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TRACKSSOUNDIAMOLE ANCORA
06/03/2023
The Monkees
I'm A Believer
La storia di una delle più grandi hit di tutti i tempi, che diede il successo planetario ai The Monkees, quattro giovani californiani, belli e fotogenici, ma incapaci di suonare

Quando negli anni ’60, Neil Diamond si affacciò al mondo della musica, era chiaro a tutti che fosse un predestinato, un giovane cantautore dotato di una voce calda e avvolgente, ma, soprattutto, capace di scrivere grandi canzoni e con disarmante regolarità.

Quando all’inizio del 1966 pubblicò Cherry, Cherry, il suo primo grande successo, fu contattato dal produttore Don Kirshner, che stava cercando materiale per i Monkees, una giovane band di musicisti/attori, che era pronta a fare il grande salto nello star system. Kirshner, che era una volpe e aveva un fiuto incredibile per le hit di successo, ascoltò Cherry, Cherry alla radio e chiamò subito i produttori di Diamond, Jeff Barry ed Ellie Greenwich, chiedendo se il giovane cantautore avesse per le mani qualche altra canzone da poter lanciare sul mercato. I due, piacevolmente colpiti dalla proposta, gli fecero ascoltare I’m A Believer e fu amore a primo ascolto.

Kirshner, quindi, convinse Diamond a cedergli i brano, promettendo al giovane Neil due cose, una vera e una falsa: la prima, era che anche lui avrebbe potuto registrare una versione della canzone (che fu pubblicata su Just For You del 1967), e la seconda, la bugia, era che I'm A Believer sarebbe stata inserita nel nuovo album della stella del country, Eddie Arnold. Invece, cosa che lasciò molto stupito Diamond, la canzone finì nel repertorio dei Monkees, i quali, ai tempi, più che musicisti, erano attori protagonisti di una serie tv, prodotta da NBC e ispirata ai successi dei Beatles, come A Hard Day’s Night e Help!

La versione dei Monkees beneficiò, quindi, dell'esposizione mediatica dovuta ai loro telefilm e fu il secondo singolo, dopo Last Train To Clarksville, a essere inserito nella prima stagione del loro programma televisivo.

I quattro ragazzi era giovani e fotogenici, una sorta di risposta americana ai Fab Four, ma come musicisti lasciavano parecchio a desiderare. Fu così che, quando venne registrata I’m a Beliver, i Monkees si limitarono a cantare, ma non suonarono alcun strumento, lasciando il compito a un pugno di turnisti dalle comprovate capacità tecniche.

Questa circostanza faceva molto arrabbiare i quattro ragazzi, a cui non andava giù il fatto di essere considerati alla stregua di marionette. Il più inferocito di tutti era senz’altro il chitarrista della band, Michael Nesmith, il quale iniziò una vera e proprio battaglia contro la produzione. Così, quando arrivò il momento di registrare la cover di Neil Diamond, Nesmith si oppose con tutte le sue forze, gridando letteralmente in faccia al produttore Jeff Barry: “Io sono un cantautore e, ti posso assicurare, questo non sarà un successo!” Il risultato fu che il chitarrista venne cacciato dagli studi, mentre Micky Dolenz, il batterista, venne incaricato di cantare il brano.

Contenta o no, la band non ebbe da lamentarsi, visto che I’m A Believer divenne disco d’oro dopo due soli giorni dalla sua uscita, ed entrò in classifica di Billboard al primo posto, il 31 dicembre del 1966, per restarvi sette settimane di fila, diventando così il singolo più venduto nel 1967 e uno dei più venduti di tutti i tempi.

Del brano, un vero e proprio evergreen, si annoverano numerose cover, tra cui quella degli Smash Mouth, inclusa nel film Shrek del 2001, e soprattutto, quella del cantautore britannico, e membro fondatore dei Soft Machine, Robert Wyatt, la cui interpretazione raggiunse la posizione numero 29 nel Regno Unito, nel 1974 (c’erano Andy Summers alla chitarra e Nick Mason dei Pink Floyd alla batteria). Wyatt fu molto criticato per la scelta di reinterpretare uno dei capisaldi del sunshine pop, un brano, a dire dei propri fan, troppo leggero e banale per un musicista della sua caratura. Quando venne intervistato da Q Magazine a proposito della scelta, Wyatt diede una risposta che mise tutti a tacere: "Ero molto a disagio nell'avere fan che dicevano 'La tua musica è molto meglio di tutta quella banale musica pop'", disse "Sembra una cosa socialista da dire, ma la musica pop è la musica della gente. È la musica folk dell'era industriale. Se non rispetti la cultura popolare, non rispetti le persone, nel qual caso la tua opinione politica non ha un grande valore". Amen.