.

Il Mondo.

Sarà proprio Jodorowski[iii] a suggerire a Refn di abbandonare il desiderio di piacere a tutti in virtù di una libertà espressiva - questa sì - tesa al meglio: infatti il regista danese con il suo lungo film ha realizzato la sua opera più evoluta, compatta e violenta.

Questa è la libertà: essere capaci di uscire da sé stessi, attraverso i limiti del piccolo mondo individuale per aprirsi all’Universo. Mi piacerebbe che i lettori del nostro libro ammettessero, perlomeno, l’idea del potere terapeutico dell’Immaginazione”.

(Alejandro Jodorowski. Explicit da Psicomagia. Una terapia panica -2013)

Eccola la chiave, adottata anche da David Lynch, che apre tutte le porte: il potere dell’Immaginazione!

Nell’ultimo episodio di Too Old to Die Young, che dura solo trenta minuti, vediamo ripresa di spalle una donna bionda  in vestaglia, seduta nel suo letto, mentre indossa una maschera per la Realtà Virtuale, dalla quale ci viene fatta sentire una voce che scandisce le tappe di un training masturbatorio. Non vediamo ciò che la donna vede, così come non vediamo lei completamente nel suo atto di autoerotismo (sembra una citazione simbolica di un quadro di Magritte dove un uomo allo specchio vede sé stesso di schiena): la visione ci è preclusa, la rappresentazione è negata, Vedere e non vedere. Dobbiamo immaginare. Sappiamo solo il suo nome: Diana.

(La riproduzione vietata, René Magritte)

Titolo dell’episodio: il Mondo. Quale sia il mondo in questione sarà l’approdo finale di questo articolo; nel frattempo voglio anticipare al fatto che nella seconda metà di questo episodio troviamo, specularmente, una donna dai capelli neri che entra in un locale dove, dopo aver bevuto una tequila in compagnia di un uomo che conosce, spara e uccide tutti i maschi presenti. Bang! Fine della serie e avvento del nuovo mondo, con la Sacerdotessa della Morte che, come lungo tutta la serie, agisce in difesa delle donne sfruttate e oggetto di violenza.

“L’Arte è un atto di violenza”, sostiene Nicholas Winding Refn.

Rappresentazione 1- Il giardino dei sentieri che si biforcano e una trama che si avvolge su sé stessa.

Nicholas Winding Refn deve di sicuro aver visto Lost Highways, il film del 1996 con cui David Lynch ridiede linfa al genere Noir, sdoppiando quello che nei film di genere era il classico ruolo della femme fatale. La bionda e la bruna, interpretate dalla stessa attrice. Anche i personaggi di Too old to die young sono collaterali o speculari: sia che agiscano in coppia sia che a distanza svolgano lo stesso ruolo. In questo caso abbiamo Diana, la sacerdotessa bionda, che sfrutta un uomo, Viggo (ex agente FBI, ammalato, in dialisi), ormai prossimo alla morte, commissionandogli omicidi riparatori: pedofili, stupratori e persone insospettabili macchiatesi di crimini abominevoli sono giustiziati. L’uomo (che ha un occhio di vetro) viene affiancato da Martin, agente corrotto a sua volta sfruttato da Damian, capo di una gang che gli commissiona omicidi di persone che ostacolano il suo giro d’affari o che non hanno rispettato gli accordi. Damian ha tratto vantaggio dall’uccisione di Magdalene, potentissima donna messicana a capo di un cartello della droga e uccisa proprio dall’agente Martin in servizi. Martin per questo sarà ucciso da Jesus a colpi di machete, dopo essere stato flagellato per tre giorni, come accennavo all’inizio.

E con questo ho tracciato i nodi narrativi (i sentieri che si biforcano del racconto di Jorge Luis Borges e che sottendono a Lost Highways) di questa serie che andranno a intrecciarsi come nel simbolico nastro di Moebius, spesso utilizzato come metafora del Cinema. Resta da capire dove ci conducano questi percorsi del giardino dell’orrore che abbiamo intrapreso e perché siano atipici rispetto ai meccanismi delle serie tv. Nel frattempo lasciamo Jesus, alle prese con il suo furore, che si rivolge a sua moglie Yariza, inconsapevole che sia la Sacerdotessa della Morte, per dirle che deve prendere tutti i vestiti della madre conservati nella loro casa e che da ora abiteranno nel luogo dove è avvenuto il massacro dell’agente Martin (luogo per lui sacro).

Rappresentazione 2 – Gli specchi e gli occhi.

Nell’ultima immagine della seconda serie di Twin Peaks vedevamo l’agente Dale Cooper al suo risveglio nel letto di una stanza del Great Northern Hotel, dopo essere uscito vivo dall’inferno della Black Lodge: avvicinandosi a uno specchio, lo infrange volutamente sbattendoci contro la testa. È in questo modo che possiamo vedere, attraverso lo specchio[iv], al posto della sua faccia riflessa quella di Bob, l’entità demoniaca che ha portato il padre di Laura Palmer ad ucciderla e che ora si è impossessata dell’agente. Gli specchi, in quanto strumenti in cui vedersi, come rammentava Borges hanno il difetto di duplicare gli uomini.  

Da un’identità sdoppiata con In Too Old to Die Young si passa a un’identità triplice, con scene in cui lo spettatore è posto al di qua o al di là di uno specchio a tre ante

In una scena dei primi episodi, ad esempio, Jesus sogna la madre in una triplicazione della sua immagine, e in quella scena possiamo notare come, in modo ribaltato rispetto a una rappresentazione tradizionale, il soggetto che si specchia è quello che vediamo frontalmente, mentre le figure di profilo e di spalle (che apparentemente sembrano i soggetti specchiantisi) sono le figure riflesse che hanno acquisito una tridimensionalità.

Oppure in un altro momento chiede alla sua donna di vestirsi come Magdalene in un morboso tentativo psicotico di rivedere in lei la madre e vuole essere truccato, davanti ad uno specchio che triplicherà le loro immagini.

Tre punti di vista, come tre sono i giorni in cui frustare Martin a sangue per poi ucciderlo, in una scena dove il regista danese conduce al massimo livello la tensione. In che modo? Non mostrando nulla, ma lasciando lo sgomento all’immaginazione con cui raffigurarsi quanto stia avvenendo, solo tramite i suoni del machete che colpisce l’agente, facendolo a pezzi. La richiesta di Alejandro Jodorowski ora è pienamente esaudita dal discepolo: il potere dell’immaginazione ha il sopravvento. Lo stesso impatto dell’inizio del nono episodio in cui vediamo Diana giacere riversa a terra nella sua casa, svenuta e stordita in seguito alla visione della scena mattatoio che i suoi poteri le hanno inviato. È accasciata a terra mentre riprende i sensi e un primo piano ci mostra i suoi occhi riversi con i bulbi oculari completamente bianchi. Innesti di immagini nella sua mente mostrano un gruppo di donne con gli occhi completamente neri che osservano, anche se non ci viene mostrato cosa (molto probabilmente sono presenti all’esecuzione da un’altra dimensione e sono le entità con cui la sacerdotessa è in contatto).

Poi segue un’altra visione, con lo schermo inondato da un’esplosione di fuoco; ma si tratta di piccole sequenze con cui il regista ci introduce nella mente di Diana e nei suoi occhi. Per recuperare la vista si reca da un’altra donna che la guarisce tramite l’invocazione a Santa Lucia mista a un rito Vodoo.

Tornata alla vi(s)ta afferma di aver presentito l’avvicinarsi della Sacerdotessa della Morte che è Yariza, la donna dai capelli neri e lo sguardo da serpente, presente all’uccisione di Martin: la bionda e la bruna, come in Lost Highways. La destrutturazione dei meccanismi classici dell’attesa prosegue con la morte del personaggio principale a due episodi dalla fine: destino già segnato fin dall’inizio, come avveniva alla protagonista di Mulholland Dr. (altra pellicola di Lynch dove avevamo ancora una volta una bionda e una bruna che finivano con l’interagire come se fossero un’unica persona).

Rappresentazione 3 - Mitologia della Lentezza.

Se dovessi definire questa serie con un solo aggettivo, non potrei dire altro che: lenta.

Molto probabilmente sarebbe anche il giudizio di molti e la declinazione, diversamente dalla mia, non sarebbe entusiastica. Figuriamoci se il prodotto fosse in bianco e nero. Proprio nell’antitesi a questi due colori possiamo riscontrare una delle cifre stilistiche di Refn: l’uso del colore, eccessivo, caricato e adombrato mediante l’utilizzo di neon[v], che pone il regista danese come fedele discepolo delle visioni lynchiane.

Pensiamo, ad esempio, al tipico sfarfallio dei neon nelle scene di Twin Peaks che preannunciavano l’elettricità e il conseguente diffondersi del male. In Too Old To Die Young, la tensione è giocata su un lento svelamento, vale a dire mediante un effetto per cui quello che accade nella scena viene presentato solo dopo lunghe carrellate che mostrano le luci e le ombre della scena. Questo tipico effetto ralenti viene potenziato anche con l’inserzione di una colonna sonora dai suoni rarefatti ed elettronici, calibrati sulle scene di maggior violenza. Non c’è attesa nella musica, bensì un’improvvisa esplosione che corrisponde pienamente a una delle caratteristiche peculiari di Refn: basti pensare alla famosa scena dell’ascensore in Drive. L’altra caratteristica è il gioco con i volti dei personaggi che passano dal primo piano all’essere inchiodati sullo sfondo, mediante un carrello all’indietro della macchina da presa, di un’intensità quasi pittorica.

(Diana, circondata dall’oro come nelle icone sacre)

Volti che vengono scrutati con una lentezza che ricorda l’incipit di C’era una volta il West di Sergio Leone (pellicola dai tre finali che destrutturava il genere Spaghetti Western), anche se qui la tensione non è data dal capire cosa stiano attendendo i cowboy criminali, ma dal fatto che non sta accadendo nulla di particolare, se non l’incedere di una stasi insostenibile. All’inizio della serie abbiamo, infatti, due poliziotti (uno è Martin) che durante un posto di blocco notturno vogliono approfittarsi della ragazza fermata, estorcendole denaro, con allusioni e ricatti sessuali. Questa situazione ricorda alcuni momenti de il Cattivo tenente di Abel Ferrara, altra devastante pellicola dai rimandi cristologici, con il poliziotto che nel finale tentava di redimersi rinunciando alla taglia sui giovani che avrebbe potuto arrestare (taglia con cui avrebbe onorato i suoi debiti di gioco), condannandosi così a morte sicura. In questa serie invece non c’è alcuna redenzione e anche Dio sembra essere assente.

La distruzione.

“Il Sole è in Capricorno e le creature stanno bene”

In questo senso Too Old to Die Young è la distruzione di ogni cliché di genere: subito ci viene mostrato l’assassino, subito ci viene spiegato il perché. L’agente che deve indagare sul giustiziere da un occhio solo, scopre immediatamente le sue carte chiedendogli di incontrarsi in un diner (tipico set alla Twin Peaks) e finirà col diventare suo collaboratore; il vecchio capo del cartello messicano muore semplicemente di vecchiaia, non in seguito ad una sparatoria come ci si aspetterebbe (e come accadeva a Marlon Brando ne Il Padrino) e dopo la sua morte si innescherà una spirale di violenza inusitata che vedrà Jesus tornare in America sulle tracce di Martin. A livello di consapevolezza di quanto stia per accadere siamo dalle parti dello strepitoso incipit di The touch of Evil di Orson Welles (The Devil è anche il titolo del primo episodio della serie) con quella mano che mette una bomba nel bagagliaio di una macchina che viaggia inconsapevole per tutti i titoli di testa: prima o poi scoppierà ma non sappiamo quando. Basterà attendere il finale del secondo episodio con i poliziotti corrotti messicani che, legati e inginocchiati nel deserto, vengono uccisi uno a uno da Jesus con un colpo di pistola alla testa, mentre la macchina da presa si muove lentamente, accompagnata dalle musiche che coprono tutti i rumori. Spari, urla, cadute a terra: tutto è sommerso e inglobato dalla colonna sonora, come avverrà nella scena finale con la Sacerdotessa della Morte.  

La fine del Mondo?

“Tu ed io, abbiamo un appuntamento dove finisce il Mondo”

(Windom Earle, mentre trascina Annie Blackburn nella Black Lodge in Twin Peaks)

Nel già citato ultimo episodio Diana si prende una pausa di riposo, si gode la giornata e affida i compiti del giorno (uccidere due stupratori e un pedofilo) a un collaboratore (si sente il nome Alexis, il cui significato rimanda al proteggere, come Diana che secondo il mito è la protettrice delle donne) dal quale si congeda telefonicamente accennando alle presenze con cui è in contatto: “dì loro che le penso”. Dopodiché la vediamo seduta in poltrona, mentre osserva un dipinto che con un po’ di astrazione potremmo considerare come una veduta del globo terrestre dallo Spazio, come se fosse una soggettiva sul pianeta.

Ed è a questo punto che, probabilmente vedendo la realtà che andrà a descrivere, ci espone le linee guida del futuro che le appare in visione e che a me in realtà, ricorda molto il presente in atto in termini di decadenza e presenza del male nel mondo:

Presto la violenza diventerà erotica, la tortura euforica mentre le masse saluteranno con gioia le esecuzioni pubbliche spinte dall’odio del Fascismo. I campi di concentramento verranno ricostruiti e l’ignoranza verrà glorificata. E ci saranno guerre razziali. Perché l’odio verrà ricompensato e considerato una cosa autentica e bella. La fede verrà ridotta a stereotipo avvelenato, una schiavitù del pensiero infestata dalla morfina.

Osservando il dipinto nel dettaglio possiamo notare una sorta di aureola che ricorda il taglio di capelli di Diana. La mia interpretazione è che si tratti del segno dell’entità che essa rappresenta, come se al di sopra del nuovo mondo ci fosse lei. Inoltre, per chi apprezza l’Arte, non potrà passare inosservata la linea diagonale simile ai tagli metafisici di Lucio Fontana, a rappresentare l’idea di uno squarcio verso un’altra dimensione. Del resto l’iride dell’arcobaleno che si intravede nei suo occhi riversi rimanda alla fine dell’arcobaleno menzionata in Eyes Wide Shut di Stanley Kubrick. Gli occhi sbarrati, appunto.

Oppure in una chiave più simbolica, possiamo leggere l’opera come la trasposizione grafica dell’agire di Diana che fagocita e metabolizza, mediante la vendetta, il livido (la piccola sfera nero-violacea) generato dal Male (la linea rossa).

(Diana, la protettrice delle donne, secondo il mito)

Pochi avranno tutto. La maggior parte non avrà niente perché gli uomini non sono stati creati tutti uguali. Il narcisismo non sarà più represso ma venerato come virtù, soddisfare i propri impulsi diventerà istintivo. Le nostre identità saranno definite dal dolore che causeremo. Il nichilismo, puro e genuino sarà l’unica soluzione di fronte alla morte gloriosa.

(Yariza, la Sacerdotessa della Morte)

Ed eccola, nell’immagine di cui sopra, la Sacerdotessa della Morte, Yariza, colei che rappresenterà lo strumento mortale collaterale a Diana. Lei era la donna che la sacerdotessa vedeva come figura nuda nel deserto, luogo che era anche la primissima immagine dipinta su murales con cui iniziava il primo episodio. Con questa figura Nicholas Winding Refn, porta l’influenza di David Lynch al massimo livello. Al termine del lungo film che è Twin Peaks-The Return scoprivamo che tutto il male incarnato nella figura di Bob, altro non era che lo strumento di un male più grande: JOODY. Qualcosa di analogo accade qui ma di segno ribaltato: mentre Diana detta da un altro mondo le linee di distruzione per l’alba di una nuova era, Yariza sulla terra procede con l’esecuzione materiale del compito in qualità di sterminatrice del Male.

Col passare del tempo avremo la nostra religione e la nostra dinastia. E con essa risveglieremo la vera furia del mondo e mentre l’uomo imploderà in un bagno di sangue e silenzio emergerà una nuova mutazione.

Siamo arrivati alla fine, con Yariza dentro al locale dove si ritrovano i messicani che lavorano per Jesus, posta esattamente al centro della scena, circondata dalle donne che vengono sfruttate, che ci guarda, mentre camminando sulla linea tracciata sul pavimento uccide tutti i presenti. Quest’inquadratura è molto interessante perché rappresenta un ribaltamento del punto di vista centrale con Alex seduto nel Korova Milk bar di Arancia Meccanica di Stanley Kubrick, con i manichini delle donne a fare da tavolino.

Al centro della scena invece abbiamo in piedi una donna che, dopo avere liberato per tutta la serie altre donne dallo sfruttamento e dopo aver sterminato i maschi della gang, si avvia verso la porta che presenta delle aperture luminose a forma di croce, pronta a spalancare l’Inferno in terra. E mentre si dirige verso l’uscita risuonano le note di Rocka Rolla dei Judas Priest, geniale citazione dato che Yariza nella versione in lingua è The Highest Priest of Death.

The Desert Sessions[vi].

 Il Sole è in Capricorno e le creature stanno bene, pronunciava Diana in uno dei primi episodi.

Uno dei miti capricorniani è legato alla figura di Azael, dio ebraico che si addossa tutte le colpe del popolo che non obbedisce alle leggi di Dio, come un capro espiatorio che finirà per errare nel deserto.

Il Deserto. Il luogo dove è nata Yariza.

Il luogo dove Cristo fu tentato dal Diavolo.

La prima immagine di Too Old to Die Young.

(Martin flagellato, capro espiatorio come Gesù Cristo?)

“Il compiersi di una serie è continuamente rinviato, raramente finisce con il respiro che si arresta nel morire."

(Enrico Ghezzi, op. cit)

 

Editing di Ornella Genua.

 

[i] Il sottotitolo si riallaccia all’omonima opera del filosofo Arthur Schopenhauer e in particolare al concetto del Velo di Maya, schermo illusorio con cui ogni uomo nasce, infranto il quale l’uomo potrà contemplare la realtà per come essa si dà veramente. Sulla visione e sulla trasformazione sottesa a questo concetto è incentrato l’articolo.

[ii] E qui potremmo fare contente le persone che sposano la versione secondo la quale Gesù Cristo ebbe rapporti sessuali con la Maddalena da lui redenta.

[iii] Alejandro Jodorowski era seriamente intenzionato a realizzare un film tratto da libro di Frank Herbert Dune, progetto che prevedeva le musiche dei Pink Floyd e la presenza nientemeno che di Salvador Dalì e Orson Welles. Il progetto non ebbe seguito, se non nella trasposizione realizzata da David Lynch (che come Spartacus per Kubrick, personalmente non considero facente parte della sua filmografia).

[iv] Immagine che rimanda ad un film di John Carpenter dal titolo emblematico: Il Signore del Male (con quello specchio da cui non si faceva più ritorno).

[v] L’ultima pellicola di Nicholas Winding Refn s’intitola-  non a caso -The Neon Demon.

[vi] Solo per ricordare, dato che sono ospite su una rivista di musica, che queste famose registrazioni musicali si tengono al Rancho de Luna presso Joshua Tree (e ho detto tutto!). La forma del famoso albero è eloquente e il rancho richiama il luogo dove viene ucciso Martin.

 


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