Il tempo del raccolto del grano, datato 1951, è conosciuto in Italia anche come Inizio d'estate (ed è con questo titolo che lo trovate ora disponibile su Raiplay) o ancora come Il tempo della mietitura; è questo il capitolo centrale di quella ideale trilogia della quale fanno parte anche Tarda primavera e Viaggio a Tokyo, tre opere del maestro Ozu accomunate dalla presenza dell'attrice Setsuko Hara la quale in tutte e tre le pellicole interpreta una donna non maritata di nome Noriko.
In realtà i tre film hanno punti di contatto solo per tematiche comuni e per il discorso sulla famiglia e sul cambiare dei tempi che tanto interessa al regista giapponese, la Noriko che ricorre nelle varie pellicole non è lo stesso personaggio, i film sono inoltre legati dalla presenza di altri attori ricorrenti, una sorta di gruppo ristretto caro a Ozu che tornerà a più riprese in diversi dei suoi lavori.
Non c'è quindi né un ordine di visione da seguire per godere appieno di questi film né tantomeno l'obbligo di vederli tutti e tre (anche se la cosa è consigliata, sono tutti molto belli) nonostante li si associ spesso inserendoli appunto all'interno di questa ideale trilogia che va sotto il nome di trilogia di Noriko.
Analizzando il passaggio dal precedente Tarda primavera a questo Inizio d'estate, già consci di quanto Ozu costruirà poi anche con Viaggio a Tokyo, si delineano in maniera marcata le linee guida del cinema del maestro che si lascia alle spalle le tragedie della guerra (pur non dimenticandole del tutto, si pensi al figlio mai tornato della famiglia Mamiya) per concentrarsi sui legami familiari e personali, sul contrasto tra tradizione e vita moderna, sul passaggio a una società che risente degli influssi di una cultura occidentale data dalla presenza per diversi anni dell'esercito statunitense su suolo nipponico ma anche dai prodotti di consumo (come il cinema) provenienti dall'estero.
Siamo in una Tokyo che si avvia alla modernità; la protagonista Noriko (Setsuko Hara) vive nella casa dei suoi genitori; papà Sh?kichi (Ichir? Sugai) e mamma Shige (Chieko Higashiyama) considerati anziani per l'epoca, in realtà sono una coppia ancora in gamba.
La giovane ha ventotto anni e per i costumi del periodo è una donna in piena età da marito. In realtà Noriko è una donna indipendente, lavora come segretaria in uno studio situato in un bell'edificio moderno del centro di Tokyo e possiede una mentalità che non disdegna la tradizione ma capace di farsi beffe di stili di vita all'apparenza fin troppo canonici per un'epoca di cambiamenti come quella dei primi anni Cinquanta; prendere marito non sembra al momento essere una sua priorità.
In casa vivono anche suo fratello K?ichi (Chish? Ry?), un medico molto impegnato, la di lui moglie Fumiko (Kuniko Miyake) e i loro due bambini, nipoti di Noriko. Quando il signor Satake (Sh?ji Sano), datore di lavoro di Noriko, le propone di incontrare un buon partito per un'eventuale matrimonio, la ragazza cerca in ogni modo di defilarsi; l'uomo però sembra essere davvero l'occasione giusta per la ragazza di fare un buon matrimonio, sarà soprattutto il fratello K?ichi a insistere affinché sua sorella finalmente si sistemi. Il diniego di Noriko susciterà in K?ichi diversi malumori ma il destino ha in serbo qualche piccola sorpresa...
Il tempo del raccolto del grano è un altro bellissimo capitolo all'interno della filmografia di Ozu che non teme il confronto nemmeno con titoli come Viaggio a Tokyo e Tarda primavera.
Per quel che riguarda l'estetica del girato Ozu apre con una sequenza che è una danza del quotidiano; gli attori si muovono da una stanza all'altra di questa casa studiata fin nei minimi particolari e fatta di una geometria ordinata e pulita che colpisce l'occhio dello spettatore con una delicatezza rara, passano da un'ambiente all'altro senza intralciarsi, senza pestarsi i piedi costruendo fin da subito quella serenità rassicurante che accompagnerà l'intero film sino alla scena di chiusura.
La ripresa è fatta di stacchi continui, camere a inquadratura fissa e bassa, come da caratteristiche del maestro che però nel corso della pellicola non disdegna carrelli e movimenti di macchina per donare un tocco di dinamismo in più in momenti particolari del film.
Ricorre spesso il momento della condivisione dei pasti con la famiglia riunita, inserita in una sorta di quinta fatta di attenzione per l'arredo e pareti in carta di riso (shoji), i gesti sono coordinati, puliti, segni di una direzione (anche degli attori) consapevole e capace.
Non macano gli esterni, anche questi rilassanti e spesso ariosi, con una visione sulla città in altri film assente nella quale Tokyo, con pochi scorci, sembra assumere il volto di una città moderna, occasione di lavoro e di un avanzamento sociale del quale anche le donne iniziano ad appropriarsi, soprattutto quelle spigliate ed emancipate come la nostra protagonista. Eppure le vecchie usanze e mentalità non sono scomparse nel Giappone del secondo dopoguerra ritratto da Ozu, è qui che si vede il contrasto tra passato e futuro incombente, la pressione sociale sul discorso del matrimonio, che Noriko e le sue amiche spesso deridono, continua a farsi sentire provocando anche qualche dissapore familiare la cui risoluzione in Ozu sembra sempre essere esperita in forma lieve, ragionevole, come un qualcosa di cui si può sempre discutere.
Presente anche il tema della nostalgia veicolato dal passare degli anni per la coppia di genitori, due anziani che anche di fronte a qualche piccolo dispiacere (qualche familiare che andrà a stare lontano) sanno che tutto sommato a loro la vita ha regalato molto, che hanno avuto la loro dose di felicità e sono pronti ad accettare con serenità tutto ciò che ancora dovrà venire.
In parte Ozu guarda anche alla commedia americana della quale si dichiarò un assiduo frequentatore, se ne rintracciano richiami che trasformano però l'indole più fracassona ed esagerata degli yankees in una commedia della quotidianità priva di eventi sconvolgenti; non mancheranno sul finale le sorprese legate alle scelte di una protagonista che nell'animo si rivela più sfaccettata di quel che lo spettatore avrebbe potuto credere di primo acchito.