Secondo un efficace criterio di catalogazione del materiale relativo alle numerosissime band post-punk del decennio in corso, il timbro di Matt Flegel, cantante e bassista dei Preoccupations, va archiviato sotto la cartella Richard Butler. E se per i primi quattro dischi del gruppo di Calgary si poteva anche minimizzare, tirando in ballo solo una vaga reminiscenza dei Psychedelic Furs, peraltro smaccatamente soggettiva, vi sfido ad ascoltare (questa volta un po’ più prevenuti, o anche solo incuriositi da queste mie considerazioni) la title track di Ill at Ease, il loro nuovo album, e a immaginare i Preoccupations suonare quella stessa canzone sotto un acquazzone, senza ombrello, proprio come nel video di “Heaven”, sempre che, anche per voi, non ci sia nulla di sbagliato nel potere evocativo della musica. Anzi.
E la prova che gli anni '80 dei Preoccupations sono solo presunti, e per nulla rigorosi, va rintracciata nelle tematiche dei testi e nel retrogusto sonoro che lasciano i loro brani nell’ascoltatore, sin dai tempi dell’incompreso quanto cupo esordio a nome Viet Cong. Un disagio (Ill at Ease, appunto) dichiarato e per certi tratti ingenuo che proviene sin dalle origini e che - disco dopo disco - è cresciuto sino a contaminare tutte le trame di uno stile sempre più elaborato. Un tratto caratteristico che manifesta al massimo, proprio nell’album appena pubblicato, la sua perfetta espressione, la sua identità più definita, la sua piena maturità, la sua straordinaria eleganza.
Dei Preoccupations, in Ill at Ease troverete ancora l’estetica e la ritmica new wave nella variante più elettro-crepuscolare con il valore aggiunto delle chitarre post-punk (pulite e distorte) in strutture compositive spesso a blocchi dispari, d’altronde farci contare fino a quattro per tre volte è il loro vero marchio di fabbrica.
Ma con i Preoccupations non c’è da preoccuparsi. In ogni brano di Ill at Ease troverete sempre una backdoor ad attendervi, una voluta distrazione pop che vi permetterà di scavalcare dall’altro lato della canzone per percepirla all’opposto rispetto alla piacevolezza trasmessa durante un qualsiasi ascolto radiofonico e approssimativo, una svincolo in grado di farvi invertire il senso di marcia, a ritroso finalmente fino al cuore dello spleen. L’esempio più calzante è l’improvvisa variazione di mood che prende la prima traccia del disco, “Focus”. Nel bel mezzo di una sequenza armonica da manuale, la band azzarda un cambio con una successione di accordi apparentemente a casaccio e fuori da ogni logica, una serie così destabilizzante ed estemporanea che coglie di sorpresa, assieme all’intreccio di cori sgraziati che vi si inerpica intorno, per un risultato in grado di mettere a tappeto i più assidui frequentatori della regolarità.
Musiche diversamente orecchiabili come basi per testi senza speranza, nati da riflessioni sul contesto socio-politico attuale, agli antipodi dall’ebbrezza edonistica dell’era duraniana con cui, al cospetto dei Preoccupations, ci si spertica a sfoggiare le più ardite comparazioni. Parole chiave che non lasciano dubbi: estinzioni collettive da asteroidi, galassie in collisione, apocalisse, gente seppellita viva, terremoti, autodistruzione, cieli che crollano, eclissi permanenti, panico, ma anche semplici e innocui suicidi.
Nell’insieme, Ill at Ease è un disco che parte in una direzione per concludersi completamente fuori rotta. Appena otto canzoni con un punto di svolta nel mezzo che non poteva che intitolarsi “Retrograde”, una non-ballad che sembra rispedire al mittente i primi tre accomodanti brani, non a caso due dei quali (i già citati “Ill at Ease” e “Focus”) pubblicati nei mesi scorsi come singoli per confondere le idee nell’anticipazione del trentatrè giri. Da quel punto, oltrepassata la metà del disco, i Preoccupations cambiano registro e lo portano agli antipodi con il nervoso e liberatorio riff di chitarra di “Andromeda”, il dark di “Panic”, il math-industrial di “Sken” e l’apoteosi finale di “Krem2”, probabilmente la traccia più sorprendente di tutto il disco, con il suo alternarsi di emozioni indotte dal vortice ipnotico dell’arpeggio e dall’incursione nel solenne chorus che ne prende il posto.
Ill at Ease è sicuramente ad oggi il disco più raffinato dei Preoccupations, una band che dimostra di crescere ed evolvere il proprio suono pur mantenendo inalterato e riconoscibilissimo lo stile. Un lavoro in costante equilibrio tra consonanze e dissonanze, per una tensione piacevole e sgradevole allo stesso tempo che non sempre, come è prassi per la loro musica, fortunatamente finisce bene e si risolve in quello che ci piacerebbe sentire. Un approccio che, a un ascolto meno attento, può essere riduttivamente travisato per un compromesso con la commercialità. Che poi, se può essere funzionale per apprezzare i Preoccupations al di fuori del loro fedele seguito off, per me va benissimo così.