Il tocco del peccato arriva all'interno della filmografia di Jia Zhang-ke, cantore del cambiamento della Cina, nel mezzo di quella splendida e ideale trilogia dedicata allo slittamento del Paese verso la modernità, composta da Still Life, Al di là delle montagne e I figli del fiume giallo.
Per Il tocco del peccato il regista cinese sceglie un approccio diverso rispetto alle opere sopra citate: l'evoluzione della Cina è sempre al centro del discorso dell'autore, che qui si concentra più che sul cambiamento in sé o su ciò che esso comporti per il territorio e in termini di perdita di luoghi e tradizioni, sulla nuova società del capitale e sulle ripercussioni che seguono l'apertura spinta a un'occidentalizzazione che presenta i conti delle sue peggiori abitudini.
Sono quattro le storie che Jia Zhang-ke mette in scena lungo le due ore e poco più del suo film, ognuna delle quali ha il suo spazio e i suoi protagonisti che solo marginalmente si incontrano, senza che le loro esistenze influiscano sulle altre, nonostante i loro destini siano accomunati dal dover vivere nella stessa società ingiusta e difficile. Quattro storie e quattro differenti zone della Cina, compresa quella d'origine del regista; come in molti altri film di Zhang-ke non manca la presenza dell'ottima Zhao Tao, moglie del regista.
Provincia dello Shanxi. Dahai (Jiang Wu) è un ex minatore rimasto senza lavoro dopo che il capo villaggio ha venduto le miniere a un investitore che come da prassi effettua i soliti tagli sul personale. Dahai cerca in tutti i modi di cambiare le cose e ottenere giustizia ma quando va bene viene bellamente ignorato, altrimenti viene insultato o pestato dagli sgherri del potere. Stufo ed esasperato dalla situazione Dahai imbraccia il fucile e si muoverà per farsi giustizia da solo.
San Zhou (Wang Baoqiang) transita solamente nello Shanxi (e lascia il segno), incrocia qui solo di sfuggita Dahai; San è un giovane uomo smarrito con una pistola, sembra non trovare pace né posto in questo mondo in cambiamento, si annoia a morte, anche quando torna al suo paese, dalla moglie e dal figlio sulle sponde dello Yangtze, San si annoia e fugge, un uomo in movimento perenne; un uomo con una pistola.
Nella provincia dell'Hubei Yu Xiao (Zhao Tao) intrattiene una relazione con un uomo sposato che non vuole saperne di lasciare la moglie. Yu Xiao lavora come receptionist in una sorta di centro massaggi "con lieto fine"; la donna è costretta a volte ad avere a che fare con uomini non proprio educati: quando uno di questi pensa di poterla molestare impunemente le cose non andranno a finire bene.
Nel Guandong Xiao Hui (Luo Lanshan) lavora in una fabbrica dove le terribili condizioni di lavoro non prevedono norme sulla sicurezza; quando un suo collega rimarrà ferito per una distrazione la colpa verrà riversata proprio su Xiao Hui che dovrà farsi carico anche economicamente del mancato guadagno del proprietario. Costretto a lasciare la fabbrica Xiao Hui trova lavoro e l'amore in un bordello per facoltosi, lì scoprirà di non essere ricambiato e che l'esistenza in cui si trova invischiato è sempre più difficile da sopportare.
Come già accennato sopra, con Il tocco del peccato Jia Zhang-ke sembra guardare non tanto ai movimenti della Cina, che pur inevitabilmente ci sono, quanto alle conseguenze che i nuovi assetti del Paese scatenano, concentrandosi su scoppi di violenza nati da ingiustizie, disagio sociale, perdita di riferimenti, altra violenza.
Nella narrazione di questa violenza il regista è molto diretto, compiendo a volte anche un lavoro estetizzante sulla stessa, pensiamo alla reazione di Zhao Tao all'arma bianca che ricorda da vicino le coreografie dei film marziali o dei wuxia o agli effetti dei colpi esplosi da Dahai. Nella costruzione dei singoli episodi, delle quattro storie, in maniera naturale viene fuori l'ennesimo ritratto, questa volta narrato in maniera diversa, di un Paese in transizione che si porta sulle spalle un carico di responsabilità pagate in ultima istanza da cittadini inermi e impossibilitati a combattere se non, come qui si vede, con una presa di posizione netta e violenta, a volte attiva, altre passiva, sempre disastrosa.
È un male comune quello narrato da Zhang-ke, è la piaga che non coinvolge solo la Cina, un Paese enorme che si trascina dietro problematiche altrettanto grandi, ma che tocca con sfumature diverse la gran parte dei paesi del mondo governati da un sistema in crisi ormai perenne che non può più fare a meno di creare vittime su vittime a vantaggio di pochi eletti.
Ancora una volta il regista dello Shanxi costruisce un ottimo film capace di farci fermare a pensare, di fronte alla vastità dei luoghi e davanti all'enormità del male che non ci accorgiamo di avallare tutti i giorni.